Cosa ce ne faremo un giorno, con tutte queste nanotecnologie, noi occidentali di mani così grandi? Queste dita grosse e legnose, questi polsi saldi e forti con cui abbiamo soggiogato la natura, divelto querce, abbattuto carnivori predatori, deviato fiumi e conquistato i cieli e persino lo spazio, prima o poi saranno la causa della nostra estinzione. Non abbiamo nessuna speranza di sopravvivere al futuro che è fatto di movimenti che prevedono spostamenti al millimetro, pressioni al micron, dimensionamenti al pixel. Ieri ho assistito alla posa di una pellicola protettiva sul touchscreen del nuovo smartcoso di mia figlia a opera di un vero e proprio artigiano cinese in una specie di cattedrale delle cover – che se non sbaglio si chiama addirittura così – in via Paolo Sarpi, che per i non milanesi è chinatown. Uno spettacolo miracoloso che, per tre euro pellicola compresa, consiglio a tutti. Altro che kolossal e maxischermi con digital surrond. Il vero prodigio si manifesta nel piccolo, una versione hi-tech della botte con il vino migliore. Ero in coda per pagare quando ho notato questa specie di prestidigitatore del sol levante che solo con le sue dita, una spatolina di plastica e dei pezzi di nastro adesivo che strappava di volta in volta a seconda della necessità, ha rimosso grani di pulviscolo uno ad uno, sfiatato bolle d’aria del diametro di un capillare e messo al sicuro dai graffi per sempre la superficie di un iPhone 6 maxi a una coppia di ragazzi con una precisione senza eguali. Italiano lui, americana lei, anch’essi entusiasti di gratificare il mago delle pellicole protettive a un prezzo più che congruo, peraltro seguito dalla consegna di regolare scontrino fiscale. Mi sono immediatamente proposto per fargli fare il bis, non ne avevo bisogno ma ne valeva troppo la pena. Mi sono immaginato così questa nuova specie umana che non ha bisogno di tenere in mano manici di vanga o di piccone, falci e martelli perché in grado di spaccare nuclei a mani nude, separare protoni da elettroni, costruire molecole aggregando atomi come pezzi di lego. Probabilmente la chiave per superare il problema della sovrappopolazione non è tanto controllare le nascite ma occupare tutti un po’ meno spazio con il nostro fisico, cosa che qui in occidente non abbiamo ancora imparato perché se vedete i ragazzi delle nuove generazioni sono tutti grandi e grossi e prima o poi su questa parte del pianeta avremo delle difficoltà di stoccaggio delle nostre vite. Invece di là no, sono miliardi e anche quando vengono qui nei loro quartieri non diresti mai della granularità della loro presenza. Qualche indizio però, a ben vedere, lo si può evincere dalla quantità di roba che si trova nei negozi di via Paolo Sarpi. Traboccano di vestiti, bigiotteria, giocattoli, cover per smartphone. Centinaia e migliaia di capi stipati nei negozi e viene spontaneo chiedersi se riusciranno a venderla tutta, quella roba, poi di questi tempi in cui i consumi calano un po’ ovunque. A meno che al sistema di commercio orientale non interessi solo produrre ed esportare perché la loro crescita economica conta solo sul fabbricare tutti quei pezzi e trasportarli in tutti i negozi che hanno aperto all’estero, estero rispetto a loro. Ma se è così, e chissà se lo è perché davvero non mi spiego pareti traboccanti di cover per ogni modello di smartphone esistente sulla terra e tanti di quegli orecchini che non basterebbero tutti i lobi di un’intera nazione come la nostra, se a loro interessa solo fabbricare ed esportare e se poi l’esercente anche se non vende amen, a me che non capisco davvero un cazzo di economia, in questa piramide economica c’è qualcosa che non mi quadra.