Mi metto nei panni di un lungomare, di una villa in stile eclettico, di una vasta depressione coltivata e solcata da filari di alberi, di un tipico borgo medievale sul cucuzzolo di un colle. Mi metto nei panni di una baia marina verde smeraldo, di un bosco popolato di creature selvagge, di un quartiere residenziale i cui abitanti non sono da meno. Ma anche di un casale ai piedi di ettari di vigne o di una palazzina a ridosso di un parco con i cigni e i laghetti o di una catapecchia contadina in pietra in uno di quegli scenari da albero degli zoccoli, spero che le vostre maestre alle elementari vi abbiano portato a vedere il film come hanno fatto con me.
Ecco, tutti questi luoghi osservati mentre si sfreccia a centoventi all’ora – quando le condizioni del traffico lo permettono, ovvio – percorrendo un viadotto o un ponte o un qualsiasi punto di una delle numerose autostrade che favoriscono il nostro lavoro, le nostre vacanze e qualsiasi viaggio dobbiamo affrontare di qualunque tipo, sono tutti luoghi affascinanti. E quando le lunghe tratte inducono a riflessioni perché altrimenti il colpo di sonno da monotonia di andamento è dietro l’angolo anzi no perché le curve, lungo le autostrade di pianura, sono pressoché inesistenti, quando diventiamo tutt’uno con il nostro mezzo di trasporto e domiamo i cavalli che scalpitano saldi e veloci nel vano motore del nostro bolide, quante volte il nostro pensiero va a quelle istantanee di paesaggio, ai chi le abita, a quanto piacerebbe a noi vivere lì o anche solo provare l’ebbrezza di svegliarsi immerso nella stessa nebbia fitta con la stufa a legna – che nel frattempo qualcuno ha acceso per noi – e dover uscire a mungere le vacche, dare il mangime al bestiame, rivoltare zolle in attesa della prossima semina, affilare falci e falcetti e dedicarci alla manutenzione degli strumenti che ci consentono di assicurare almeno tre pasti a noi e ai nostri cari.
Ma sono più che certo che se voi abitaste in quella cascina, in quel casale, a ridosso di quel lungomare, in uno degli appartamenti di quel complesso residenziale con il vialetto ornato da file di cipressi che fanno da cornice temporanea e sempre in mutamento al vostro lesto incedere di automobilisti al di qua del sogno, trovereste molto meno romantico contemplare la vista dell’A7 o di qualsiasi altra arteria a pagamento e dei suoi piloni e cartelli indicatori e autogrill o aree di servizio o anche pannelli informativi a led che rovinano la vostra visuale ogni fuckin’ mattino in cui vi affacciate alla porta di casa e che ai tempi dei vostri trisnonni, quando cioè hanno costruito con il loro sudore il posto che avete meritatamente o no ereditato, non erano nemmeno nell’anticamera del cervello dell’allora ministro alle infrastrutture e trasporti o di come si chiamava ai tempi dei Savoia o chi per essi.
Che poi anziché infrastrutture dovrebbero chiamarsi sovrastrutture perché, appunto, passano acriticamente sopra a qualunque cosa: campagna coltivata, spazi incontaminati, centri storici, spiagge laghi e fiumi e riserve naturali. Provate a immaginarvi sdraiati su una chaise longue a leggere Proust nel tardo pomeriggio primaverile nel giardino della vostra villa liberty della campagna toscana sorseggiano un cognac mentre, a poche centinaia di metri, la consueta coda di auto e tir sulla Firenze – Roma si muove a passo d’uomo tra strombazzamenti e autoradio a palla. Chi gioca alla fanta-ingegneria come il sottoscritto si sarà più volte chiesto perché quelle infrastrutture che poi abbiamo detto essere sovrastrutture in realtà non possano essere delle sottostrutture, scorrere cioè solo in gallerie sottoterra, appunto, come si fa con le metropolitane nelle grandi città. E se viaggiando in autostrada, come me, vi chiedete anche chi possano essere i fortunati esseri umani a vivere in posti così belli, la risposta che giungerebbe dalla loro voce potrebbe anche essere poco cortese, ma non prendetela sul personale.