le venticinque canzoni di Bowie che metterei in repertorio se suonassi in una tribute band di Bowie

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Intanto sgomberiamo subito il campo da qualsiasi dubbio e mettiamo le cose in chiaro:

#1 Scary Monsters (and Super Creeps) (1980)
#2 Low (1977)
#3 Heroes (1977)
#4 Lodger (1979)
#5 Hunky Dory (1971)
#6 Station to Station (1976)
#7 Blackstar (2016)
#8 Aladdin Sane (1973)
#9 The Next Day (2013)
#10 Let’s Dance (1983)
#11 Heathen (2002)
#12 Outside (1995)
#13 Earthling (1997)
#14 Diamond Dogs (1974)
#15 Young Americans (1975)
#16 Hours (1999)
#17 Black Tie White Noise (1993)
#18 The Man Who Sold the World (1970)
#19 The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders From Mars (1972)
#20 Tonight (1984)
#21 Space Oddity (1969)
#22 Reality (2003)
#23 Pin Ups (1973)
#24 Never Let Me Down (1987)

una lista in ordine dell’affetto che provo per i suoi dischi e non me ne vogliate, tanto stiamo comunque parlando di cose dell’altro mondo quindi se il vostro beniamino si trova in coda si fa presto a dimostrarne, comunque, il valore.

Detto ciò, nell’ultimo anno – il primo senza di lui – mi sono chiesto quanto possa essere difficile scegliere dei suoi pezzi per metter su un repertorio, considerando la vastità della scelta, la varietà degli stili, la difficoltà stessa insita in certe sue canzoni, complice il fatto che con Bowie ha suonato il meglio dei musicisti di ogni epoca, da Rick Wakeman a Brian Eno fino ad Adrian Belew, che in studio e dal vivo hanno reso il suono di Bowie spesso impossibile da riprodurre per noi umani normali. L’aspetto che complica il tutto è anche il fatto che alcuni suoi pezzi sono stra-famosi e iconici e se non li metti in scaletta il pubblico potrebbe chiedersi ma che razza di tributo sia. E visto che siamo nel regno dei blog, e quindi ciascuno fa e dice quel cazzo che gli pare alla faccia delle giurie popolari grilliste che controllano la veridicità delle informazioni, ecco quale potrebbe essere la mia scelta, in ordine sparso, quindi ditemi se non vi piacerebbe vedere un concerto così:

1- It’s No Game

2- I Can’t Give Everything Away

3- Loving The Alien

4- Where Are We Now?

5- Boys Keep Swinging

6- Absolute Beginners

7- New Killer Star

8- The Speed of Life

9- D.J.

10- Valentine’s Day

11- Always Crashing In The Same Car

12- Look Back In Anger

13- Cat people (nella versione live)

14- TVC15

15- Sense of Doubt

16- Cactus (Pixies cover)

17- Thursday’s Child

18- Ashes to Ashes

19- Warszawa

20- Wild is the wind

21- Kooks

22- I’m afraid of americans

23- Sons Of The Silent Age

24- Be My Wife

25- Heroes (guardate come si diverte Belew a suonare in questa versione)

sapevo che prima o poi sarebbe tornato questo giorno

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Abbiamo avuto tempo un anno intero per riflettere su quello che ci manca da quando ci manca David Bowie, che è mancato appunto un anno fa domani. Ognuno di noi quindi può sfoggiare tutti i motivi sociali, culturali e anche personali per cui il mondo, le relazioni che abbiamo ma anche noi stessi, nel profondo, siamo diversi, oggi. Siamo debilitati dall’assenza ma anche forti perché sappiamo tutti come funziona con l’assenza: il ricordo si fortifica, si sublima, si fa presenza costante proprio perché la presenza della cosa o della persona che non c’è più non è più a nostra disposizione e quindi facciamo quadrato intorno ai nostri ricordi.

Dal 10 gennaio scorso ci siamo pitturati la faccia con le saette rosse e blu, abbiamo visto mostre a lui dedicate, abbiamo tolto i granelli di polvere dai solchi dei suoi vinili che era un po’ che non ascoltavamo, abbiamo scoperto inaspettati segreti dalle copertine dei suoi dischi. Ci sono stati tributi, riconoscimenti, giornate a tema, speciali sulle reti televisive, documentari. Giornalisti professionisti e blogger dilettanti si sono profusi in tonnellate di parole a colmare la narrazione di un artista sul quale non è stato detto abbastanza e mai lo sarà, anche se l’esposizione mediatica sembrerebbe provare il contrario.

Lo scorso 10 gennaio ero in Stazione Centrale a Milano, in attesa di un treno per Firenze, quando via Whatsapp ho appreso che Bowie era morto. Ho subito pensato alle tappe dell’evoluzione umana dal 1976 ad oggi, cioè dall’anno in cui più o meno sono venuto a conoscenza della sua musica e a come nel tempo Bowie ha espresso se stesso al meglio a seconda di cosa c’era intorno. Ho pensato ai dischi che ci siamo contesi io e mia sorella, alla raccolta “Rare” che ho prestato a un amico e non mi è mai stata più restituita, a certe sue canzoni smaccatamente glam che ancora oggi, con tutte quelle chitarre distorte e acute, faccio fatica ad ascoltare. Ho pensato alla corsa dei ragazzini strafatti nel film su Cristiana F., al video di Heroes visto a Odeon, alla parte di tastiere di “China Girl” per quante volte l’ho suonata. Alle sue collaborazioni con i Queen e con Mick Jagger, alla sua parte parlata nella versione extended di “Do they know it’s Christmas”, ad “Absolute Beginners” e alla ragazza che lo ascoltava piangendo perché era finito un amore che era nato proprio lì. Alla trilogia berlinese di cui in tanti si riempiono la bocca e hanno ragione, perché Low è il disco più bello anche se Scary Monster è quello a cui sono più affezionato. Alla tappa milanese del “A Reality Tour” nel 2003 o giù di lì che mi sono lasciato sfuggire ma chi poteva pensare che poi non ci sarebbe stata più occasione di vederlo live.

Insomma, in dodici mesi le occasioni per riflettere su quello che ci manca da quando ci manca David Bowie sono state tante, forse più di una al giorno. E l’ultima è di un paio di giorni fa, quando è uscito un suo pezzo nuovo. L’ho ascoltato e ho pensato se Bowie era ancora vivo quando l’ha scritto o davvero c’è un sistema per fare musica anche quando di noi non c’è più nulla, e in questo caso davvero non c’è motivo di preoccuparsi. Aspettiamo un nuovo album di suoi inediti, provenienti da chissà dove.

credersi un cantante di grido al karaoke, sempre che il karaoke lo si pratichi ancora

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Jason non sembra di queste parti, dev’essere per questo che lo fissano tutti. Ma di strano in realtà ha solo un nome discutibile, una pigmentazione leggermente olivastra e certi lineamenti che ricordano un cantante di successo, italianissimo come lui. Jason ha scritto sul suo blog che il suo lavoro lo annoia in un modo che non riesce nemmeno a raccontare e, come me e voi, spera nel colpaccio che gli cambi la vita. Jason aveva una zia, addirittura la sorella di sua nonna, che gli ha fatto da madrina alla nascita e che lo adorava. Quando è morta di vecchiaia, ormai sono passati quasi dieci anni, Jason ha sperato di raggranellare qualcosa con l’eredità ma la zia non ha fatto testamento e quindi gli averi – pochi, per giunta – si sono dispersi tra i numerosi parenti del marito defunto poco prima e quelli dalla sua parte ma di grado più stretto del suo. Ma Jason non si è perso d’animo e si è coricato per mesi e mesi con la speranza che la cara zia si facesse viva – per modo di dire – in sogno a dargli qualche dritta su un modo veloce e semplice per arricchirsi. Un metodo che, come potete immaginare, non ha portato alcun risultato. Ci ha provato poi con suo papà quando è morto, e ormai sono passati quasi due anni. Ma pare che suo papà, che era malato di Alzheimer, si sia dimenticato di Jason anche nell’aldilà qualunque esso sia. Jason pensa a suo padre spesso ma, di rimando, non ottiene nulla, nemmeno un blando segnale. Neppure un banale vaticinio come il vincitore di Sanremo con cui bullarsi con i colleghi, per dire.

Fino a quando è successo davvero e in un modo che nessuno, Jason per primo, avrebbe mai potuto immaginare. Una sera stava ascoltando un disco di Bowie – Bowie era appena morto, occorre ricordarlo – e dalla magia della puntina dello stereo che ha sfregato su un granello di non so che tipo di polvere è apparso lui. Il duca bianco ha abbassato il volume (Jason si ricorda benissimo la canzone che stava ascoltando, era “Love is lost” da “The Next Day”) e come un genio della lampada qualunque ha concesso a Jason una possibilità per cambiare il corso della sua vita. Ma lo sapete meglio di me: Bowie non è uno che conosce le lotterie italiane, non può certo darti in numeri o i risultati della prossima giornata di campionato. Bowie ha dettato a Jason le note e il testo di una canzone e gli ha detto che quella canzone pubblicata sarebbe diventata una hit, un disco da milioni di copie vendute, una miniera d’oro per l’autore. Jason si è segnato parole e musica, e appena chiusa l’ultima battuta sul pentagramma Bowie si è accomiatato augurando a Jason, in inglese naturalmente, buona fortuna. Good luck, credo si dica così.

Jason si è precipitato al piano per suonare la canzone che Bowie in persona, o almeno nello spirito, gli aveva donato, l’ha registrata alla prima esecuzione e poi l’ha riascoltata. Il pezzo però, così come scritto sotto dettatura dal fantasma di Bowie, era tutt’altro che inedito. Aveva la strofa di “Don’t stand so close to me” dei Police e il ritornello di un vecchio brano di una nullità del calibro di Paul Young dal titolo “Come back and stay”, ve lo ricordate? Potete immaginare com’è andata a finire. Jason mi ha detto che non crede sia stato realmente Bowie a giocargli quel brutto tiro. Ha la collezione completa dei suoi dischi e lo adora dai tempi della trilogia berlinese, d’altronde chi non. Mi ha detto che il mondo è pieno di cantanti che hanno cercato di imitarlo, ed convinto che uno di questi, una volta morto anche lui, abbia cercato di sfogare in qualche modo l’invidia per i fan che, a differenza di Bowie, non ha mai avuto. Jason e io così ci siamo messi all’opera per fare una specie di censimento su Internet di tutti quelli che si sono ispirati a Bowie per trovare il sosia burlone. Ne abbiamo trovati a centinaia, qualcuno anche già morto, ma mica abbiamo ancora finito.

se avete fatto delle cazzate da giovani il mio consiglio è di tenerle nascoste ai vostri figli

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Se avete fatto delle cazzate da giovani il mio consiglio è di tenerle nascoste ai vostri figli. Prima di dare alcune definizioni di cazzata, è bene però sapere che in generale raccontarle o farsi sgamare dai figli su cose poco edificanti di cui vi siete resi protagonisti da ragazzi ha due macro-categorie di conseguenze diciamo di primo livello. La prima è che i figli presenteranno giustificazioni inattaccabili a ogni loro marachella piccola o grande utilizzando la vostra cazzata come metro di paragone per mettersi al sicuro. La seconda è che i figli possono diventare bacchettoni e quindi giudicare come inappropriato per un genitore ogni vostro anche minimo approccio trasgressivo a qualcosa come frutto della cazzata che avete fatto da giovani. Per natura sono i genitori quelli tutti d’un pezzo e i figli quelli da redarguire, da qui si evince che delle dinamiche capovolte non è facile prevedere le conseguenze, non ci sono ancora abbastanza casi di studio e ne riparleremo tra mezzo secolo, quando diventeranno adulti i figli di quelli che adesso hanno dieci anni e che hanno genitori che da ragazzi si conciavano come Robert Smith. So benissimo che molti di voi che avete fatto cazzate siete anche piuttosto rilassati nell’educazione dei figli, anche se la maggior parte di quelli che hanno fatto cazzate grosse come una casa di figli non ne hanno, un po’ perché non sono arrivati vivi all’appuntamento con l’età adulta, un po’ perché sono consapevoli del fatto che fare cazzate è tipico dei ragazzi e quindi ci passano sopra. Già vi vedo seduti sul divano a leggere il sole ventiquattr’ore, perché da punk siete diventati esperti di finanza, entra vostro figlio con il tatuaggio di fedez che gli sale su per il collo e non gli dite niente perché voi, alla sua età, vi facevate di ogni droga presente sul mercato, dormivate alla stazione e borseggiavate le vecchiette fuori dalle poste nel giorno della pensione per mantenervi i vizi. Ma non basta starsene ben zitti. È importante anche non lasciare in giro tracce o testimonianze di quanto eravate fuori di testa. Distruggete i diari, fate sparire il servizio fotografico fatto al cimitero, tenete ben nascoste cartine e filtrini perché a dodici anni sanno già tutto perché hanno il tempo ma soprattutto Google immagini dalla loro parte. Se avete suonato musica industriale e salivate sul palco in tutù con il martello pneumatico dubito che qualcuno dei millenials potrebbe capire il motivo, quegli anni in cui avete fatto delle cazzate sono più distanti da loro del futuro che hanno davanti. E fondamentalmente è proprio questo il problema. La trasgressione che abbiamo inventato noi oggi è roba che puzza di cantina perché è lì che deve stare, fondamentalmente non può essere collegata a nessun dispositivo e poi, a essere originali, nella società del presente c’è solo da perdere.