Ho intenzione di chiedere agli intelligentoni della Silicon Valley di fare la stessa cosa che hanno fatto con Google immagini ma per le voci. Non sarebbe male, vero? Mi spiego meglio. Ieri mia moglie mi chiama mentre è in macchina con la radio a palla e mi chiede di andare sul sito di Radio Popolare e capire chi è che sta parlando in quel momento. D’altronde sono io ad averla abituata bene. Quante volte mi telefona per domandarmi di correre sulla pagina Internet di Lifegate Radio e dirle chi è il gruppo che canta la canzone che stanno trasmettendo. I programmi di Lifegate Radio sono in streaming e sul loro sito queste informazioni sono disponibili in tempo reale. Da questi dettagli è facile intendere che l’autoradio primitiva in nostra dotazione non ha la funzionalità di visualizzare questi Radio Data System, oppure i titoli della canzoni su Lifegate non vengono inclusi in questo standard di informazione. Così mia moglie ha esteso un processo ormai rodato di help desk musicale (di cui all’altro lato ci sono io) anche agli speaker o agli intervistati nei programmi radiofonici, tant’è che anche se avessi potuto non sarei riuscito aggiornarla con un fico secco. Allo stesso modo – e non chiedetemi perché – mia moglie non è provvista di Shazam, la potente app che consente dopo una manciata di secondi di risalire ad autore e titolo del brano che stai ascoltando e non sai cosa sia, in una sorta di apoteosi dello scibile melodico misto a suprema divinità del Musichiere. Pensate così quanto sarebbe utile uno Shazam per le voci, ovvero un algoritmo come Google immagini che passa in rassegna tutti gli esseri umani e ti avvisa su chi sta parlando. Un riconoscimento vocale esteso al timbro. Ci sarebbero certe voci impossibili da identificare, come esistono gruppi sconosciuti a cui nemmeno una potenza di calcolo universale in forza a Shazam risalirebbe. Altre invece evidenti alla prima sillaba. Pensate, per esempio, quanto è facile riconoscere al primo colpo gente del calibro di Peter Gabriel, David Bowie, Robert Smith, che guarda caso sono i miei timbri vocali preferiti. Ma non disdegno per nulla Richard Butler dei Psychedelic Furs e Bernard Sumner dei New Order, che fanno collaborazioni a destra e a manca e che però riconoscerei ovunque, senza il bisogno di nessuna app, e sono certo anche ma moglie che peraltro, con un sistema del genere, non mi chiamerebbe più mentre guida con la radio a palla e un po’ mi dispiacerebbe.
casa plus1gmt
come diceva un mio amico, l’unico posto in cui una moglie non riesce a spostare l’arredamento è il bagno. Ma non è detto.
StandardCara, e care mogli altrui di tutto il mondo, ovviamente questo post è un divertissement e spero siate autoironiche, dovevo pur fare un titolo simpatico. Ma la sostanza non cambia, visto che sta cambiando tutto il resto. Dunque la conoscete vero quell’usanza che hanno le nostre mogli di dare un tocco di novità all’ubicazione di contenitori e contenuti delle nostre case, vero? C’è la fase uno meglio definita come ottimizzazione logistica, che consiste nelle mutande in un posto e i calzini nell’altro che diventa asciugamani nel cassetto in cui mettevi le mutande che ora vanno nel ripiano in cui impilavi i maglioni che ora vanno nella scatola Ikea in cui c’era l’abbigliamento da montagna che ora è in cantina tanto si usa una volta l’anno. Così il tempo per trovare ciò che si cerca raddoppia perché prima si sbaglia cassetto come sempre ma poi si sbaglia anche il cassetto che ci ricordiamo come quello giusto, a cui venivamo indirizzati dopo aver sbagliato la prima ricerca e aver chiesto le inevitabili informazioni.
A questa fase segue la fase dell’ottimizzazione logistica dell’ottimizzazione logistica, ovvero spostare la cassettiera che comprende maglioni, asciugamani eccetera dalla parete nella stanza da letto a quella di fronte in cui prima c’era l’armadio che così deve essere posizionato sul muro di destra per far spazio alla lampada che segue lo stesso shift in senso orario. Il tutto con contenuti compresi, ovviamente. Questo significa che il tempo per trovare ciò che si cerca triplica, perché prima ci si dirige verso la parete in cui c’era il mobile e poi quando lo si ritrova nella nuova collocazione si sbaglia cassetto la prima e la seconda volta come nel caso precedente.
Inutile scendere nei dettagli della terza fase, quella dell’ottimizzazione logistica dell’ottimizzazione logistica dell’ottimizzazione logistica. Arriva infatti il momento in cui le mogli decidono di invertire le stanze, i bambini crescono e hanno bisogno di più spazio o, viceversa, i ragazzi trascorrono meno tempo in casa e quindi possono anche vivere in un ambiente con il minimo necessario. I mobili della camera dei genitori vanno di là, sostituiti da quelli dei figli. Il tempo medio dell’uomo nella ricerca di qualcosa è così di quattro volte maggiore: ci si reca nella camera sbagliata, poi in quella giusta, poi verso la parete dove prima si trovava la cassettiera, poi verso la parete giusta, quindi si apre il cassetto che una volta conteneva ciò che si cerca, poi quello giusto e a quel punto, comunque, chiedere indicazioni alla propria moglie può essere anche un’azione giustificata.
Ma ho capito che questa smania di rinnovamento è un po’ un segno dei tempi. Pensate solo alla geografia e a tutte le città del mondo che, negli ultimi tempi, hanno cambiato nome, si sono riappropriate del loro indicazione topografica originale, vengono chiamate così o cosà per vezzo dagli opinion leader. Qualche esempio? Yangon. Lo sapevate che Yangon è il nome locale di Rangoon, la più grande città della Birmania anzi, pardon, Myanmar? Io l’ho scoperto ora. Per non parlare delle metropoli indiane. Mumbay è quella che alle interrogazioni di geografia a scuola chiamavamo Bombay, Chennai che è la vecchia Madras. E non entriamo nel merito dell’ex Unione Sovietica e gli stati al di là del Friuli, che insomma prima di metterli a fuoco devo accendere un computer connesso a Internet. O contare su qualche gioco di indovinelli con mia figlia. Lei si mette sulla cartina cartacea, fa le domande, e io che interrogo l’oracolo di Google e pigio enter, anche solo per rendermi conto di quante nazioni ci sono al mondo e che, se non si sta attenti, la prima volta che uno fa un viaggio in Africa il rischio di una pessima figura o di un incidente diplomatico è assicurato. Anzi no. Meglio fare un’assicurazione contro l’ignoranza e informarsi prima.