la metempsicosi e l’arte dello spezzatino

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Sei sei vegetariano o, peggio (per me), vegano, non leggere questo post, perché io che sono succube dei piaceri della carne potrei incarnare – è proprio il caso di dirlo – il peggiore degli aguzzini secondo la tua scala di valori calcolata su scala clorofilliana proprio a causa di una caduta in tentazione e del male da cui mi sono tutt’altro che liberato. Perché in fila in una macelleria, il tempio del peccato, ho valutato l’acquisto di porzioni di cadaveri animali di cui cibarmi considerando principalmente un solo volgare parametro: il cartellino con il prezzo al chilo. Una prassi del nostro tempo, direte voi. Qualità e ideali vanno a farsi benedire alla faccia del contante al netto dei costi fissi, cioè quello che ti rimane in saccoccia per qualche vizio extra come il mio che è particolarmente sanguigno, anzi, sanguinolento e succoso. Mettici poi la necessità di soddisfare le linee guida di una dieta quasi esclusivamente proteica di un parente stretto e si fa presto a lasciare nelle casse del macellaio una somma in cibo che altrove non ti sogneresti mai di sperperare. Io poi mica me ne intendo. Non riesco a valutare l’entità del sacrificio imposto a questo o quell’altro animale e, all’interno della stessa specie, di questa o quell’altra qualità e zona di provenienza. Si spera che i tempi delle follie bovine – esiste ancora la mucca pazza? – siano tramontati definitivamente e che il pollame sia tutto sommato guarito dalle epidemie che ne hanno macchiato la fama di carne più comune. Ma di fronte a una vetrina fitta di bestiali porzioni anatomiche la mia attenzione cade spesso sui prodotti semilavorati, il cui valore aggiunto dal rivenditore ne aumenta ulteriormente i costi riducendo però la fatica dell’acquirente che, se in vacanza, può fare la differenza. Ecco quindi hamburger, salsicce solo suine o composte di vari mix e le cotolette che non ho mai capito come faccia a venire un rivestimento così omogeneo, probabilmente sbaglio a preparare il pan grattato. Invece mia figlia, come tutti i bambini (spero) è attirata dall’aspetto gotico dell’esposizione, ovvero i cadaveri interi che la osservano da chissà quale dimensione ultraterrena o allevamento dell’aldilà. E mi dice quarda qui e guarda che sguardo quel galletto lì, e io che cerco di cambiare discorso perché effettivamente la cosa non mi mette a mio agio. Comunque alla fine, fatta la dovuta e bieca comparazione economica, la scelta è caduta per la prima volta sulle bistecche equine che dicono abbiano numerose proprietà ma non so, io me li ricordo come sono da vivi, i cavalli, così eleganti e nobili che l’idea di passarli in padella non mi sembra rispettoso. Non che mucche e maiali siano da meno, ma allora le formiche e gli esseri unicellulari e allora i vegetali? Non hanno un’anima anche le piante? Non c’è nessuno lì dentro? Ma c’è la coda dietro, non solo del cavallo ma anche di carnivori dietro di me, e il macellaio deve fare in fretta e prende la mia titubanza come demenza senile e se ne approfitta. Gli ho indicato il cavallo e prima che gli dica se va bene o no afferra quel quarto di equino e lo sbatacchia sull’affettatrice per infierire su quello che rimane di uno dei principali mezzi di locomozione dell’uomo. E in quel gesto, quella parte di carne che sembra proprio il posteriore di un cavallo come li ho appena visti alle olimpiadi in quel pallosissimo dressage che alla Rai sembrava che non esistessero altri sport, ho come avuto l’impressione che fosse proprio un cavallo, il suo corpo sinuoso che dribbla un’ostacolo e poi spicca il balzo e ne salta un altro. E in quel momento avrei voluto dire al signor macellaio che non era il caso, avrei scelto un paio di metri di salsiccia che quello proprio del maiale non ha più nulla. Troppo tardi. Quattordici euro al chilo. Troppo tardi. Per farmene una ragione penso a quanto mi infastidisca il Palio di Siena, in confronto al quale pure il dressage olimpico è un vero spasso. E la bistecca, alla fine, non era davvero niente male.