v per visto che stempiatura?

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Gli uomini di una volta si dividevano in poche macro-categorie a seconda dell’attaccatura dei capelli, prima che l’acconciatura divenisse un vezzo anche per il genere maschile e si diffondessero i crani rasati, i ciuffi, le creste o i codini. Sono sempre stato affascinato dall’attaccatura a V, che non era necessariamente sinonimo di stempiatura. Nella cinematografia del neorealismo italiano, o se vi mettete a cercare nei vostri archivi qualche foto di nonni e bisnonni nel secondo dopoguerra o giù di lì, vi imbattere nelle pettinature brillantinate all’indietro a mettere in risalto questa forma aerodinamica del confine tra fronte e cuoio capelluto, molto più eleganti di quei tagli che sembrano fatti con l’accetta, paralleli alle classiche righe/rughe delle espressioni di stupore. Questo mio orientamento deriva dal fatto che mio papà rientrava in questa macro-categoria a V, almeno finché ha avuto i capelli neri e folti. Me lo ricordo visto dall’alto della finestra della scuola, in prima o seconda elementare, mentre attendeva l’uscita e la maestra che mi invitava con lei, in punta di piedi su una sedia, a vedere sotto per salutarlo da lì. Un’altra volta mia nonna mi aveva sottoposto una pagina di un quotidiano con una foto di uomo a V e mi ero entusiasmato del fatto che mio padre potesse essere sul giornale. E infatti non si trattava di lui, mia nonna voleva solo farmi vedere Sandro Mazzola che io avevo scambiato per papà. Probabilmente si trattava di un momento in cui mi ero appassionato all’Inter, chissà, o forse anche nonna aveva ravvisato una somiglianza tra i due. L’attaccatura dei capelli a V l’ho ritrovata poi in qualche pop star, il cantante degli Heaven 17 per esempio ma se non ricordo male anche in David Bowie. Io no, probabilmente ho preso da mia mamma. O, meglio, la forma a V un po’ è sopraggiunta, ma in questo caso non parlerei di evoluzione genetica quanto di stempiatura da caduta di capelli, per un banale avanzare dell’età.