il culto dei morti

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Ricordo un amichetto che frequentavo ai tempi delle medie che si faceva attendere in bagno tutte le volte in cui andavo a casa sua o quando ci davamo appuntamento per poi accompagnarci durante i nostri passatempi preferiti come la questua degli adesivi pubblicitari nei negozi, un tipo di collezionismo molto anni 70, ne converrete. Arrivavo da lui e sua mamma mi diceva che era in bagno, non si sa bene a fare cosa, tutti i giorni alla stessa ora, e mi pregava di aspettarlo nella sua cameretta. Così trascorrevo lunghe pause di riflessione nelle mie giornate di libera uscita da tredicenne osservando le pareti di quella cameretta da tredicenne ricoperte da poster fondamentalmente di due categorie. Da una parte i Kiss, dall’altra Bruce Lee, soggetti entrambi tipici di un’idolatria maschile adolescenziale anni 70. Tutta roba che comunque non capivo, io ascoltavo reggae e roba tipo gli Specials e i Madness, e quelle facce pitturate e quelle pose tamarre con il nunchaku o come si dice in mano mi sembravano tutta paccottiglia già ampiamente superata. Poi il mio amichetto usciva tutto lavato e profumato, nemmeno se anziché trascorrere la mattina in classe fosse stato in una pescheria, e il pomeriggio continuava malgrado il mio dubbio sulla necessità di recarsi in bagno o fare qualsiasi altra cosa a una determinata ora quando in quella determinata ora hai dato un appuntamento a qualcuno. E né i Kiss tantomeno Bruce Lee mi erano di conforto. Poi siamo cresciuti, ci siamo persi di vista, e la risposta si è persa nel vento.

Tutto questo è riemerso poco fa, all’incrocio qui sotto, quando voltandomi a destra e sinistra per capire se malgrado il semaforo ancora rosso potevo anticipare l’attraversamento pedonale, il mio sguardo si è imbattuto in una coppietta di adolescenti già seminudi per l’improvviso anticipo di bella stagione. Entrambi avevano una borsa in plastica a tracolla, lei con l’effigie di Gene Simmons, il linguacciuto bassista dei Kiss, lui manco a dirlo con un disegno di Bruce Lee in una delle sue pose più celebri, pronto a difendersi dall’attacco del ninja di turno. La combinazione mi ha trasmesso immediatamente il titolo che ho dato a questo post, il culto dei morti, che poi è vero solo in parte perché Gene Simmons mi risulta essere vivo e vegeto malgrado le tonnellate di porcherie che si è messo in faccia nel corso della sua vita. Il culto degli artisti morti, roba che non solo appartiene a quei due ragazzini seminudi appena usciti da scuola, ma non appartiene nemmeno più all’immaginario collettivo. Io stesso ho dovuto sforzarmi per distinguere il bassista dei Kiss da un mostro fantasy qualunque e il maestro di arti marziali da una nota pubblicità che probabilmente ha preso spunto proprio da lì. E chissà, magari i due si apprestavano a fare un giro per Corso Buenos Aires a chiedere adesivi nei negozi.