Voci di corridoio divulgate da qualche talpa che bazzica nelle stanze dei bottoni sostengono che con decorrenza dal prossimo anno le divise civili dei nati nel decennio 1960 – 1970, scaduto il lustro del rosso amaranto, torneranno a essere finalmente di blu scuro. Sono sicuro che la soffiata non ha reso felice solo me. Superati i cinquanta l’abbigliamento vivace sbatte e sottolinea il decorso qualitativo dell’epidermide, soprattutto in volto, soprattutto il collo, soprattutto se non te ne sei mai curato, soprattutto se comunque ami le tonalità scure e preferisci, malgrado fare altrimenti sia quasi impossibile, dare meno nell’occhio. Quello che ci auguriamo noi di mezza età, oltre a un ritorno ai colori primari per le tecniche di segregazione generazionale, è che ci sia una più limpida differenziazione cromatica rispetto alle recenti esperienze.
Quei cretinetti degli under 30, con il loro bordeaux, quante volte negli ultimi tempi hanno provato a mescolarsi a noi dell’élite di potere, peraltro riuscendoci in parte non certo per l’equivoco della nuance quanto per l’ormai rodata capacità, da parte nostra, di imitare i canoni della giovinezza in tutto e per tutto ma questo, si sa, è tema di ben altre considerazioni. Ora, con le nostre divise tutte blu, noi dell’élite torneremo a vivere fieri del nostro contrasto, del nostro tono e del nostro colore, nemmeno se i mutamenti sociali fossero regolamentati da un utente avanzato ai comandi di un Photoshop universale.
Il punto è che, qualsiasi pantone sarà identificativo di quelli sotto di noi nella scala anagrafico-gerarchico-cromatica, noi di una certa età continueremo a diffidare delle figure junior in qualunque posizione essi si collocheranno. Trovarseli in un completo giallo banana in una sala operatoria, in un tribunale, al volante di un taxi o anche solo dietro la friggitrice di un McDonald’s qualunque continuerà a lasciarci perplessi sulle possibilità di riuscita del loro compito e, di conseguenza, l’economia parallela dei capelli bianchi, le organizzazioni e le strutture clandestine a tutela delle cosiddette “cose come si facevano una volta” continueranno a diffondersi fino a quando, in un futuro non troppo remoto, noi della vecchia guardia lasceremo ai posteri una base installata di certezze sulle quali le nuove generazioni, accantonata definitivamente l’ingiustificata presunzione di cavarsela da sé e riconosciuta ufficialmente la nostra superiorità intellettuale, potranno ricostruirsi un sistema stabile e sperare in un prolungamento più sicuro delle aspettative di sopravvivenza.
Ma, a parte questo, sono certo si tratti di uno dei nostri, un fortunato esemplare cresciuto durante questa nostra jeunesse dorée, ad aver pubblicato l’articolo con i dati sul livello di istruzione degli immigrati nel nostro paese che, a quanto risulta dalla sua analisi, potrebbe addirittura farci piazzare ultimi nella classifica dei cervelloni su scala mondiale. Attenzione, però: non sono solo io a sostenere che lo smacco sia tutt’altro che immeritato, considerando che, a parte noi futuri “all blues”, sono gli italiani in primis a risultare un popolo di ignoranti.