tutti vogliono essere donna

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Basta solo passare in rassegna l’indice di quel generoso compendio di modernità occidentale che è il best seller dell’estate 2016 “101 hobby per sentirsi uomo” per comprendere il motivo per cui, al momento della scelta genetica, quasi il doppio dei nascituri si appropria del corred0 cromosomico femminile rinunciando alla barba, al calcio, all’abbigliamento tecnico da montagna Salewa usato arbitrariamente per andare in ufficio e al mono-tasking operativo come standard procedurale, quello che induce milioni di automobilisti uomini a spegnere la musica in macchina con l’approssimarsi del casello autostradale e, di conseguenza, il pulsante dell’alzacristalli elettrico da premere. Ma anche gli utenti del Telepass non se la passano meglio.

Il binomio XX sta letteralmente andando a ruba tanto da aver reso necessario il ricorso a scorte extra. Ma non è un caso che il genere femminile stia incrementando esponenzialmente i propri ranghi a ogni tornata generazionale, un dato di fatto a cui si aggiunge il crescente fenomeno di maschi che, in corso d’opera, scelgono di valicare il confine e chiedere asilo all’altro sesso. Una vera e propria diaspora a cui nemmeno i più preparati studiosi del transgenderism riescono a fornire una previsione sui numeri che ne caratterizzeranno la definitiva esplosione negli anni a seguire.

Tutti vogliono essere donna, e come biasimare il genere umano. I primi effetti di questo trend si riscontrano nel forte calo delle vendite dei prodotti per la birra fai da te, delle mountain bike, addirittura degli smartwatch in uno scenario in cui persino le rivendite di orologi da collezione stanno progressivamente diversificando la gamma dei prodotti.

Tutti vogliono essere donna, e i corpi depilati come punta dell’iceberg di un’industria metrosexual in rapida ascesa sono l’indice di quanto si tratti di un trend nato però con i presupposti sbagliati. D’altronde le linee guida femminili parlano chiaro: esser donna significa ben altro rispetto a qualche accessorio smaccatamente unisex o ai sandali alla schiava pensati per lui che spopolano negli ambienti più coatti di villeggiatura di un’estate anch’essa dalla dubbia identità. La sensibilità, che poi è ciò che fa la vera differenza, pur essendo disponibile sia per Android che per IOS non è stata ancora distribuita nella release maschile e anche le versioni beta – e di esempi in giro se ne vedono a bizzeffe – sono piene di fastidiosissimi bug.

trofeo moretti

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Non si dovrebbe fare sport dopo il lavoro, vero? Invidio quelli che riescono a farlo la mattina presto prima di tutto il resto, io ci ho provato ma a mezzogiorno mi viene già sonno, dopo che ho passato la prima parte della giornata a mangiare tutto quello che trovo sottomano. O fare come un mio collega che in pausa pranzo indossa le scarpette e va a correre al parco in Palestro, ma anche in questo caso avrei seri problemi, il bagno dell’agenzia in cui lavoro non ha la doccia e vi confesso che, dopo una corsa di un’ora, sono inavvicinabile e potete immaginare il motivo. Quindi resta solo la fascia preserale, dalle 18 alle 20, prima di godersi il sacrosanto ristoro del corpo e dello spirito in compagnia dei propri cari. E sapete qual è il problema. Sei lì alla terza serie di addominali che la coach ti elargisce a fine seduta come una ciliegina sulla torta a strati farcita di tutti gli altri muscoli volontari del corpo spremuti per benino e pensi al perché di tutto ciò, dopo aver pensato per otto ore come minimo alle migliori parole per sintetizzare concetti e descrivere emozioni in cui cerchi di mettere te stesso e però sovente ti fanno capire che era meglio se ci avessi messo qualcun altro, dopo aver coordinato persone che sono talmente scoordinate che non ti capaciti di come siano state selezionate, dopo aver percorso in lungo e in largo l’area metropolitana da nord-ovest a sud-est con ritorno al centro sotto la pioggia battente e la variabile impazzita del vento, e mentre pensi al perché di tutto questo per lo meno ti distrai e riesci a finire l’immane sforzo e a quel punto ti chiedi dove sia la soddisfazione. Dove sta di casa. Dove è finita. E, giunto a termine del supplizio, a tavola poco dopo, scopri di essere salito di livello passando con la massima naturalezza dai 33 cl della lattina di una volta ai 66 di oggi perché tua moglie non ha voglia di birra, e pazienza, vorrà dire che la berrai tutta da solo. La soddisfazione in fondo è anche questa, lo sport fortifica lo spirito e aiuta a superare sfide sempre più ardite.

a chi voglio darla a bere

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Non saprei dirvi quanta birra ho tracannato fino ad oggi, dalla prima lattina di Peroni acquistata a tredici anni con gli amici e bevuta di nascosto in vacanza che mi fece volare, con la testa che girava, giù dalle strade sterrate con la bici da cross, fino alla Ceres Top Pilsner che ha accompagnato una sedicente pizza preconfezionata Buitoni, offerta in omaggio al supermercato e, quindi, da buon ligure, testata gratis sulla mia pelle ieri sera a cena. In circa trent’anni una quantità pari a un lago intero, probabilmente. Mangiando o come aperitivo, con gli amici o in casa davanti a un film, con il caldo o sulla neve, pura e semplice o con additivi finalizzati a conquistare più velocemente l’oblio dei sensi. Adoro la birra, è l’unica bevanda che mi disseta, l’unico alcolico che reggo, l’unico liquido sufficientemente amaragnolo da non nausearmi con il retrogusto dolciastro. La mia devozione però ora si trova di fronte a un grande impasse. Il piacere giù per la gola e l’orgasmo fluido delle bollicine lungo l’esofago sono sempre gli stessi, incomparabili. Ma l’effetto di ebbrezza inizia a darmi fastidio, e spero non sia una cosa troppo grave da costringermi a rinunciare a uno dei miei passatempi preferiti. L’impressione di avere il corpo in balia di una sensazione di distacco che prima era così seducente, la testa lievemente asincrona rispetto al resto, ora mi sembra una violazione del corso naturale del comportamento, mi sento qualcosa scorrere al contrario, bloccato su una giostra dalla quale voglio scendere. Forse è un caso, la pizza Buitoni non c’entra perché mi era già capitato prima, spero passi. Ma la ripercussione esistenziale, con riflessione annessa, è stata inevitabile. Ho pensato che magari invecchiare è proprio così, un mettere in crisi tutte le certezze che si sono acquisite lungo una vita, fino all’ultima grande abitudine, quella di essere. Ci berrò un latte e menta su, e poi vi dico.