weekend con il morto

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Mi piacerebbe sperare che questa fosse la volta buona. Quante volte oramai l’ho detto, anzi, l’abbiamo scritto? E poi c’è stato sempre qualcosa che ha fatto sfumare l’affare. L’incomprensione tra le fila dei nostri, il salvataggio dell’ultimo minuto, abbiamo scherzato e votiamo lo stesso la fiducia. Un paio di volte è successo, abbiamo anche vinto le elezioni successive, ma malgrado la leadership, le canzoni di Fossati e di Jovanotti, è stata sufficiente la coscienza integerrima del Turigliatto di turno per mandare all’aria tutto. Ora qualcosa di diverso c’è, a parte il naufragio economico che ci sta travolgendo. C’è che lui, a settantaquattro e ormai completamente sputtanato, mi si passi il termine, su tutti i fronti difficilmente potrà essere riciclato in qualche modo. E anche i suoi fedelissimi e l’elettorato che rappresentano, forse è giunto il momento in cui torneranno sommersi nell’ameno luogo sotterraneo da cui provengono, spinti se non dall’opposizione almeno dai loro ex alleati. Che, di questi tempi, sarebbe comunque un passo in avanti, vero? E io voglio sperare che questa sia la volta buona, perché è da tanto che anelo al suo tracollo politico. Ricordo ancora, era la fine del mese di marzo del 1994, ero barricato nell’allora mia casa di campagna con l’allora mia fidanzata ad attendere, con birra e patatine, fiduciosi i risultati delle elezioni politiche. E quella vittoria inaspettata mi rimase di traverso; stappammo un’altra birra, ricordo, e poi un’altra ancora seguendo alla tv il nostro Paese che aveva scelto di rovinarsi con le proprie mani. Meglio ubriacarsi che arrendersi all’evidenza dei fatti: lui li aveva convinti tutti, il volto nuovo, la discesa in campo, gli slogan calcistici. Il resto è storia ed è lungo e oltremodo complesso da riportare passo per passo. Dicevo che è da tanto che anelo al suo tracollo politico, perché al suo tracollo da essere umano auspico dalla prima volta in cui sentii i Rondò Veneziano su sfondo rosa shocking suggellare l’inizio dei programmi della sua visione di Italia.

la provvidenza

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Sì, proprio lei, la Provvidenza con la p maiuscola che ricopre uno degli aspetti chiave dei Promessi Sposi. Ho riletto con piacere l’opera grazie alla riduzione di Umberto Eco per bambini che mia figlia ha preso in prestito in biblioteca e che ci ha tenuto compagnia durante le ultime serate. Nell’epilogo, Eco rilascia una spiegazione generale del romanzo e dell’intento manzoniano, toccando anche il ruolo della Divina Provvidenza introdotto per riaffermare la giustizia divina al momento giusto della trama. Quando per i buoni sembra non sussistere più una speranza di salvezza, ecco che arriva una terribile peste a far piazza pulita, punire i cattivi e promuovere i giusti, una visione in linea con i tempi ma, a posteriori, un po’ grossolana. Non per me. Ho pensato, infatti: daje, una bella Provvidenza anche ora, una manona che spazza via tutto. Voglio dire, anche la storia del crocifisso e della Minetti dovrebbe convincerli lassù di quanto sono zozzoni questi qui. Ma no, non ci siamo, così è un mix tra una piaga biblica e il video di “Black hole sun”, e poi è un tema inflazionato, c’è già il ventidodiciventidodici. Anche perché da lassù fare le debite distinzioni mica è semplice. Voglio dire, Don Rodrigo era un cattivo tutto d’un pezzo, facilmente identificabile, qui si rischia di andare per le lunghe a causa della quantità di comparse coinvolte. Già, un bel casino. Sono quasi più realistiche le elezioni anticipate.

svendere sogni

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I due manovali dell’IT che mi ammorbano ogni santo giorno descrivendo a voce alta, in treno, questo o quell’altro trucco per vincere la perenne sfida tra l’uomo e la macchina, per inciso ricordatevi che potrete anche vincere una o più battaglie ma giammai riuscirete a sopraffare l’intelligenza artificiale, che ha un’espressione molto ma molto più sveglia della vostra. Questi due abili conversatori dei sistemi operativi che conoscono ogni riga di codice e ogni comando tranne uno, la funzione ciclica che diminuisce di uno a ogni giro il volume della voce fino a che il volume è uguale a zero, e ogni mattina in cui ci incrociamo, e purtroppo il caso ci fa scegliere oltre lo stesso orario anche gli stessi posti, mi distraggono dalla lettura facendomi inciampare nei loro dialoghi, gettando parole come cartacce nei sentieri della trama sulla quale cerco invano di concentrarmi. La suddetta coppia tutta maschile di maître à penser oggi non è sfuggita all’argomento del giorno, ovvero “quante se ne è timbrate” (sic) Berlusconi nella sua vita, pagando o promettendo la celebrità, elargendo bustarelle ripiene come quelle della zia alla comunione prima dell’avvento del commercio elettronico o occupando posti di potere in questa o quell’altra amministrazione pubblica, donando gadget da autoconcessionaria o impiegandole in una delle sue aziende controllate, fornite dal rampante di turno o raccolte questuanti dai fidi emissari del suo pensiero.

Quante se ne sarà timbrate, si chiedono sorridendo con malizia, loro che con quel marsupio da bancarella e la camicia fuori dai pantaloni per occultare l’epa in eccesso, quei mocassini senza calze che lasciano nude caviglie pelose, teste rade ma ugualmente scintillanti grazie al gel effetto bagnato, difficilmente – temo – riuscirebbero ad avvicinare non solo femmine consenzienti ma chiunque. Almeno io, fossi donna, scapperei a gambe levate, a meno di non voler imparare gratuitamente ad amministrare un Ced. E la risposta all’interrogativo del giorno probabilmente è scritta tra le righe della copia di free press che uno dei due tiene tra le mani, il più informato, a quanto pare. Si cimenta in una conta e ipotizza una statistica: se in x mesi ne ha timbrato diciamo trenta, moltiplichiamo per tot anni, magari chissà quando era più giovane che ritmi teneva. Si chiedono come facesse a lavorare, come sia stato possibile fare quel che ha fatto, perché la cifra che se ne evince ha del miracoloso. Diamine, dicono. Diamine, me ne basterebbero un paio. Magari insieme.

Update: a proposito di quantità, ne parla, in termini seri, Giovanna Cosenza qui.

sigla!

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Pensate alla relatività delle cose che accadono, cose anche gravi che però, in un momento storico in cui tutto è grave – e tutto è così grave che ogni sera, almeno al tg3, sentiamo notizie che riportano fatti che sembrano protrarsi da un tempo infinito fin dalla notte della nostra storia – impediscono di mettere in sequenza la scala delle priorità. E ogni sera deglutiamo la nuova variante insieme alla cena, almeno al tg3 (in questo caso mangiate come me, con le galline). Ogni sera assistiamo al trailer del nuovo episodio di questo o quell’altro tema poi approfondito nel servizio che segue, a dimostrarci che è ancora più grave di quello a cui la sintesi di Bianca Berlinguer ha solo accennato.

Per cui sentire tutto quello da cui fugge in questi giorni il nostro presidente del consiglio, anzi, il presidente del consiglio di quei ventiquattro italiani su cento che ancora lo sostengono, sentire i processi e le accuse e le indagini condensate in un inquietante Bignami giornalistico da pochi minuti, altro non è che la puntata di una fiction senza fine, e mi scappa da ridere se penso alla Grecia e a come si mettono le cose. Lo dice anche confindustria. E se a cena viene facile essere qualunquisti, a me succede ma vi giuro che me ne pento quasi subito. Prova è che sto male se mi viene da sorridere ascoltando della nuova fabbrica al sud che chiude; facevano gli autobus urbani per la Fiat, e i lavoratori ora sono lì a gridarmi in faccia i loro slogan. La fabbrica è loro, dicono. Aggiungono che è facile fare l’imprenditore solo quando le cose vanno bene e defilarsi quando iniziano i problemi. Che illusione, che cronache da un altro pianeta mi tocca sentire, hanno tutto contro e il loro imprenditore è solo l’ultimo della lista delle cose da ricordare domani.

Perché per chiudere in bellezza ecco Serena Dandini, sento nominare Santoro e Saviano e la ricchezza del servizio pubblico. La commissione Rai che approva il budget per L’isola dei famosi non ritiene Parla con me abbastanza appealing per la raccolta pubblicitaria. Serena Dandini è ironica, vorrebbe almeno il suo divano. Ora proviamo insieme a fare una classifica, la scala delle priorità, ma vi avverto: terrò conto del fatto che sono stufo di ridere, di vedere gente che cerca di farmi ridere, anche se sono risate intelligenti. Non ne ho più voglia. Apprezzo l’intento, ma siamo fuori tempo limite. E sono certo che chi si scervella per inventarsi nuove gag (gag molto intelligenti, sia chiaro) può tranquillamente trovare un posto di lavoro altrove, magari accontentandosi di meno.

forma e sostanza

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Dopo il Philadelphia al cioccolato, ecco il Belpaese di merda.

troppi ponti

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cesaropapismo

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soluzione finale

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Si chiacchiera come al solito, a tavola, durante il pranzo interfamiliare del dì di festa. E come sempre, almeno dal 1994 a questa parte in tutti i pranzi a cui ho partecipato, il thread più ricorrente è sempre lui. Le discussioni sono spesso sterili e non portano a nulla: contornarsi di persone che la pensano come te aumenta la qualità della vita, ma, diciamoci la verità, il rischio è di suonarsela e cantarsela da soli, approfittando dell’assenza di contradditorio. Non per questo mancano i pareri discordanti, essendo comunque rappresentate tutte le anime dell’opposizione: da Di Pietro a Vendola, con una maggioranza PD (con tutte le sue correnti). E siamo solo in 6 maggiorenni.

Oggi però eravamo tutti d’accordo, a dimostrazione che l’unico trait d’union è sempre l’antiberlusconismo. Ci si casca sempre. Però l’idea non è malvagia, sentite qui. La soluzione finale. Premessa: Silvio, guarda che l’idea non è mia ma di mia cognata, quindi declino ogni responsabilità. Dunque, si potrebbe promulgare in modalità bipartisan un salvacondotto universale per chi si chiama Silvio Berlusconi. Ti perdoniamo tutto, Silvio. Facciamo uno sforzo e ci imponiamo che non ci importa più di nulla: della P2, di Mediaset, di Mills, delle leggi su misura, della lap dance nella tavernetta, delle barzellette, delle figure di m***a che ci hai fatto fare nel mondo, delle corna nelle foto, degli insulti, di tutto il tempo che abbiamo perso perché il Parlamento si doveva occupare degli affari tuoi, delle ville e degli abusi e dei condoni. Mettiamo una pietra su tutto, davvero. Ti facciamo uno scudo a trecentosessanta gradi. Anche trecentosettanta, non lesiniamo. Grazie al salvacondotto, sarai sempre al sicuro e non sconterai mai un minuto in galera, mai un istante davanti a un giudice, mai un secondo in tribunale, e non avrai mai un euro di multa. Nemmeno un centesimo a Debenedetti, davvero.

Ti chiediamo solo di sparire. Vai dove vuoi, in Sardegna, nei Caraibi, parti per il giro del mondo con il tuo entourage di avanzi di bordello. Basta che ti levi dai c*******i per sempre, una volta per tutte.

p.s. l’unico rischio, mi si faceva notare, può essere rappresentato dagli omonimi. Un Silvio Berlusconi è mancato un paio di mesi fa, ce ne saranno sicuramente altri sparsi in Italia, che potrebbero approfittare di questo salvacondotto ad personam per scatenarsi nelle peggio nefandezze. Peggio di così?

what really ails italy?

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Anniversaries are uplifting when you have something to celebrate. A couple on the edge of divorce do not rejoice that their wedding anniversary is around the corner. Something of the same uneasiness surrounded the hundred-and-fiftieth anniversary of the Italian state, on March 17th. As late as February, the government couldn’t decide whether the day should be declared a national holiday. The Northern League, a major party in the ruling coalition, complained about the loss of working hours; many of the League’s members have a separatist agenda and want to avoid a surge in national pride. The governor of South Tyrol, a German-speaking province ceded to Italy after the First World War, said that it was unreasonable to expect his people to celebrate their subjugation to an alien culture.

Tim Parks sul New Yorker.

mettere le cose a centottanta gradi

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Berlusconi e Renzi, a poche ore di distanza, parlano di rotazione. Hanno gli stessi gusti, probabilmente.