amici, un aiutino

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Ed è successo che è stato quando ho visto “Yellow Submarine” la prima volta, e se non ricordo male era un pomeriggio di Natale alla fine dei 70 perché era in bianco e nero sulla tv di famiglia, che ho scoperto che “With a little help from my friends” non era un brano originale di Joe Cocker ma una cover dei Beatles. E pensare che sulla band di Lennon e McCartney ero piuttosto ferrato, il libro di inglese delle medie metteva i loro testi in abbondanza, ero persino stato severamente ammonito dalla prof perché mi ero lasciato trasportare in un’interpretazione discutibile di “Only a Northern Song” durante l’intervallo. Comunque avevo seguito a fatica il psichedelicissimo lungometraggio animato della band di Liverpool, forse anche a causa dei miei primi esperimenti con il moscato ad accompagnare il pandoro. La cosa buffa è che invece l’ho proposto a mia figlia quand’era molto piccola, 5 o 6 anni, come una’alternativa alla routine delle classiche visioni Disney e Pixar, ed è entrato prepotentemente nel suo circuito, sapete come fanno i bambini che si sparano lo stesso film o lo stesso libro o la stessa canzone tutti i fottuti giorni per settimane intere. Invece, appunto, ai tempi in cui non solo non c’erano i sistemi per vedere i film alla tv ma c’erano solo due canali e un terzo che non era certo per piccoli, a malapena ero riuscito a seguire le vicende alternate alle canzoni fino a quando sono rimasto sorpreso del fatto che ci fosse una versione un po’ canzonettara del celebre exploit di Joe Cocker a Woodstock. Non dimentichiamo che la fama di Joe Cocker nei ragazzini italiani derivava anche e soprattutto da “She Came In Through The Bathroom Window”, la sigla del programma “Avventura”

anche se poi sul resto della sua carriera è meglio mettere una pietra sopra, soprattutto nel periodo delle colonne sonore e delle nove settimane e rotti. Quindi, anche se la lotta con un gruppo di giganti come i Beatles era impari, Joe Cocker non era proprio l’ultimo degli sconosciuti. Comunque niente, uno va a cercarsi le cover più strane e misteriose del mondo e per caso, dopo un bel po’ di anni, riascolta la versione di “With a little help from my friends” di Joe Cocker e ha la conferma è molto, ma molto più bella di quella dei Beatles. Voi che ne dite?

l’inedito dei Beatles, un pezzo da sogno

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Stanotte ho sognato che suonavo con i Beatles, probabilmente ero al posto di John Lennon ma in realtà suonavo il basso e avevo di fronte a me Paul McCartney che cantava ma la cosa funzionava lo stesso. Era un sogno, non è che si può pretendere di essere filologici al 100%. Il pezzo non era niente di che ma ero in affanno a fare la seconda voce su quella di Paul, sapete come sono strutturate le loro melodie. La parte strumentale in realtà non era molto complessa, era il classico giro blues in dodici battute e io già alla terza o quarta ripetizione mi ero stufato e avevo cominciato a svisare con il basso inventandomi linee soliste incurante del fatto che avrei potuto disturbare la riuscita del pezzo. Voglio dire, la responsabilità di suonare nei Beatles non è da prendere sotto gamba. Comunque me la stavo cavando bene e la cosa mi prendeva. Paul era molto giovane e muoveva la testa cantando secondo quel suo vezzo un po’ beat, con la frangetta che salta in quel modo yèyè che siamo abituati a vedere nei loro filmati degli esordi.

Ho collegato così quella jam session onirica con una raccolta che faceva mio papà quando ero ragazzo, sapete quelle uscite a fascicoli settimanali che poi alla fine dovevi portare in legatoria per farle assemblare come veri e propri volumi. Mio padre aveva questa mania delle raccolte e non se ne perdeva una. Dalle enciclopedie vere e proprie alla storia universale e le religioni del mondo, una modalità compulsiva e acritica di accumulo privato del sapere, incurante o ignaro dell’esistenza di biblioteche e dell’accesso a consultazioni gratuite e pubbliche. C’era in edicola questa grande storia del rock, e la cosa interessante, consultando la programmazione delle uscite, era la pubblicazione di dischi in aggiunta alle dispense. Il piano prevedeva alcune teste di serie, come Beatles e Rolling Stones, e poi una pletora di cantanti e gruppi mai sentiti e ai tempi non capivo che cosa c’entrassero con la storia del rock. Ma ero ingenuo e non sapevo nulla di diritti musicali e copyright. Ma anche per le band più blasonate, come i Beatles, mica c’erano le canzoni più famose, bensì solo pessime registrazioni live di concerti vecchi come il cucco, con scalette sconosciute e brani poverelli. Per la maggior parte pezzi e cover di rock’n’roll fine anni 50. Che delusione. Malgrado sin dalle prime uscite la fregatura fosse evidente, mio papà andò fino in fondo completando l’intera serie. Inutile dire che non credo di aver mai ascoltato nemmeno uno di quei dischi. Chissà, forse tra i solchi dell’uscita dedicata al quartetto di Liverpool c’è proprio quel brano inedito che ho sognato stanotte, e alla cui composizione ho contribuito anch’io.

Il sogno però poi si è evoluto nel modo surreale e consueto con cui la testa si libera delle tossine della nostra vita e cerca di compensare, in quella fase di incoscienza notturna, tutto ciò che ragione e autocontrollo filtrano con la loro rigidità. Il manico del basso Fender che suonavo – ecco, nel sogno non c’era nemmeno il prestigioso basso a mandolino – a un certo punto non era più un basso ma era la gamba di mia figlia, e io ho cominciato a farle una specie di massaggio come se fossi un panettiere che lavora la pasta e lei era molto divertita, così l’unica occasione di far parte dei Beatles si è trasformata in una sessione di gioco. Io le facevo il solletico tenendola per i piedi e lei mi diceva di continuare e di smetterla allo stesso tempo, come fa sempre, ridendo fino a quando deve correre in bagno.

c’era un ragazzo che come me

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L’irrisolvibile conflitto del ventesimo secolo, che si protrae tutt’ora nelle culture dominanti e alternative vuoi per appurato valore dei soggetti contrapposti vuoi per carenza di elementi di pari grandezza, è quello Beatles o Rolling Stones, qui nominati in ordine puramente alfabetico. A nulla sono serviti, giusto per rendere l’idea, i tentativi di rendere popolari nuovi conflitti cambiando i termini di comparazione con Duran versus Spandau o i più recenti Blur e Oasis. Converrete con me che non c’è partita, stiamo parlando di categorie completamente diverse. E non voglio risolvere la dicotomia, né aggiungere nulla alla letteratura in proposito. Riflettevo solo sul fatto che sono due band imparagonabili, tanto che a me piacciono moltissimo entrambe ma per motivi diversi. I Beatles per l’eclettismo compositivo e per essere durati così poco, avendo concentrato in un decennio un fenomeno di portata epocale e essendo di quel decennio probabilmente la massima espressione da numerosi punti di vista. I Rolling Stones invece per il loro approccio rock blues e per la qualità di prodotti sulla lunga durata, tanto che li preferisco di gran lunga nel periodo degli anni 70 fino ai primi 80, con album spesso sottovalutati quali “Goat Head Soup” ed “Emotional Rescue”. Ecco, mai prender posizioni quando una può farti perdere le cose belle dell’altra.

cavern club

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