pezzi reggae a loro insaputa

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E se vi dicessi che uno dei miei gruppi reggae preferiti sono i Bauhaus? Mi prendereste per matto, vero? Sì, in effetti un’affermazione di questa portata suona più come una provocazione, considerando che la band di Peter Murphy e la musica giamaicana sono piuttosto agli antipodi, almeno per temperatura. Ma io sono uno uso a vedere cose dove non ci sono specialmente in due ambiti: le facce delle persone, trovo somiglianze molto spesso non riconosciute dai più, e colgo il reggae da tutte le parti.

Ma facciamo un passo indietro. Il vostro problema è che non dovreste classificare il reggae solo in presenza di uno strumento in levare. Pur essendo questo l’elemento che viene riconosciuto universalmente come distintivo per il genere, il fatto che per fare un pezzo reggae occorra mettere una ritmica in levare e, viceversa, il fatto che un pezzo che ha una ritmica in levare è un pezzo reggae, è un mito da sfatare. Per dire, la polka ha la chitarra in levare veloce, ma non è che si balla come lo ska. Magari sarebbe divertente da provare in una di quelle feste di paese estive in cui il liscio trionfa sul bene e sul male, ma questo è un altro discorso. E la letteratura pop e rock di casi analoghi è piena. Invece non è difficile considerare reggae canzoni che non hanno uno strumento smaccatamente in levare ma sono caratterizzate da linee di basso e pattern di batteria che, senza nemmeno un po’ di fantasia, potrebbero fungere da base per qualcosa di veramente reggae.

In UK, per esempio, il reggae alla fine degli anni 70 si era infiltrato un po’ ovunque nel rock, nel punk e in certa new wave. Quello dei Bauhaus, però, costituisce un paradosso. Voglio dire, provate a mettere un giamaicano sotto un palco dove c’è uno che sembra un pipistrello travestito da David Bowie che parla di cose deprimenti. Va bene che il reggae è parte della black music, ma dal black al dark il divario è sotto gli occhi di tutti, si tratta di materia scura ma per altri principi. Ma se così fosse, cosa ci facevano i Tv on the Radio sul palco proprio con Peter Murphy e addirittura quella sagoma solare di Trent Reznor a cantare un pezzo che è tutt’altro che un inno alla gioia di vivere, ovvero Bela Lugosi’s Dead?

Sì, ammetto che i Tv on the Radio sono dei musicisti black anomali, ma tant’è. Comunque questo mi consente di arrivare al punto. Il brano in questione, uno dei più noti dei Bauhaus, ha un incedere molto reggae. La batteria con la cassa dritta senza il colpo di rullante a raddoppiarne la portata, i colpi sul bordo molto utilizzati dai batteristi reggae, e il giro di basso, soprattutto. Il parallelo è facilitato anche dal fatto che ogni tanto a Daniel Ash una pennata in levare sulla chitarra gli scappa. Quindi qui, parlare di reggae, è fin troppo semplice.

Il pezzo invece a cui mi riferisco è la traccia uno di “Burning from the inside”, il quarto album in studio della band britannica pubblicato nel 1983. Il disco si apre con “She’s in parties”, la cui attitudine reggae è talmente eclatante che potete giudicarla da voi. Anzi, se andate a a 3:40 di questa versione extended play, c’è pure una parte dub che non stonerebbe come base per del sano toasting.

la legge di Murphy (Peter)

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I MGMT hanno realizzato una cover più che accettabile di quel gran pezzo di canzone che è “All We Ever Wanted Was Everything” dei Bauhaus. Via.

saturday night in the city of dead

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C’è un punto in cui è facile entrare nel piccolo cimitero di L. Non è necessario nemmeno scavalcare il cancello, c’è solo una rete da sollevare e si è già dentro. Il kit della notte bianca tra le tombe è distribuito tra tutti: il riproduttore di musicassette, birre, i plaid per stare al caldo sul marmo gelido, un paio di torce. Non è facile distinguerli mentre si inoltrano tra i cipressi, la luna è nuova, e sono tutti rigorosamente vestiti di nero. Si siedono sulla tomba che ricorda la copertina di Closer, che poi è una foto scattata al cimitero monumentale di Staglieno. C’è una lapide orizzontale, sulla terra, sovrastata da un angelo affranto. Si stendono i plaid, qualcuno stappa una birra, qualcun altro tira fuori una canna preparata prima dove c’era un po’ di luce. Per la musica sono tutti d’accordo sui Bauhaus, perfettamente in tema.

Il gruppo è formato da un paio di coppie a cui si aggiungono 2 ragazze e 3 ragazzi, uno dei quali tende sempre a esagerare, è convinto di avere un canale prediletto con l’oltretomba, ma in quel frangente, sono tutti in odore di reato e basta un niente per passare la notte in caserma e finire il giorno dopo esposti sulla cronaca locale al pubblico ludibrio, è bene stare tranquilli e limitarsi alla bravata di moda. La nottata fila via liscia. Le coppie si limonano, 2 ragazze e 2 ragazzi flirtano sulla voce di Peter Murphy, il quinto, quello che tende a esagerare, ogni tanto si eclissa nel suo canale privato con l’oltretomba. Poco prima dell’alba, si rimette tutto in ordine e ci si prepara per tornare alle rispettive abitazioni. Un paio di loro, e non sono meno gotici degli altri, si sono addormentati. C’è qualcuno che ha passato il giorno a lavorare, anche se sembra poco nobile per una creatura della notte.

E quello che tende a esagerare, si scopre che ha esagerato ancora. Dal tascapane militare nero spunta una lunga croce di acciaio, dentro ci sono anche un paio di lumini, tutto materiale trafugato, dice lui, dalle tombe meno curate. Una delle ragazze, una delle più carine che sembra uscita da un video dei Banshees, gli aveva chiesto se gliene procurava una. Per lui è stato quindi un piacere doppio, una prova di amore, una sfida all’aldilà. Ma Sara, la darkina tutta eyeliner e smalto nero, a casa però un po’ si vergogna di appendere quella croce funerea sulla parete, i genitori ne chiederebbero la provenienza. Per il momento il lugubre pegno d’amore finisce nascosto nell’armadio. E qualche ora dopo, addormentata, ed è praticamente mattino quasi inoltrato, ecco i rimorsi palesarsi attraverso l’inconscio in un sogno tendente all’incubo fin troppo nitido.

Da una tomba a loculo, nel sogno, Sara sente una voce straziante lamentarsi: “Saraaaaaaaa, lasciaci dormireeeeeeeee in paceeeeeeeeeeeee”. Ora, vabbè essere amanti del gotico, ma quello è troppo. Appena si sveglia, è il primissimo pomeriggio ed è sola in casa, in poche ore si veste con i pochi abiti colorati che possiede dalla precedente vita, quindi sale sull’autobus, la linea che porta al cimitero, all’ingresso del quale – sarebbe troppo rischioso cercare la lapide con la croce mancante, e se poi la lapide fosse uguale a quella del sogno è sicura che non reggerebbe il colpo – lascia il corpo del reato, e triste nella sua tristezza gotica perpetua rientra a casa. A rivestire gli abiti neri.

Il giorno successivo, nella prima pagina della cronaca locale, la principale notizia recava il titolo “Vandali devastano il cimitero di L.”, ma il giornalista parlava di semplici balordi, con molta probabilità tossicodipendenti.