la vigilia

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Le scarpe, le giacche, le facce, i colori non abbinati, scarpe con giacche, giacche con facce. Le sigarette accese, i dialoghi, i quotidiani filo-governativi, i silenzi anti-governativi. I minuti extra di attesa, i commenti di interpretazione, le borse e le borsette, l’aria umida tra il cotone e la nuca, l’attesa dell’ennesimo temporale. Le letture, le conversazioni, i conoscenti che si salutano inconsapevoli, gli amici che si voltano e si evitano consapevolmente. Il ritmo dei pensieri, quello dei tasti sul touch-screen sulla musica di un videogioco qualunque e, soprattutto, le voci. L’ottimismo degli uni, il pessimismo degli stessi, i realismo degli altri. Si spengono gli ultimi fuochi e ci si appresta a coricarsi la notte prima del giorno in cui niente sarà più uguale a prima. Quante volte lo abbiamo pensato e poi, il giorno dopo, non è cambiato proprio nulla. Gli attacchi dell’ultima ora per denigrare l’avversario, l’amplificazione dei giornali per attirare clic e generare traffico, clamore, astio, risposte e smentite. E poi la delusione, i soliti con la tessera elettorale e il documento identità, meno di uno su due probabilmente, un apparato istituzionale pronto a contare, controllare, segnalare e dichiarare i vincitori e gli sconfitti. La giornata degli scrutatori e le maratone televisive, le dichiarazioni, i talk show e le analisi approssimative, chi ci crede e chi no. Le opinioni, le considerazioni, l’ironia, la rassegnazione e l’entusiasmo. Le cartacce per strada, le colonne sonore inappropriate, gli schermi in alto per le visioni collettive, i ringraziamenti e persino le telefonate con cui si ammette la vittoria altrui. Il valore di tutto ciò, chi vorrebbe svilire il bello di tutto questo, la democrazia o qualcosa che, tutto sommato, le somiglia. La libertà, finché ce n’è.