Ecco, io vorrei che tutti i ragazzi che stanno per conseguire un diploma e stanno valutando quale facoltà o corso di studi scegliere per prepararsi al mondo del lavoro. O tutti quelli che hanno già una laurea, non trovano lavoro, e credono che così si possano aprire nuove opportunità. Le persone che fanno tutt’altro e sono ancora convinte che si tratti della disciplina del futuro (qui prendo spunto da un post di qualche giorno fa del caro Scorfano, un nick che vi assicuro non gli rende giustizia, se avesse contattato un esperto di naming di prodotto come il sottoscritto prima di sceglierlo lo avrei convinto a desistere). Ecco, a questa massa di ignari che credono che lavorare nella comunicazione aziendale sia un mestiere da fighi, che generi visibilità e, soprattutto, soldi, dico che vorrei che prima di fare una scelta così scellerata venissero in ufficio da me, un paio di giorni, giusto per vedere di che cosa si occupa l’agenzia di comunicazione media.
Perché ci sono le mega-agenzie fighe, che si sono accaparrate i clienti fighi, in genere il cosiddetto b2c, ovvero aziende che vendono direttamente ai consumatori. Dove quindi la comunicazione è pubblicitaria veramente, ti consente di spremere creatività e fantasia per fare iniziative su tutti i canali disponibili, non ultimo Internet. Parli alla testa e, più spesso, alla pancia del prossimo. In questo insieme è chiaro che, come ho già scritto non ricordo dove, c’è il Nespresso ma c’è anche la Lidl, voglio dire, non è detto che l’aspirante Mad Man si ritrovi ad aggiornare i contenuti dello stesso spot con le offerte sottocosto del momento. Puntate qui? In bocca al lupo.
C’è poi la bolgia delle agenzie che seguono il b2b, ovvero le aziende che vendono e quindi comunicano ad altre aziende, un girone infernale in cui vige la regola che donne e uomini, sul lavoro, sono un genere diverso rispetto agli stessi uomini e donne nella loro vita privata. Che un’impresa non è composta da persone, ma da entità nascoste dietro a un job title che vivono in una dimensione parallela. Una dimensione in cui è tutto business, ci si veste business, si pensa business. Così è nata e continua a sopravvivere una obsoleta convenzione per cui il tono della comunicazione b2b non deve essere diretto a persone, ma solo alle imprese.
Come se un CEO, un IT Manager o un Direttore Marketing, una volta a casa, non abbia gusti propri, cambi canale quando uno spot gli fa ribrezzo, scelga le proprie letture e i propri film secondo una sensibilità individuale. Sapete una cosa? In realtà l’organigramma è composto da persone in carne ed ossa, che capiscono benissimo il linguaggio della pubblicità. Vero, amici manager? A casa fate le stesse cose che faccio io, magari siete più abbienti (lo spero per voi), avete più scelta e siete meno vincolati ai costi dell’entertainment, per esempio. E non è che in ufficio cambiate parametri di giudizio sulle persone e sulle cose, giusto? Siete sempre voi stessi. Un po’ più seri perché lo impone l’etichetta del business. Ma sempre voi stessi.
Malgrado ciò, è impossibile cambiare meccanismi consolidati. Faccio un esempio, la prima cosa che mi viene in mente. Se vai da un cliente e gli consigli di ricreare una situazione del genere
per presentare un loro prodotto al loro cliente, anziché una trita slide di PowerPoint, ti mettono immediatamente alla porta. Costa di più, però che diamine, vuoi mettere l’effetto? Magari la persona a cui ti presenti è un fan di Bob Dylan e il gioco è fatto. Invece no. Tutte le aziende sono leader nel loro settore, sono innovatrici per tradizione, sanno calarsi perfettamente nella realtà del cliente, hanno una vision lungimirante. Tutto così standard. Eccheppalle.
Chi vuole lavorare in comunicazione, e ammesso che trovi un lavoro nel settore lo troverà molto probabilmente in una agenzia come la mia, deve essere pronto alla più statica bassa manovalanza creativa. Trovare la stessa idea che ha già in mente il cliente, che pur assomigliando alla sua realtà è comunque la stessa che ha visto già altrove, quindi concretizzarla secondo i suoi gusti, e non quelli delle persone a cui tale comunicazione deve arrivare. E su Internet il problema non cambia di molto, anzi, il contrasto tra obsolescenza e modernità dello scenario è ancora più stridente.