l'auto e la radio, chi è meglio e chi è peggio?

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Voi che fate i pendolari quotidiani con i mezzi pubblici, anche quando non ci fate pure i blog a riguardo sapete bene la fortuna che avete. Provate a interrompere anche solo per un paio di giorni il vostro tran tran, anzi, il vostro tram tram, e fatevi un bel viaggetto da casa al lavoro e ritorno by car. Seguire le direttrici più battute da chi usa mezzi propri per andare in ufficio, per esempio da fuori Milano verso il centro di Milano, è una disgrazia che non auguro neppure al più efferato elettore di Casa Pound.

Sul fronte invece di quelli che usano l’auto anche quando hanno tutte le comodità come la metro a due passi da casa, c’è persino una corrente di pensiero, una vera e propria filosofia di chi si rifiuta di prendere i mezzi pubblici: la calca, i ritardi, quelli che mangiano l’aglio a colazione, i borseggiatori, gli zingari, la gente in genere. La cosa paradossale è che chi usa l’auto paga due volte il suo viaggio verso il posto di lavoro: la prima con le tasse che vengono fatte confluire nell’acquisto e ammodernamento di treni e bus, la seconda con i suoi soldi per un servizio privato. Volete dirmi che è per questo che le tasse non le pagate? Scherzo, eh. Comunque è lo stesso ragionamento che faccio con i libri: perché comprarli due volte quando li ho già pagati con le mie tasse e sono lì che mi aspettano in biblioteca? Ma il vero motivo per cui detesto usare la macchina la mattina per andare in agenzia, cosa che mi succede ogni tanto quando mi tocca usare l’auto aziendale per qualche trasferta di lavoro, non è tanto il traffico quanto essere costretto nel traffico e avere a disposizione come unico diversivo alla coda la radio.

La radio è una merda, le stazioni radiofoniche trasmettono musica di merda e, in particolare, la mattina le radio italiane mettono in palinsesto programmi che così di merda non si può. Mi ci vedete, fermo in circonvallazione, mentre alterno le dita nel naso alle dita (le stesse che prima erano nel naso) sui pulsanti dell’autoradio a fare zapping nella remota speranza di trovare una, dico una canzone decente da lasciare dall’inizio alla fine? La sequenza standard è hit commerciale, speaker idiota che racconta cose che non interessano a nessuno, speaker idiota che ride con un secondo speaker idiota, canzone italiana di merda, preghiera su Radio Maria, speaker idiota, Ligabue, preghiera su Radio Maria (ha millemila sequenze), coda di un pezzo dei Queen, jingle di Virgin Radio, speaker idiota che ride su uno scherzo telefonico andato a buon fine, preghiera su Radio Maria, canzone italiana di merda. Poi c’è l’oasi di Radio Tre che mi fa lo stesso effetto della biblioteca e di quello che dicevo prima sui tram e i treni: gli italiani le risorse pubbliche non se le meritano, a volte non sanno nemmeno che ci sono, e io li vedo camminare ai lati della strada mentre sono ancora bloccato dal traffico al punto di prima. Hanno facce che si vede che hanno appena parcheggiato, beati loro, si divertono con gli zoo di centocinque e gli fanno schifo le pagine dei libri con gli angoli leccati dagli utenti della biblioteca. Li osservo in faccia e ancora una volta mi hanno deluso e mi hanno stufato, di rimando mi metto le dita nel naso e poi cambio ancora una volta stazione e, d’improvviso, Mina che canta ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM, sicuramente c’è Lelio Luttazzi dietro che dirige l’orchestra di un programma in bianco e nero del sabato sera di una volta. Abbasso il finestrino, metto l’autoradio a palla, ZUM ZUM ZUM ZUM ZUM e mi godo lo spettacolo dell’Italia, a Milano, che come me va in ufficio.

i love radio rock

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Ma la radio esiste ancora? Me ne accorgo solo quando mi sparo, come è successo ieri, 800 km in macchina in meno di 24 ore. Ed è un peccato essere disabituati all’intrattenimento freddo, quello che puoi esercitare facendo altro. Peraltro, ogni volta che mi capita scopro qualcosa di nuovo. Lo zapping radiofonico si conferma il mio passatempo preferito, una semplificazione di quanto facevo da ragazzino: mani pronte sul radioregistratore a cassette, schiacciavo con riflesso immediato il pulsante rec ogni volta in cui, passando da una stazione alla successiva, riconoscevo le note di un pezzo a me gradito. Addirittura, nell’era analogica, c’era l’abitudine (almeno io lo facevo) di chiamare durante i programmi di canzoni a richiesta delle emittenti locali per richiedere i brani, implorando gli speaker di trasmetterli integralmente senza parlarci sopra, in modo da poterli registrare puliti. E la mania di cercare continuamente qualcosa di interessante, anziché subire le proposte dei conduttori, la pratico tuttora, benché pericolosa se la strada è trafficata. Ora che le emittenti locali libere sono storia e i network commerciali hanno ucciso la radio più dei video, faccio sempre più fatica a fermarmi su qualcosa di interessante. Che alla fine, scopro essere trasmesso dalle emittenti pubbliche. Ci sono però alcune riflessioni che ho raccolto guidando, e che ora provo a riportare qui.

Virgin Radio. La conoscete vero? Me la immagino come un incommensurabile mediaplayer, una stazione orbitante tipo l’Enterprise ferma in qualche punto indefinibile dell’etere, o una entità astratta in una sorta di dimensione parallela, dalla cui memoria infinita si irradia random ogni cosa possa essere categorizzata con rock. Quindi tutto tranne musica classica e Gigi D’alessio. Si passa con assoluta nonchalance dagli Scorpions ai Pitura Freska, dai Massive Attack ai Motorhead, da Simon&Garfunkel ai Negramaro. In realtà è difficile capire, se si viaggia ai 120 all’ora e si è possessori di un impianto low fi come il mio, il pezzo trasmesso almeno fino al primo ritornello. A volte non prima dell’ultima nota, se si tratta di una trasmissione condotta da qualcuno e questo qualcuno ha il buon cuore di ricordare il titolo del brano. Credo sia in realtà un problema generale di equalizzazione delle trasmissioni, perché mi capita solo con Virgin Radio. Risulta tutto uguale, tutto piatto, chitarroni distorti e charleston aperti con voci perfettamente amalgamate con il rumore del motore. Un indistinto grgsxtrstrgxgxgsrtsrtzzzgrstrztrtstzrgggsrsrstz. Quindi se non afferro la musica, o se non riesco a orientarmi nel ritmo e a non trovare nemmeno l’uno di un banale bum-cha-bumbum-cha, sono in grado di riconoscere l’emittente senza nemmeno leggere il display. Ogni canzone poi sfuma sul jingle. Ma c’è bisogno di metterlo in onda dopo ogni fucking pezzo trasmesso? Una canzone, un jingle. Una canzone, un jingle. Per non parlare degli effetti sotto la voce del diggei di turno, roba tipo ovazioni e applausi da concerto live dei Guns. Voglio dire: come se non ci fosse già abbastanza rumore, nelle automobili medie. Come se non trasmetteste musica che fa già abbastanza casino.

Radio Maria. So di non essere il primo a sollevare il problema. L’unica emittente che si sente ovunque: tra i tornanti delle Alpi, nei sentieri impervi e sterrati che portano alle spiagge più nascoste della costa sarda, sotto i numerosi tunnel della riviera ligure. L’unico segnale umano che si coglie alla radio quando si pensa di essere il più lontano possibile dalla presenza dell’uomo è solo uno. Radio Maria. Non mi è difficile dare una spiegazione. La sua onnipresenza ha in sé un valore prettamente simbolico: l’eucologia ti raggiunge ovunque, in modulazione di frequenza. Ma non riesco a cogliere il valore della preghiera alla radio, e, a dir la verità, mi inquieta non poco. Comunque, i dati Audiradio parlano di 1.644.000 ascoltatori giornalieri (nel 2009).

Radio Padania Libera. Ieri pensavo che se Bersani sostiene di non credere che il 30% degli elettori italiani che nell’Italia settentrionale vota Lega Nord non sia razzista, potrebbe essere un’idea dedicare un po’ di energie a elevare il livello qualitativo della musica trasmessa sull’emittente del senatur. Farceli amici in casa loro. Potrei propormi per un programma di proposte indie-rock, roba alternativa, e vedere come reagiscono i giovani militanti ai National. Il cui nome forse non è dei più appropriati. Si tratta di un mercato da non sottovalutare.

Lifegate. Se non fosse che si prendono così sul serio, non sarebbe male.

La musica. In un campione statistico di 4 ore di ascolto e zapping in FM, credo di essermi fermato ad ascoltare non più di una dozzina di brani. Molti super classici, qualche pezzo di Sanremo, qualcosa che mi ha incuriosito. Per il resto, spazzatura. Tantissimi anni ’80, ovviamente il peggio del periodo. Qualche sorprendente eccezione, come The magnificent seven dei Clash. Ho preso nota però di alcuni pezzi che becco sempre, tutte le volte che accendo la radio. Ve lo giuro. Qualche esempio? The captain of her heart, I’ve been thinking about you, Could you be loved, My sharona, C’è un diavolo in me, e uno dei numerosi pezzi che non riesco a dinstinguere, tanto sono simili tra loro, di Biagio Antonacci.

Gli speaker. Ieri capito casualmente su una intervista a Giusy Ferreri, non ricordo l’emittente. Alla fine capisco che il conduttore del programma è Federico l’olandese volante. Anche la radio, come la tv, si rinnova spesso, penso. Poi, alla quarta voce uguale alle altre che tra battute, volgarità, scherzi telefonici (ancora?!? siamo ancora agli scherzi telefonici come format di intrattenimento?!?) e luoghi comuni, torno su Federico l’olandese volante e rimpiango pure Awanagana e Robertino di Radio Monte Carlo. Tiè.

La riflessione finisce quando, più o meno all’altezza di Alessandria, rientro nel raggio di diffusione di Radio Popolare. Che avrà i suoi limiti (a volte faccio un gioco. Faccio finta di essere un elettore di centrodestra, o un indeciso, o uno che non si interessa di politica, e mi sintonizzo su Radio Popolare, dicendo – fa parte del gioco – “Proviamo ad avvicinarmi un po’ alle idee e alla cultura di sinistra”. Quasi sempre perdo.), ma almeno fa radio con cura. Réclame.