Sbagliare strada la mattina è un errore paragonabile solo a cancellare file utili dal computer per una ditata di troppo e assistere impotenti all’ineluttabile sequenza di nomi familiari – perché magari li hai scelti con cura e in prima persona – che passano dallo stato virtuale a quello della reale assenza con una velocità inaudita. Un crampo della carriera professionale rimediabile, nel migliore dei casi, solo con un paio di notti di lavoro extra per rifare tutto da capo. Ecco, sbagliare strada la mattina e trovarsi in un ingorgo di auto e tir di quelli che non si muovono di un metro e si riconoscono subito anche solo dalle scritte in lingue poco diffuse sui teloni dei camion ha un equivalente indice di gravità.
E non c’è preghiera che possa risolvere la situazione. Nemmeno la retromarcia per tornare indietro di quei cinquanta metri dove c’è lo svincolo che non hai imboccato e un rapido calcolo sul led dell’orologio sul cruscotto rende evidente che l’appuntamento salta, la riunione è da rimandare, il cliente rimarrà deluso, l’occasione non capiterà mai più. E la prima cosa è accondiscendere a quella stretta ai testicoli che prelude l’attacco di panico spegnendo la musica della festa che fino a pochi minuti prima però faceva comodo, accompagnando quel film on the road immaginario che vivificava la trasferta lungo la tangenziale come le pellicole in bianco e nero che qualche folle sperimentatore di non so che cosa ne colorava i fotogrammi uno a uno, con la speranza di una gloria, rivelatasi in seguito altresì vana, di un posto nel pantheon delle milestone del cinema, magari un altarino in musei monografici sulla storia delle immagini in movimento dai fratelli Lumiere ai fratelli Dardenne.
Ma terminata la scampagnata, che forse è stato proprio l’impeto di leggerezza la causa principale dell’equivoco, è bene metterne a tacere la colonna sonora e il degno accompagnatore alla regia che l’ha scelta per te, e piombare nel silenzio dello sgomento rotto solo dalla caustica quanto saccente voce del navigatore che ti esorta a “tornare indietro, quando potete”. Con una pronuncia che se ti concentri bene ricorda il toscano elettronico e per una serie di link contestuali è facile da lì capire quale sia in fondo l’aspetto che urta di più di un candidato alle primarie del centrosinistra che in molti danno per vincente.
E il consiglio suona altrettanto derisorio, perché come diamine faccio a tornare indietro, caro mio Tom Tom. Se tu non fossi un robot ma ti trovassi in carne e ossa al mio fianco ti potrei colpire di lato con una gomitata sul setto nasale. Perché il motivo per cui mi trovo in questa situazione di emergenza è principalmente causa tua e della latenza nell’individuare la mia ubicazione e, di rimando, avvisare circa la giusta direzione da prendere, un ritardo sufficiente a saltare l’opzione corretta e a cacciarmi nei guai. Ma nella strada comunale di fianco che si vede dall’alto di questa colonna infame di auto aziendali, tre amici o colleghi o semplici partecipanti a un incontro organizzato nel frattempo sono scesi dalle loro rispettive vetture e convergono con passo spedito verso l’ingresso di una pizzeria tavola calda a gestione orientale che a quell’ora svolge le funzioni di bar. I tre si fanno mille complimenti per chi deve entrare per primo e alla fine spariscono dentro a consumare il terzo o quarto caffè della giornata. Che, per loro, non dev’essere nemmeno poi così brutta come la mia.