Forse l’unico aspetto deleterio per cui verrà ricordato il processo di dematerializzazione della musica, dovuto all’avvento del digitale, non sarà tanto l’aver mandato in fumo un intero sistema economico identificabile nell’industria culturale di riferimento, quanto la fine dell’ascolto collegiale e del valore sociale del supporto. Non mi riferisco tanto al primato dell’uno o dell’altro tipo – vinile, nastro o cd – quanto alla straordinarietà intrinseca dello stesso dovuta alla dilatata ricorrenza con cui avveniva l’approvvigionamento personale, almeno nel mio caso, tanto che procurarsi questo o quel disco generava una vera e propria catalizzazione di interessi comuni e non era raro considerare la possibilità di vedersi in spazi privati tra più persone, con l’obiettivo di condividere la fruizione in compagnia di una novità, un’alternativa ad altri passatempi ma di eguale livello di interesse rispetto, per esempio, a un film al cinema, per non parlare della visione di un programma tv.
Ma non so, forse recarsi a casa di uno o dell’altro che si era procurato il 33 giri appena uscito del gruppo xyz era un rito consumato solo da fanatici operatori del settore, come il sottoscritto e la sua ristretta cerchia di musicisti dilettanti. Ricordo stanze dedicate all’impianto stereo gremite, gente seduta un po’ ovunque, sigarette accese a raffica e qualcosa da bere, ma soprattutto la noncuranza con cui si affrontavano gli sguardi dei convenuti intenti a posarsi sul vuoto, considerando che esercitare l’udito non comporta necessariamente l’osservazione della sorgente sonora. Gli occhi si posavano sulle espressioni altrui come a condividere l’emozione che la fine di una canzone stava sostituendo alla pienezza del suo manifestarsi con accordi, strumenti, melodie, ritmo e parole congiuntamente. L’elaborazione intima dei solchi di separazione tra un brano e l’altro, un moto interiore come un liquido denso che va a riprendere la forma del suo contenitore non appena riposizionato correttamente dopo esser stato inclinato per versarne un po’ altrove. Quindi l’informale dibattito finale seguente al numero di ripetizioni sufficiente a farsi un giudizio motivabile e l’immancabile richiesta di duplicazione o, nei casi di maggior confidenza, di prestito, una proposta difficilmente esaudibile, facile immaginare il perché.
Oggi l’ascolto collegiale fa sorridere come una qualsiasi altra pratica obsoleta soppiantata dalla facilità e dalla conseguente sovraesposizione con cui il suo elemento cardine è divenuto fruibile individualmente. Resta solo l’inconfessabile soddisfazione che l’invio di un link a youtube abbia uno scarto emotivo sensibilmente diverso, se non minore – ma non voglio spingermi nelle considerazioni etiche – della ricezione di un pacco a seguito di un ordine effettuato per corrispondenza, un tempo le riviste musicali erano piene di inserzionisti che promuovevano questi servizi antesignani del commercio elettronico. L’arrivo della rarità direttamente dal Regno Unito conferiva al destinatario l’aura di miracolato dalla modernità e richiamava un allargato uditorio a festeggiare l’evento in una sorta di rito: prendetene e ascoltatene tutti, questo è il sacrificio che ho fatto con tutti i risparmi che ho speso, condividete con me la gioia del suono nuovo che si sprigiona, per la prima volta, negli spazi in cui vivo.