nati liberi

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Io che sono a tutti gli effetti un uomo del novecento considero la mia naturale collocazione storica come metro di giudizio per distinguere ciò che ritengo friendly e ciò che ritengo apocalittico, l’opzione che non a caso tra me e me definisco da fine del mondo, una cosa che facevo anche prima di venire a conoscenza dei Maya e delle scie chimiche che lasciano al loro passaggio. Da sempre ci sono gli uomini più pavidi che temono l’avvento delle modernità, quindi evitate di biasimarmi perché so di essere in buona compagnia. Vi faccio qualche esempio. Un ambiente di lavoro grande quando il mondo, fatto di persone che parlano una lingua straniera individuata come lingua comune dove chi la sa meglio occupa i posti migliori e sa farsi abbindolare di meno, questo che è un aspetto che i più considerano friendly io dal basso della mia piccolezza lo vivo come un elemento della fine del mondo. E mi viene in mente qualche giorno fa quando ho visto una coppia di rumeni, padre e figlio, che si sono fatti beccare dai Carabinieri del paesello in cui vivo perché sono entrati nella discarica comunale scavalcando il cancello in orari di chiusura per rifornirsi, suppongo, di pezzi di elettronica di consumo di ricambio, magari da rivendere in qualche modo. E si sono fatti beccare perché all’ingresso c’è un cartello grande come una casa con su scritto in italiano che l’area è sorvegliata tramite telecamere, così quando li ho visti con l’espressione di chi non si capacita di una macchina così efficiente come quella della sicurezza pubblica, ho pensato che probabilmente non conoscessero bene la nostra lingua. Se avessero letto, avrebbero capito e non si sarebbero esposti a un rischio così grossolano. Questo per dire che nella società globalizzata non è scontato capirsi, se non ci si capisce non si concludono affari, l’economia ne risente, addirittura perdi il lavoro e l’indiano che ti dà supporto al telefono sul database centralizzato che utilizzi dall’Italia difficilmente sposerà la tua causa, ammesso che capisca il tuo inglese. Nemmeno sa chi sei.

Per non parlare della tecnologia che permette tutto questo, una piattaforma in cui si parla dentro a microfoni, ascoltandosi tramite cuffiette da call center e ci si vede tutti nei sistemi di videoconferenza e il giorno che non paghi la bolletta e ti staccano la linea del telefono o la corrente elettrica stessa che non puoi nemmeno ricaricare la batteria puoi dire addio a tutto questo. Non oso pensare a come reagirei se capitasse a me. Ma non è solo questo. Ci sono le complessità che sono sempre più pressanti e che se non ti sai adeguare sei fuori dai giochi. Saper scegliere tra i contratti, i prodotti, i servizi, oggi che la moltitudine di offerta e di persone impegnate nella vendita è a dir poco invasiva, questa è una componente della nostra vita tutt’altro che friendly. Perché bisognerebbe fare calcoli e simulazioni, leggere pagine su pagine di note e modulistica e disclaimer, il tutto quando hai già un lavoro che ti impegna e ti stressa e poi arrivi a casa e c’è tutto il resto delle cose quotidiane da gestire. E poi ancora tutti i servizi informatizzati, che sono a metà tra il friendly e l’apocalittico. Il check-in tramite Internet e il pagamento del F24 sullo smartcoso, i primi due esempi che mi vengono in mente, sono friendly se tutto va in porto ma se c’è un bug o qualcosa non ti fa concludere l’operazione da che punto devi ripartire? Poi c’è il call center, un altro indiano, e si ritorna alla casistica di cui sopra. Anche imparare a pilotare aerei di linea per poi schiantarsi su un grattacielo è un modo di pensare la cattiveria da fine del mondo, oltre a progettare l’apocalisse tout court. Anche gli annunci di ricerca personale pubblicati da aziende come Google non sono da meno.

Addirittura sono riuscito a individuare musica da fine del mondo, armonie e arrangiamenti talmente moderni che davvero sembrano non di questa era e uno si chiede da dove possano giungere ispirazioni del genere se non da luoghi e tempi a noi sconosciuti, e quelli un po’ ignoranti come me che fanno fatica a misurare l’incommensurabile (che invece è commensurabile visto che ci sono tag e categorie per ogni cosa anche se ci sforziamo a non crederci) mettono tutto nel calderone dell’apocalisse, come nel medioevo si liquidava con roghi e scomuniche tutto ciò che non era interpretabile con la fede e tramite le scritture. Ma questo è un gioco rischioso, questo della paura di ciò che non si conosce appieno, e noi professionisti di media cultura occidentali dovremmo assumerci la nostra responsabilità e illuminare le zone d’ombra che il progresso lascia sotto di sé. Una amica, che lavora presso un’agenzia di assicurazioni, mi ha riferito di un suo cliente senegalese convinto che i terremoti siano opera di Allah indispettito dal fatto che il progresso comprenda anche la possibilità che uomini vogliano accoppiarsi con altri uomini. E non so dove voglio arrivare, non ho una teoria e una boutade per concludere questa riflessione con ironia. È solo che non potendo coprire l’esigenza di fare chiarezza con l’ignoto con una fede o una superstizione, non so proprio come procedere. Ditemi voi, sono aperto a consigli. Ah, dimenticavo, una colonna sonora da fine del mondo potrebbe essere questa qui.