sei degli anni sessanta se ti lamenti che alle elementari sprecavi il tempo a imparare Bella Ciao

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Sei nato negli anni sessanta se ti lamenti che alle elementari sprecavi il tempo a imparare Bella Ciao e ad ascoltare racconti e agiografie sui partigiani anziché imparare l’informatica o a stare al mondo. Premesso che ho molti amici nati negli anni sessanta, se non altro perché si tratta di una generazione a cui appartengo anche io, non è la prima volta che sento persone lamentarsi su questa lunghezza d’onda come se nel 73 ci fossero già stati i personal computer o se far fronte alle complessità degli anni di piombo fosse di analogo impegno di far fronte agli anni di grillo. Roba che fa rabbrividire anche i più moderati come il sottoscritto.

Ma la sostanza non cambia. C’è chi vorrebbe aver avuto una migliore preparazione sulle lingue straniere, inglese in primis, roba che le maestre di un tempo non si filavano nemmeno di striscio, già era un successo quando non parlavano in dialetto. C’è chi anche avrebbe voluto meno Sumeri e più Educazione Civica, qualche ora in meno di storia antica e un po’ di spiegazioni in più su come ci si comporta con la cosa pubblica, come funziona una democrazia rappresentativa, perché è importante partecipare alla vita politica, un bagaglio nozionistico utile anche a casa per rieducare genitori e nonni che ai tempi del maestro unico erano dei bei zucconi ma mai come adesso. Comunque non siamo in pochi noi che portiamo vivido il ricordo dei canti della Resistenza forse – e giustamente, lasciatemelo dire – più presenti nell’orario dell’insegnamento della religione stessa.

Non so, ma per me è stata una bellissima esperienza che a quarant’anni di distanza rimpiango più di altre. Così, quando sento lamentarsi qualcuno, come mi è successo qualche giorno fa, proprio dell’eccessiva attenzione che ai tempi si dava alla nostra storia recente rimango basito da cotanta trivialità. Che è chiaro che sotto sotto poi sono gli stessi che se gli chiedi spiegazioni attaccano con la solfa del sessantotto, dell’egemonia culturale della sinistra, delle maestre comuniste nella sperimentazione didattica, dei libri di storia e che due coglioni. Primo: se a destra non avete studiato per diventare insegnanti sono fatti vostri. Secondo: cosa avrebbe dovuto fare, la scuola italiana? Insegnare anche i canti fascisti da intonare a testa all’ingiù a Piazzale Loreto? Ma fatemi il piacere.

C’era un altro tizio, infine, un collega di tanti anni or sono che aveva addirittura avuto un rigurgito da troppa ingerenza come accade a quelli che studiano troppo dalle suore. Avete presente, vero? Era uno che era stato talmente indottrinato sui partigiani che alla fine aveva sbroccato, ai tempi non votava nemmeno e chissà, oggi anche lui è un fan dell’antipolitica. So che per voi che siete cresciuti quando Berlusconi era già uno statista è difficile da immaginare, ma quando gli anni della guerra ancora si percepivano sulla pelle della gente era tutto diverso. Non so dire se meglio o peggio, o meglio, so che è meglio ma è meglio che non lo dica.

take my tears and that’s not nearly all

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Sono sicuro che se mi avessero installato addosso Google Analytics sin dalla nascita, magari al momento della registrazione nel database dell’anagrafe che negli anni sessanta potete immaginare di quale materiale consistesse, una delle pagine più visitate nella mia esistenza in ambito musicale risulterebbe quella in cui il pezzo in questione è stato embeddato, come si dice tra noi guru di mezza età del web che quando per lavoro dobbiamo visualizzare una pagina di Facebook ci sentiamo ancora in colpa perché sì, avrà tutte le potenzialità marketing che dicono, ma ci sembra comunque di cazzeggiare. Ma, tornando a Tainted Love, come avrete capito sin dal titolo di questa profonda riflessione, non è che tutti questi clic nella mia memoria sono dovuti al fatto che è uno dei pezzi che mi piace di più. Diciamo che da allora, dai primi vagiti nel reparto di ostetricia di una cittadina di provincia, lo si è sentito in tutte le salse e in tutte le versioni, a partire da quella che lo ha portato al successo più ampio dei Soft Cell, passando per quella dissacrante quanto inutile di Marilyn Manson fino a una pessima cover in formato cassa dritta avanti tutta che giusto poco fa in un’ora di ginnastica le vicine che fanno GAG hanno ballato almeno tre volte di fila. Degno di nota anche un facile riadattamento dei Boppin’ Kids, trio rockabilly siciliano, verso la fine degli anni 80. Saprete quindi tutti che però l’originale rimane sempre la versione più riuscita, su questo non c’è synth pop che tenga, e chissà che l’avvenente Gloria Jones possa essere stata per Marc Almond un’icona equivalente a Sandy Shaw per Morrissey. Questa è una banalità del tutto personale e non se nemmeno se possa essere dimostrabile, ci vorrebbe l’evidenziatore come su Wikipedia o potrei chiedere un parere a qualche esperto come quella mia amica che anni fa acquistò il biglietto dei The Cure a Torino solo perché c’era Marc Almond come supporter e, terminata la sua esibizione, se ne andò ritenendo non ci fosse altro da aggiungere. Ci limitiamo però a riconoscere all’unanimità che la versione qui sotto è un capolavoro di Northern Soul, e almeno questo è innegabile.