che cosa c’è dentro

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Siamo tutti d’accordo che quando cerchi un buon analista non vai su Google, digiti qualche parola chiave su di te, su quello che ti aspetti o sul percorso che vorresti fare e poi, uno a uno, approfondisci i risultati che ti vengono presentati. Non è un sistema ancora pronto per questo genere di cose. Poi verrà il giorno in cui ci sarà anche il marketing digitale in questo settore e ci sarà pure l’opportunità di acquistare sedute con lo psicologo su Groupon o Trivago in occasioni scontate del 75%. Che non sarebbe poi così cattiva, come idea, visti i costi che non sono certo i cinque centesimi delle vignette su Lucy e Charlie Brown. C’era un amico che per mantenersi il percorso di sostegno in questo senso faceva un secondo lavoro. E uno non si aspetta nemmeno di trovarsi seduto in un sobrio chiosco in strada, vista tutta la letteratura televisiva e cinematografica a supporto del nostro immaginario. Però se entri nello studio la prima volta e non vedi il lettino pensi che uhm, non è proprio questo che intendevo, mi andrà bene lo stesso?

Che già la figura stessa che magari diventerà il tuo punto di riferimento e il tuo principale investimento per i prossimi tre, quattro o cinque anni non è proprio la persona che ti aspettavi. Materna o addirittura senile, che già la dice lunga sull’idea che uno si fa quando decide di affrontare una sfida impegnativa come quella, che non è che ti svegli e decidi di farlo dopo aver scremato una rosa che comprende fare una gita, mettere a posto il garage, approfondire temi sui quali hai notizie solo per sentito dire come che cosa davvero ci mettono nel cibo per animali domestici e se è vero che prendono le galline e le triturano tutte intere per fare quei cosini da imbustare in confezioni da cento grammi che lì dentro c’è tutto il necessario per un’alimentazione equilibrata.

No. Fai più di due conti, e in tutti i sensi, quindi suoni alla porta e malgrado tutto quello che ti aspetti ti sorprendi che possono davvero esistere dei meccanismi di transfert. Il dolcevita austero, i jeans attillati che terminano negli anfibi, i calzettoni a righe orizzontali e, una volta dentro, quello che sarà il tuo contenitore di progetti per i giorni a venire. Uno studio minuscolo in cui a malapena ci possono stare il dottore e il paziente e tutte le aspettative, una volta che verranno chieste come prima cosa, per rompere il ghiaccio. Una porta finestra e nient’altro perché non ci sta altro sul lato stretto, una libreria sul lato lungo, e due sedie poltrone Ikea che dopo i dentisti si vede che l’architettura d’interni standardizzata ha preso piede anche tra i junghiani e probabilmente c’è un nesso in tutto ciò come invece non c’è nemmeno un tavolino a separare il proprio sé da quello altrui. Nemmeno una barriera. Nulla se non la propria nudità, quella che magari si sogna malcelata in situazioni inopportune e chissà se quello è proprio il luogo giusto per capire cosa c’è sotto. E alla fine come è andata, visto che era la prima volta? Bello è un aggettivo inopportuno, ma qualcosa si deve aver trovato lì dentro se è stato necessario uscire tre volte, alla fine del tempo regolamentare. Una prima con sé stessi ma senza la borsa, una seconda con la borsa ma senza l’ombrello, e la terza tali e quali a quando si era entrati ma con una consapevolezza in più.