segni dell’antica fiamma

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Sinceramente non ricordo quando sia successo a me, ammesso che a me sia successo. Sta di fatto che qualche giorno fa, mentre eravamo a spasso freschi freschi di vacanza, mia figlia a sette anni e mezzo e quasi in terza elementare ha fatto un po’ di domande sull’amore, sui sentimenti e sulle relazioni al suo papà. A me. Ammetto che è dal giorno in cui ho scoperto il sesso della creatura che si stava sviluppando dentro mia moglie che aspetto con angoscia momenti come questo, un temibile elenco di incontri ineluttabili con il destino che comprende, in ordine cronologico, altre scadenze quali il primo ciclo mestruale o il suo primo appuntamento.

Ma verso questi ultimi due, sarà che mi sembrano ancora lontani, non nutro una particolare ansietà. Giuro. Nel primo caso si tratta di un passo dello sviluppo naturale, come lo svezzamento o i denti da latte che lasciano il posto a quelli da adulti. E per quanto riguarda il primo appuntamento, per ora, mi limito a un boh, cioè nel mio immaginario ci sono numerosi film americani in cui i padri guardano le figlie in attesa che il campanello suoni e che dicono loro che sono bellissime tanto da poter far girare la testa a chiunque, mi viene in mente per esempio Pretty in pink. Ecco, magari la fatidica sera schiatterò di gelosia ma mi sforzerò di comportarmi così, e, appena uscita, metterò su i Psychedelic Furs, mi attaccherò alla bottiglia di Cognac e piangerò sulla spalla di mia moglie, che più razionale di me mi consolerà mettendomi al corrente di tutte le informazioni che ha raccolto di nascosto sul (o sulla) mini-pretendente.

Invece, b-movie americani a parte, ammetto di non essere stato abbastanza pronto a sostenere una conversazione sull’amore proprio ora, cioè così presto, temo di non aver reagito con la acuta sagacia che ha contraddistinto fino ad ora il mio ruolo di padre (ehm). Ma forse non era ancora la volta decisiva, cioè si è trattato di una chiacchierata sui generis, volta a soddisfare la curiosità scaturita dalla sua ennesima lettura vacanziera. I termini con cui mia figlia ha presentato le sue argomentazioni sono rispettabilissimi ma ancora nella sfera un po’ caotica della prima infanzia. Dove cioè l’amore è quella cosa che i bimbi vedono nell’unione dei genitori (quando sono uniti, naturalmente) e che si alimenta da fonti aleatorie quali i cartoni animati, le porcherie della pubblicità e della tivù, le canzoni, i libri, i fumetti, le copertine delle riviste da grandi (e purtroppo da adulti) nelle edicole, i racconti dei propri fratelli/sorelle maggiori o dei fratelli/sorelle maggiori dei compagni di classe, i compagni di classe che mediano, anzi, distorcono tutto quanto, probabilmente la fonte più pericolosa.

Ogni bambino ha una sua innamorata, a quanto pare, e non tutti sono corrisposti, fortunatamente. Perché c’è Tizio che dice di amare tutte, ma solo in due ammettono di essere fidanzate con lui. Ci sono già le classiche catene, A che ama B ma B è innamorato di C che però ama D che vorrebbe stare con E a cui è antipatico A. Eh, bambina mia, c’est la vie. Ne vedrai di ogni. E le bambine che vogliono baciare altre bambine non necessariamente, cerco di spiegarle, hanno un orientamento omosessuale. Gli esseri umani si abbracciano e si baciano anche perché si vogliono bene, ci sono numerosi livelli di amicizia, l’amore è un’altra categoria, non necessariamente al culmine di intensità. E c’è Caio che dice di essere ossessionato, ama mia figlia dalla scuola materna. Tranquilli, tutto sotto controllo, so a chi si stia riferendo, sono mesi che non si vedono più, non c’è pericolo di un fidanzamento prematuro.

E poi, le dico, da qui alla terza media, età in cui più o meno avvampano le prime cotte serie, c’è tempo, chissà quanti bambini o ragazzini avrai conosciuto e avrai considerato simpatici. Ma a quel punto sono un po’ scosso, chissà se davvero sono stato esaustivo. La guardo, lei mi sorride e mi prende per mano. Papà, prima di salire in casa giochiamo un po’ a ping-pong? Whew, tiro un sospiro di sollievo, forse sono ancora ai primi posti della sua classifica. E ho ancora qualche mese di tempo per prepararmi meglio.

compagni che sbagliano

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Parlare dei propri figli, parlarne male, è pressoché impossibile. Anche solo pensarne male, a meno di essere padre di Giusva Fioravanti. E forse nemmeno in quel caso. Chissà come si affronta un dramma di quella portata, da genitore con appena 7 anni di esperienza non voglio nemmeno pensarci. Su tutt’altro livello di drammi familiari, è stato illuminante invece scambiare qualche impressione con A. M., una delle clienti (mi spiace definirla così) con cui sono più in confidenza. Diciamo allora una amica con cui ho anche rapporti di lavoro.

A. M. ha un figlio di 16 anni, un’impresa da affrontare quotidianamente già di per sé, una occupazione a tempo pieno dalla quale non si hanno vacanze, giorni festivi o permessi. Non puoi darti malato. Figuriamoci non esserne sufficientemente all’altezza. E quella che mi ha raccontato sembra una storia di altri tempi. “P. è un ragazzo un po’ particolare, non lo dico perché è mio figlio. In piena fase di ribellione, ma con quella componente di ipersensibilità che lo mette a rischio di tutto“. È un po’ di anni che non lo vedo.  E anche solo qualche mese, a quindici o sedici anni, lo sapete meglio di me, sono interi stadi compiuti e archiviati. Lo ricordo un po’ chiuso, permaloso, facile alle lacrime. Un po’ sfigato, se vogliamo. Ma A. M. sostiene che P. abbia colmato le mancanze della sua personalità in fieri con elementi di originalità, talvolta un po’ forzati ma perdonabili, in un adolescente. Per quanto poi possa essere provocatoria l’originalità del 2011… oops, mi è scappato..

P. si atteggia molto a strano tendente al depresso, inizia a polemizzare inutilmente con gli insegnanti, è in una sezione del suo liceo piuttosto difficile. I compagni, poi, di certo non alleggeriscono la situazione. Da parte sua non va benissimo, qualche insufficienza, in generale cazzeggia alla grande e non riesco a capire da dove derivi il suo disagio“. A. M., da persona intelligente qual è, è consapevole perfettamente che alla base del problema ci siano lei, suo marito e l’ambiente in cui P. è cresciuto, un sistema educativo di base inadatto ad affrontare le complessità a cui sono soggetti i giovani come P., in maniera adeguata. Apprezzo però il fatto che né A. M. né suo marito addossino le responsabilità di questo genere di debacle alla scuola.

Quello che però più sconvolge A. M. è quanto è successo un paio di settimane fa. P. ha manifestato il desiderio di lasciare gli studi, cambiare scuola per lo meno. Questo atteggiamento ha accresciuto la sua popolarità in classe, che sta idealizzando in lui una parte del desiderio di anticonformismo addormentato e messo a tacere dalle rispettive famiglie. G. né è il l’esempio più eclatante.

G. è uno dei compagni di classe con cui P. è più in sintonia. Serio, bravissimo a scuola, molto intelligente, idolatrato da tutti. L’eroe vestito di bianco. G. deve aver palesato l’ammirazione per il modello negativo (rispetto a canoni da libro cuore, sia chiaro) che P. rappresenta. Il che è paradossale, perché A. M. mi ha assicurato che è l’esatto contrario: “è P. ad avere come modello positivo G., un ragazzo dotato di numerose qualità che P. tenta di emulare“. Ma la famiglia di G. si è prontamente messa in allarme.

Non puoi immaginare con quale stato d’animo ho ascoltato la preghiera di T., la mamma di G. Mi ha chiamato chiedendomi se potevamo incontrarci. Non avevo lontanamente immaginato l’argomento e gli obiettivi dell’incontro“. T. ha esplicitato senza mezzi termini alla mamma di P. che non gradisce che i due ragazzi si frequentino, non vuole che si vedano fuori dalla scuola, che trascorrano il tempo libero insieme. Che si scambino musica o impressioni su film e libri. Tutto questo a 16 anni, non stiamo parlando di ragazzini delle medie. Sorpresi? “I due ragazzi sono amici, ma non sono i rispettivi migliori amici l’uno dell’altro. P. frequenta da qualche tempo un gruppo di ragazzi del quartiere, piuttosto diversi da quello che T. ha pianificato per suo figlio, cosa che penso anche io. Non credo sia un problema la separazione forzata dei due. Non so se G. sappia quello che ha in testa sua madre, se sia al corrente di tutto ciò. Mi chiedo come affrontare la cosa con P., è di lui che mi preoccupo“.

Le ho chiesto però, da madre, come l’ha presa. “A freddo, ora sono più esterrefatta rispetto alla prima reazione che ho avuto. Subito ho pensato che fosse giusto così, che per il bene di mio figlio forse avrei fatto lo stesso anche io. Poi mi sono chiesta che tipo di danno P. avrebbe potuto recare a G. Voglio dire: non hai dato a tuo figlio gli strumenti per difenderti da un modello umano che al massimo potrebbe convincerti ad ascoltare gruppi da depressi o a farti crescere i capelli? Questa madre non è in grado di educare alla sicurezza di sé un ragazzo adolescente se non spintonando fuori dal suo cammino aureo qualsiasi lieve incongruenza di percorso?“.

Ora A. M. non sa però quale tattica adottare con il povero P., che già è abbastanza confuso, figuriamoci se viene a sapere che sta per trasformarsi in un eroe maledetto. Lato mio, invece, ho riflettutto su come far finire la storia. Cosa succederà tra P. e G.

P. probabilmente non si accorgerà delle pressioni dei suoi genitori per raffreddare il suo rapporto con G., ma pian piano i due ragazzi si separeranno. Sicuramente prenderanno strade diverse, d’altronde sono già ora così differenti. Secondo me è stato persino superfluo forzarne l’allontanamento, a meno che per G. l’attrazione per P. fosse più radicata. Magari, tra qualche anno, una casualità li rimetterà in contatto. Sono aperte le scommesse su chi dei due avrà sentito di più la mancanza dell’altro.