Era dai tempi di “Nun te scurdà” che non si sentiva una canzone in dialetto così bella. Ma non è solo l’eccellente qualità che accomuna e crea un filo conduttore tra uno dei pezzi italiani più toccanti di tutti i tempi (contenuto in uno degli album italiani più riusciti in assoluto che è “Sanacore”) e “Tu t’e scurdat’ ‘e me” di Liberato, e non mi riferisco al tema della memoria presente in entrambi i titoli. Si dice che “Tu t’e scurdat’ ‘e me” sia un pezzo trap ma a me sembra un reggae a tutti gli effetti, anzi pervaso dalla stessa raffinatezza con cui lo hanno suonato gli Almamegretta che nel loro stile non hanno mai appesantito gli strumenti in levare. Provate a sentirli in sequenza “Tu t’e scurdat’ ‘e me” e “Nun te scurdà”, uno dopo l’altro, e mi darete ragione. Il mio sogno è quindi quello di vedere il pischello Liberato che canta i suoi pezzi accompagnato da quei matusa della band di Raiz e vedere sotto il palco l’effetto che fa. Chiudiamo gli occhi e immaginiamocelo tutti, magari il sogno si avvera.
almamegretta
non ci siamo dimenticati
StandardIn perfetto mood con il cielo plumbeo, ecco un’infilata di versioni del pezzo reggae più malinconico della storia della Giamaica, tanto il pezzo è stato composto a Napoli. Sarete d’accordo con me nel considerarlo una delle vette della civiltà musicale italiana. Dalla versione di Sanacore, all’ultima tratta dal documentario Passione, mettete gli altoparlanti al massimo e ballate insieme a me.
gli italiani lo fanno così così
StandardCapisco che l’esterofilia fine a se stessa sia scostante, e non vorrei certo sembrarvi antipatico. Anzi. E vi assicuro che mi impegno a seguire il panorama locale in ambito musicale, editoriale e cinematografico. E probabilmente lo farò ancora, anche solo per un briciolo di campanilismo. Ma, diamine, mi cadono sempre più le braccia.
Per farvi un esempio, anzi tre ma partiamo dal primo, fino a qualche anno fa seguivo con acceso interesse la musica italiana, le nuove band e il trend del momento, affidandomi soprattutto ai principali siti specializzati, come quelli che organizzano i festival dei baci e degli abbracci. Il motivo? Da una parte era il retaggio che mi portavo dietro da sempre, avendo occupato gran parte della mia vita (almeno 30 anni) a suonare in gruppi più o meno underground. Se volete saperne di più, questo blog è pieno di riferimenti alla mia vita precedente, e vi consiglio di iniziare dalla fine di quella esperienza. Seguivo i forum, partecipavo alle discussioni. Ma anche prima di Internet, ho letto e mi sono costantemente tenuto aggiornato, in un percorso che parte dagli Area passando per Diaframma, Litfiba e CCCP, poi svolta con Almamegretta e Casino Royale, sempre dritto per arrivare a Scisma e Subsonica. Ho parcheggiato di fronte agli Offlaga Disco Pax e sono sceso dal mezzo, autoradio alla mano, perché era subentrato nel frattempo il nulla più assoluto.
Più difficile argomentare la mia esterofilia in ambito letterario, sono meno competente (o più cialtrone, dipende dai punti di vista), il campo è oltremodo più vasto, più difficile da conoscere approfonditamente e da valutare. Diciamo che, esaurita la bibliografia del ‘900 italiano, ho perso l’orientamento passando da Pavese, per fare un esempio, a un qualsiasi autore emergente. Le poche volte in cui ho dato un’opportunità a uno scrittore locale (passatemi l’aggettivo), mentre mi si ripresentava a menadito il metro quadrato storico, politico e geografico in cui erano state ambientate le vicende descritte nell’opera di turno, già rimpiangevo la sicurezza dei parametri che utilizzo in fase di scouting di nuovi autori per il mio tempo libero. Ovvero: nati possibilmente tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico (procedendo verso ovest), a nord del Messico e a sud del Canada (con l’eccezione di Coupland e degli autori nati in Alaska), tra il 1900 e il 2011. Un sottoinsieme già di per sé infinito.
Il terzo e ultimo elemento di riflessione riguarda il cinema. Qui converrete con me della difficoltà (mi veniva da scrivere dell’inesistenza, poi ho pensato che sarei risultato antipatico agli estimatori di Moretti, Martone, Costanzo, Sorrentino e Virzì, quei pochi di cui ho seguito l’attività) di mettere insieme un elenco sufficientemente corposo di prodotti di oggettivo valore, se comparati a omologhi lavori indipendenti o no realizzati all’estero. E anche in questo caso non so quanto sia determinante il fatto che altrove il cinema è un’industria mentre da noi è un hobby per figli di papà. Non so se il mio disagio di fronte ai film italiani dipenda dal gap qualitativo tra la recitazione degli attori (e dei loro accenti) e quella dei doppiatori di film stranieri, dalla piccolezza (si dice così) delle storie raccontate, un po’ come avviene per la letteratura, dalla scarsa attendibilità delle facce degli attori, dai registi.
Tutto questo per lanciare un appello: ridatemi speranza. Consigliatemi voi: libri, film e dischi italiani, di cui ne valga la pena.