In questi tempi di Europei e non solo, non avete idea di quanto sia difficile trovare qualcosa ancora in grado di stupirci. L’Internet ha ridotto ai minimi termini le soglie della sorpresa e della scoperta, ma in questa eterna calma piatta digitale sopravvivono ancora, per fortuna, margini di incursioni nell’umanità in carne, ossa, spirito e, soprattutto, arte. Sacche di resistenza all’omologazione imposta dalla socialmediocrità. Ho trovato, per esempio, della bontà in Beyoncé. Bello sforzo, mi direte, nel senso che in effetti per essere bona è bona. Ma non avrei mai detto che, a cinquant’anni, avrei apprezzato un suo disco. E invece vi assicuro che “Lemonade” è davvero un ottimo lavoro agli antipodi di quello che uno si potrebbe aspettare da un disco di Beyoncé. Questa rece di Ondarock gli rende giustizia. Se vi aspettate il solito poppettone polpettone avete preso una cantonata: certo, siamo sempre all’interno dei parametri della musica black, ma dimenticatevi le cosce e il sudore, le tette e i bicipiti degli afroamericani. Preparatevi a una raffinatezza rara, pensando al tipo di prodotto, e schiodatevi quel rigore indie-rock che vi preclude paesaggi sonori evoluti. Io, per dire, mi ci sono addentrato e mi sono perso ma vi giuro che non mi sono minimamente preoccupato. Anzi, ho approfittato della quiete per scartabellare con calma in alcune cose che facevo difficoltà a collocare. Era un po’ di giorni che pensavo a Loredana Bertè e alla sua tecnica di scavalcare il pubblico delle trasmissioni televisive in bianco e nero in abiti scollacciati che alimentava corposamente la mia fantasia da ragazzino. Appassionato di reggae, “E la luna bussò” rappresentava una costante proibita per due motivi: era cantata da una ragazza avvenente e sconfinava oltre i territori della musica imposti dal rigore dell’impegno stilistico ed estetico della nicchia imperante. Incuriosito anche dalla sua nuova riaffermazione televisiva grazie ai talent canori ho pensato così di rinfrescarmi la memoria con la sua discografia e, come per Beyoncé, ho dovuto ammettere che c’è del buono, oltre a essere stata una bonazza (e perdonatemi l’espressione ma se no il gioco di parole non funzionava). A me piaceva molto “In alto mare”. Benché il mio cuore in quegli anni appartenesse alla Alice di “Per Elisa”, dovevo in qualche modo appagare il mio lato tamarro.
Alice
le mie reazioni non le controllo più quanto mi manchi
StandardNessuno aveva compreso ancora in pieno il valore di Franco Battiato, anzi posso affermare con certezza che nessuno lo ascoltasse proprio, quindi la passione con cui seguivamo le apparizioni televisive di Alice nei passionali playback de “Il vento caldo dell’estate” era pura, genuina e tutt’altro che veicolata dalle ingerenze di un certo superfluo intellettualismo di quel tipo che spinge ad apprezzare certe cose ma solo come vezzo, in quanto facilmente collegabili per una manciata di gradi di separazione a qualcosa di universalmente accettato dalle lobby degli opinion leader della cultura che conta. Nel senso che se quando esce qualcosa che ha a che fare in qualche modo con un esponente artistico di grido, il successo del pupillo è assicurato tanto quanto come quello del suo mentore e apprezzarlo è un must. A noi Alice piaceva invece soprattutto perché era una gran bel pezzo di cantante, si vestiva un po’ da sezione della FGCI con il foulard al collo e a nostra insaputa che fossero liriche di Franco Battiato subivamo il fascino autoritario delle sue parole che sembravano più ordini, in una sorta di attitudine a lasciarsi soggiogare dalle donne di polso. Sentivamo Alice e correvamo subito a controllare se avevamo davvero chiuso le finestre per non lasciare l’aria entrare, ci si guardava dentro la coscienza per contare le promesse fatte ed essere pronti a dichiararle, si trovava il motivo per non dimenticare tutto a un tratto. E tutto ciò ancora prima di vederla più incantevole che mai l’anno dopo sul palco di Sanremo e nei racconti di qualcuno che l’aveva vista in una foto che girava di nascosto, rubata chissà a quale rivista non certo per ragazzini, vestita solo di una specie di rete da pescatore ma seduta in un modo in cui, purtroppo, anche chi raccontava doveva immaginare tutto. Fino a quando, esplosa la supremazia di Franco Battiato di lì a poco con quel disco che abbiamo tutti in casa, si definì quella categoria delle cose afferenti a Franco Battiato, con musiche e testi di Franco Battiato e una vera e propria estetica alla Franco Battiato. Che è stato un bene, per carità. Ma mi sento comunque autorizzato lo stesso a identificare in quel “sentimento nuevo” per Alice un moto sincero e per nulla strumentale. Anzi, considerando le sue qualità vocali, decisamente canoro.
Sanremo 2011, ecco chi vincerà il Festival
StandardLa mia amica S. deve scrivere un pezzo su Sanremo, qualcosa che metta insieme, come è ovvio, musica, costume, gossip e così via. S. è la stessa fan di Morrissey che nel 1987 o giù di lì, ora controllo meglio (1), partì alla volta della cittadina rivierasca per intercettare il suo idolo, ospite straniero di quella edizione del Festival. E di episodi di quel genere me ne ricordo diversi. F. che sosteneva di aver soccorso David Gahan fattissimo o in preda a una sbornia colossale mentre vomitava per i caruggi di Sanremo (2), qualche anno prima. Ricordo anche M., un tizio buffissimo che era convinto di somigliare a John Taylor, che conciato in perfetto stile duraniano faceva incuriosire giornalisti e ragazzine isteriche sul lungomare durante i giorni del festival (3). Sui Duran Duran a Sanremo qualcuno scrisse pure un libro, faccio finta di non ricordare titolo e autrice per non essere accusato di dedicare la mia memoria solo ai ricordi più futili. Al diavolo il dovere di cronaca. Metto solo un link e la cosa finisce qui.
Ma torniamo a S. e al suo articolo. Le ho consigliato, in alternativa, di puntare più alla sostanza, se sostanza e Festival di Sanremo possono coesistere nella stessa frase, raccogliendo in una sorta di superclassifica (roba da supertelegattone) i prodotti più più originali che sono stati lanciati da quel palcoscenico. S., che dagli Smiths è passata nel corso del tempo a fenomeni sempre più estremi di musica alternativa, per darvi in pasto alcune perle di competenza vi butto lì gli Einsturzende Neubauten o roba alla Sigur Ros, mi guarda e storce la bocca. Ma sì, le ho detto, poi metti un lancio tipo “Sanremo 2011, ecco chi vincerà il Festival” (già, proprio come il mio), aggiungi un po’ di tag accattivanti (come quelle qui sotto), magari posti il link sulla pagina Facebook della tua testata, e il gioco è fatto. “Sì, ma non ho ancora capito a quali contenuti ti riferisci“. Già, S. è un animale da nicchie. Con calma, procediamo con ordine.
Pur lasciando perdere conduttori – a cui e di cui non si deve parlare – e coordinatrici di palco (per non usare il termine vallette), a memoria d’uomo (la mia, siete in una botte di ferro) ci sono decine di casi da riesumare. Mi riferisco a brani eliminati dopo la prima serata, ultimi posti, o anche brani e artisti di successo che è ingiusto snobbare solo perché presentati in quel calderone obsoleto e completamente avulso dalla realtà artistica e musicale italiana che è Sanremo. S. ha così scommesso che non ce l’avrei fatta a mettere insieme almeno 10 esempi, canzoni che lei potrà raccogliere nel suo articolo. “Tsk“, le ho detto. “Sei pronta? Accendi il registratore, andrò in ordine sparso“. Si va in scena. Visto il mio background (e la mia età), il periodo preso in rassegna va dal 1975, prima edizione di cui mi ricordi, al 2001, ultima edizione che ho seguito, più qualche eccezione vissuta di riflesso. “Considera però l’anno di uscita e il contesto, naturalmente“. L’innovazione è sempre relativa.
1. di Ruggeri – Muzio: Contessa. Cantano: i Decibel (1980)
Lo so. Ho iniziato con un brano classico e scontato. Ma non si era mai sentito un pezzo così e mai visto un look simile, in Italia. Da leggere, sul sito dei Decibel, la genesi del pezzo.
2. di Cocciante – Santandrea: La fenice. Canta: Santandrea (1984)
Una sorta di Giovanni Lindo Ferretti (chissà perché mi viene sempre da scrivere Giuliano Lindo Ferrara, mah.. sarò tratto d’inganno dalle iniziali?) in versione operetta, su base plasticosa italo-disco-wave anni ’80. Dimenticato presto, non da me, ricettacolo di pochezze. Ritornerà alla ribalta qualche anno dopo con il nome completo di battesimo (Rodolfo), autore e interprete della celebre “ho un’arancia nella pancia”.
3. di Abate: Cose Veloci. Canta: Garbo (1985)
Lo so (ancora). Su guggol digiti Garbo e Sanremo e ti viene fuori come risultato Radioclima, binomio certificato anche dai cultori e puristi. Una pietra miliare, certo, ma io preferisco questo brano dal piglio alla LLoyd Cole, più evoluto e maturo anche se meno wave e berlinese (nel senso del periodo di Bowie). Come per Radioclima, la critica gli ha riservato il fondo della classifica. Tsk.
4. di Fossati – Guglielminetti: Un’emozione da poco. Canta: Anna Oxa (1978)
“Anna Oxa conciata come una punk londinese”, dice un noto motivetto degli Offlaga Disco Pax. E chi non se la ricorda? Peccato l’involuzione e la discesa verso i meandri dello specifico sanremese, unico palco che l’ha vista davvero protagonista. Qui, era il 78, ci si aveva l’abitudine di bucarsi le guance con le spille da balia e di bucarsi le vene con altro. Il punk, quello estetico e modaiolo di Malcolm Mc Laren viene sdoganato anche nella più tradizionalista della tradizione canora italiana, in prima serata, sul Primo Canale. Ricordo di aver aspettato l’esibizione di Anna Oxa a Disco Ring la domenica successiva, e di essere stato premiato con lo stesso inizio di esibizione, spalle al pubblico. Questa sì che è trasgressione.
5. di Bissi – Battiato – Pio: Per elisa. Canta: Alice (1981)
Battiato in versione femminile. Fu amore a prima vista, soprattutto perché, studiando pianoforte, colsi la citazione colta. Non trovo il video di tratto da Sanremo, spero vi accontentiate di questo.
6. di Romano – Casacci – Di Leo: Tutti i miei sbagli. Cantano: i Subsonica (2000)
6 bis. di Castoldi – Urbani: L’assenzio. Cantano: i Bluvertigo (2001)
Il meglio dell’indie-rock anni ’90 sbarca al Festival, un’operazione di mercato riuscita che ha permesso a entrambe le band di proporsi a un pubblico diverso (e più ampio). L’innovazione non è tanto nelle due canzoni, piuttosto tendenti alla grande distribuzione rispetto agli standard dei momenti artistici migliori di entrambi i gruppi, quanto nell’accostamento con il resto della manifestazione. Samuel che balla come se fosse in un club, Morgan che indossa il basso con la dovuta calma. Momenti irripetibili, merito degli Amici e di altri Fattori (X) oggi più affini al gusto imperante tra i giovani.
7. di Marrale – Golzi, Vacanze romane. Cantano: i Matia Bazar (1983)
La svolta di uno dei gruppi più interessanti della canzone italiana culmina con questa esibizione. Un pezzo su cui si è già detto tutto e, tentando qualcosa, correrei il rischio di plagiare altri scritti. Lascio solo il link a una pagina dedicata a Mauro Sabbione, il tastierista che prese il posto di Piero Cassano e che contribuì in assoluto al periodo migliore della band. Questo, appunto. Mauro Sabbione (che peraltro sei mio amico su Facebook), se per caso leggi questo post, sappi che sei stato il mio principale tastierista ispiratore, insieme a Mick MacNeil e a Carlo Speranza.
8 di Gaetano: Gianna. Canta: Rino Gaetano (1978)
La popolarità di Rino Gaetano e di questo pezzo si è manifestata con un crescendo continuo, complici il periodo in cui venne composta, la perpetua attualità delle liriche di Gaetano, la sua riscoperta in pieno revival dei ’70, il karaoke, la nostalgia per la tv in bianco e nero (anche se le trasmissioni erano già a colori, ma solo per i più ricchi), la sua tragica scomparsa. La sua esibizione resta uno degli episodi migliori in assoluto nella storia del Festival.
9. di Avogadro, Borghetti, Fanigliulo, Pace: A me mi piace vivere alla grande. Canta: Franco Fanigliulo (1979)
Non vorrei passare per radical chic (di questi tempi, poi) ma questa è una chicca, a cui sono molto affezionato, nonché brano vincitore morale dell’edizione 1979. Tacciato anche di vilipendio alla religione, con un bell’errore voluto di grammatica nel titolo, il brano, apparentemente un tripudio di fricchettonaggine all’italiana dell’epoca, risulta essere una piacevole eccezione nel piattume con cui si riempiva il Festival in un periodo in cui la musica e la canzone erano davvero altrove (leggi nelle piazze. Forse il periodo, quello che ho appena scritto, era troppo lungo?). Come anomalo era Franco Fanigliulo, scomparso purtroppo prematuramente.
10. di Rossi: Vado al massimo. Canta: Vasco Rossi (1982)
Non mi è simpatico Vasco, per nulla. Ma vi assicuro che la sua esibizione, quella che avete appena visto, è stata una bella botta.
(1) Gli Smiths parteciparono come ospiti a Sanremo Rock, una manifestazione collaterale al festival, proprio nel 1987. Suonarono, in un ostentato playback, 4 brani tra cui Ask (gli altri 3 facilmente reperibili nei suggerimenti su youtube)
(2) I Depeche Mode furono ospiti nel 1986 con Stripped (e se non erro anche nel 1990 con Enjoy the silence, ma l’edizione a cui si riferisce l’autore è la prima)
(3) Era il 1985, non aggiungo altro. Qualcuno sa il perché.
(4) Se invece cercate qualche melodia più mainstream, il Post ha raccolto le 10 migliori canzoni di Roberto Vecchioni. Vado a sentirle.