Se io vi chiedo “anni ottanta in Italia” almeno la metà di voi salterà in piedi come bravi scolaretti che sanno la lezione rispondendo all’unisono “Rock’n’roll Robot” di Alberto Camerini. Ed è proprio per questo motivo che sono qui apposta per schiarirvi le idee su questo brano che, appena parte l’intro di sintetizzatore, richiama alla memoria i juke box, l’estate, gli strascichi degli anni di piombo, almeno a voi che non avete trascorsi da musicista in quegli anni lì. Perché io invece in quegli anni lì muovevo i primi passi da musicista rock e oggi, quando alla radio passano “Rock’n’roll Robot”, non riesco a non ripercorrere, ogni volta, le stesse riflessioni.
Intanto ascoltate la versione originale, quella del disco, che comunque fa sempre piacere:
“Rock’n’roll Robot”, che poi è una banalissima hit da classifica, riflette appieno il paradigma per cui chi vuole far successo nel pop crea arrangiamenti alle canzoni in linea con lo stile più in voga al momento. Allora andava molto questo genere pop/new wave/elettronico e, per di più, Alberto Camerini è un autore che ha sempre espresso un gusto superiore alla media e, purtroppo, non ha avuto tutto il successo che avrebbe meritato.
Comunque quello che mi piace della versione su disco di “Rock’n’roll Robot” è soprattutto la ritmica, composta da batteria e basso lineari ma fortemente efficaci e una guida di sequencer a dare man forte. L’insieme ha una pulizia di suono tipica da studio, di quelle che poi dal vivo sono quasi impossibili da riprodurre per svariati motivi, a partire dal fatto che quando si suona live un pezzo così trascinante è difficile controllarsi. “Rock’n’roll Robot” è del 1981 e, ai tempi, i musicisti si dividevano in due categorie. Da una parte i virtuosi, che suonavano generi colti e complessi e finivano per fare i professionisti della musica. Dall’altra chi non sapeva suonare e metteva su gruppi punk, new wave o generi più estremi in cui la tecnica conta poco, soprattutto perché a chi aveva studiato non gli sarebbe mai venuto in testa di mettersi in situazioni di quel tipo.
Agli strumentisti virtuosi, professionisti quasi tutti provenienti dal jazz, dalla fusion o dall’hard rock, toccava però accompagnare anche i cantanti come Alberto Camerini che avevano necessità diverse dai cantautori e dagli interpreti tradizionali, e se avete ascoltato “Rock’n’roll Robot” con attenzione, soprattutto la base ritmica basso e batteria, avrete capito a cosa mi riferisco. Il risultato di questa considerazione lo potete ascoltare in questa esecuzione dal vivo di “Rock’n’roll Robot” che ricalca perfettamente le tesi che ho sostenuto qui sopra.
Ditemi voi che bisogno c’era di accompagnare con il basso e la batteria una canzonetta pop/new wave come “Rock’n’roll Robot” con così poca convinzione e tiro. La parte di basso nel ritornello, che in un pezzo dei Deep Purple avrebbe avuto un suo senso, qui proprio non ci azzecca per nulla. E la smania di dimostrare la differente estrazione dei turnisti la si può notare nel ponte, quando la canzone assume le sembianze di un brano rock’n’roll tradizionale e basso e batteria possono darci dentro come vogliono.
E, ancora a proposito di come fosse complicato suonare dal vivo quel genere in quell’epoca, vi lascio con due ulteriori spunti di riflessione: Enrico Ruggeri, in palese playback, ha però compreso perfettamente l’approccio a un pezzo così e si muove da dio, con quella chitarra addosso. Infine, pensate a quanti sintetizzatori occorrevano dal vivo per riprodurre quelle ingenue sonorità elettroniche di un tempo. Oggi basta un computer.