Ecco, se fosse per me, l’estate potrebbe anche finire così. Allo scadere delle ventiquattro del 31 luglio, la bella stagione ha ormai dato tutto; c’è stata l’escalation della primavera, poi i mesi della fioritura, e maggio e giugno, luglio con i suoi soliti temporali. Ma poi basta. Perché un po’ come un autogrill che ha in esposizione merce che nessun automobilista acquisterebbe e nel tempo ha conquistato la leadership di non-luogo per antonomasia, possiamo dire che agosto è un non-tempo, è il non-mese definitivo, una sfilza di giorni inutili che lentamente perdono ciò che caratterizza e ci fa amare le giornate estive, la luce che si protrae fino alle nove e puoi rimanere quanto vuoi a spasso, sul bagnasciuga, sui prati, e nel loro inesorabile succedersi altro non sembrano che uno stillicidio in trentesimi (anzi trentunesimi) e un conto alla rovescia. Tutti sono via, sono andati tutti a ritrovarsi in un altro posto, basta non stare nel posto in cui si vive per il resto dell’anno, si rimescolano i gruppi e ci si va a rimpiangere gli uni degli altri o a godere dei nuovi abbinamenti umani, ma lontano da ogni qui. E chi vive in solitudine se la porta in valigia, è un accessorio che sta bene con tutto e in qualunque stagione. E se non fosse per quell’assurda convenzione economico-sociale per cui a partire dalla mezzanotte del 31 luglio gli uffici sono vuoti, le strade deserte, i bar chiusi, che induce a ingegnarsi nella ricerca di un luogo vacanziero ove sopravvivere, se non altro per la presenza di rivendite di generi alimentari, ecco che ci si potrebbe tranquillamente addormentare oggi, sfiorati dalla miracolosa bacchetta magica di una fatina che spande la polvere del sonno su uomini e animali, e risvegliarsi il giorno prima della data in cui si riaccendono i motori di tutto. Almeno dei mezzi pubblici.