le brochure che non ti ho scritto

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Comunicare per le aziende ĆØ una bella sfida. Intanto perchĆ© raramente le aziende si fidano ciecamente di te, anzi di me, diciamo dell’agenzia in cui lavoro, pur avendoci scelto. Magari ĆØ un problema nostro e non ci siamo mai conquistati completamente la stima del cliente, che invece dovrebbe lasciar fare alla struttura da cui compra consulenza. Se chiamo un elettricista, giĆ  che lo pago, non gli dico come farmi un nuovo punto luce. CosƬ, quasi mai ti lasciano carta bianca su cosa comunicare e come farlo.

Nel caso di aziende multinazionali, ĆØ ancora piĆ¹ difficile. Ci sono giĆ  linee guida marketing a priori decise da persone che sicuramente ne sanno piĆ¹ di tutti, e che non mi permetto di discutere. Poi ci sono i marketing manager locali, qui il discorso si fa piĆ¹ complesso. Insomma, si deve sempre lavorare a quattro o sei mani e alla fine il risultato ĆØ sempre un ibrido, meno efficace di quanto lo sarebbe se a lavorarci ci fosse solo l’esperto in comunicazione aziendale, che saremmo noi. Il problema ĆØ che il marketing vuole dire la sua, ma il marketing non ĆØ la comunicazione anche se si tende a unificare le due funzioni. Diciamo che il marketing decide gli obiettivi, la comunicazione inventa la forma e il contenuto per raggiungerli. Tu, azienda, non dovresti dirmi “mi serve una brochure aziendale”, perchĆ© a me verrebbe da risponderti “guarda che nel 2011 le brochure aziendali non se le i****a piĆ¹ nessuno”, ma so giĆ  che tu mi diresti “fammi la brochure aziendale lo stesso”. Tu, azienda, nel momento in cui mi scegli come tua agenzia di comunicazione, dovresti chiedermi “quale strumento mi consigli di realizzare per comunicare i miei punti di forza?”, e io ti farei un paio di proposte, non di certo un quartino patinato e autoreferenziale per farti bello con il tuo AD, perchĆ© non ti porterebbe un centesimo di fatturato in piĆ¹.

Questo nel migliore dei casi. Nel peggiore, un giorno arriva al marketing uno che crede di avere qualche esperienza di comunicazione, e decide che gli stai sulle palle. Magari a ragione, come dice una mia amica “magica”, tutta questione di hi-fi, di vibrazioni positive e negative, di come le senti. Da qui chissĆ  che tipo di vibrazioni escono, ma non ha piĆ¹ importanza: ora questo nuovo tizio ha messo un bello strato di materiale refrattario sulla porta del suo ufficio, e stop. Sono subentrate altre agenzie, la scelta ripeto ĆØ sacrosanta, per caritĆ . Giusto cosƬ, la competitivitĆ  rende piĆ¹ grintosi e ti costringe a rinnovarti sempre, e poi il budget ĆØ tuo. Ma, cazzo, finirĆ  il tuo contratto di sostituzione di maternitĆ , prima o poi.

riscatti di anzianitĆ 

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Vi ci vedete voi, a 65 anni, a smanettare con Dreamweaver (o con quello che si userĆ  allora) e progettare pagine Internet (o quello che ci sarĆ  allora)? Ipotizziamo che il mondo non finisca nel 2012 e che i miei colleghi arrivino alla fatidica etĆ  della pensione facendo piĆ¹ o meno le stesse cose che fanno ora. Io scrivo testi pubblicitari, ho giĆ  43 anni, e mi tiro fuori, almeno per scaramanzia visti i tempi che corrono. In gioco restano A. che costruisce pagine per siti web, D. che fa il grafico, I. che si occupa di montaggi video, i primi tre che mi vengono in mente a mo’ di esempio. Tutti mestieri che l’opinione comune associa a giovanotti dal profilo precario, ma che, come tutti, precari e statali, invecchieranno. Prendiamo invece i mestieri piĆ¹ tradizionali. Chi di voi non conosce un commerciante anziano? Un meccanico alle soglie della pensione, con le mani indelebilmente macchiate di nero? Un ingegnere con i capelli bianchi? Un ex-geometra che gioca alle bocce, cura l’orto e porta a spasso i nipotini? Un copywriter di mezza etĆ ? Si, quello sono io. Ma ĆØ l’eccezione che conferma la regola. Mi spiego meglio (ci provo).

I lavori che iniziano per “e trattino” e tutto ciĆ² che ha a che fare con i new media ĆØ per precari highlander, i sempreverdi, gente che non solo non invecchierĆ  mai ma che non oltrepasserĆ  nemmeno le soglie dell’etĆ  adulta. Complice anche il turn over che c’ĆØ nel settore. I suddetti A. D. ed I. lavorano qui da un paio d’anni, chi piĆ¹ chi meno, e prima o poi se ne andranno, perchĆ© nessuno investe davvero in questa tipologia di figure. La rottamazione ĆØ piĆ¹ conveniente, si possono risparmiare i costi di una crescita professionale per stage sempre meno retribuiti. Tra poco arriveranno i nuovi A., D. e I. a sostituire gli originali, anche se originali non sono, perchĆ© sono qui giĆ  al posto di qualcuno. Ma, per fare punto a capo, consideriamoli pedine archetipo di questo perpetuo gioco dell’oca. In ogni casella c’ĆØ il logo di un’agenzia e un numero crescente, a rappresentare l’etĆ . Dicevo, altre 3 pedine a progetto, sempre di 30 anni, ripartono da capo e si spostano lungo le caselle, cosƬ l’agenzia si puĆ² permettere di non invecchiare. Ma i tre archetipi, le tre pedine da cui siamo partiti, dove vanno a finire? Avanti di enne caselle, in un’altra agenzia a re-iniziare da capo come junior, sempre junior. L’ultimo tiro di dadi e si arriva a 65 (ĆØ una variante del gioco dell’oca vero e proprio, che invece arriva a 90), la casella della pensione, ancora da junior. Ma vediamo da vicino le ultime 10 caselle, quelle che ci interessano di piĆ¹: non cambia nulla. A. ĆØ alle prese con i css, D. ĆØ prono su Illustrator e I. ĆØ in giro a portarsi in spalla la miniDV, magari in una conferenza stampa a sgomitare con i cameraman delle tv che si fanno molti meno scrupoli. Tutto questo intorno ai 60 anni, diciamo. Strano, vero?

Questo perchĆ© un anziano creativo, un nerd con i capelli bianchi o un videomaker digitale con le rughe esula dal nostro immaginario. Eppure, nel 2060, ci saranno anche loro. Quasi sicuramente con problemi di vista, per aver speso notti e giornate appiccicati ai monitor, in barba alla normativa sulla sicurezza sul lavoro in ufficio. Tutti curvi e scogliotici, per le numerose sedie low-cost che hanno ospitato le loro parti posteriori e per le posture assunte durante i briefing. Semisordi, per via della musica electro-indie a tutto volume che gli ha consentito di isolarsi meglio dal resto del mondo. E analfabeti di ritorno, incapaci di scrivere se non con la tastiera o con il touch screen, di leggere il corsivo, di comprendere un testo privo di abbreviazioni e piĆ¹ lungo di 160 caratteri. Anaffettivi, se non tramite faccine animate.

E io, a 93 anni, sarĆ² ancora lƬ, a sistemare i testi dei miei clienti, a togliere la doppia elle da “accelerare”, a cancellare apostrofi tra “qual” e “ĆØ”, a correggere l’accento chiedendomi il “perchĆ©” (la rima non era voluta).