Agenzia di comunicazione ricerca una figura creativa, rispettosa della tradizione e in grado di saper parlare diritto al cuore per rivestire l’importante ruolo di Christmas Manager. La posizione si occuperà dell’ideazione degli auguri che l’agenzia stessa invierà ai propri clienti e partner via e-mail e gli auguri che clienti e partner invieranno ai loro e delle eventuali iniziative collegate. Si richiede fantasia nel trovare idee differenti ogni anno senza cadere nelle banalità, capacità di suscitare commozione nel prossimo, abilità nella stesura di testi retorici quanto basta per colpire la sensibilità altrui senza cadere nelle smancerie, attitudine a mettere a nudo i sentimenti per dare vita ad appelli e comunicazioni credibili. Fondamentale la conoscenza della lingua italiana e delle tecniche di immedesimazione emotiva.
Ecco, tra le varie cose di cui mi occupo in agenzia, c’è anche questa. Ogni anno, da molti anni. E quando si parla di job rotation come fattore decisivo per la valorizzazione delle risorse umane mi viene in mente lo sforzo che mi occorre per portare a termine questa attività senza ripetermi. Poi alla fine me la sfango sempre, e ogni volta ne esco talmente provato da dimenticare di pensarci durante gli altri mesi. Ho tentato, qualche tempo fa, di lavorarci in estate, in un momento di relativa quiete. Ma maneggiare immagini e contenuti natalizi con la canicola è surreale. L’esperienza spreme il mio già scarso entusiasmo per il carrozzone di festoni e botti, e la vigilia di Natale, che solitamente corrisponde al primo giorno di ferie, mi guardo le mani, penso a tutte le belle parole che hanno scritto conto terzi e mi impongo di esprimere gli auguri veri, quelli personali, solo con abbracci reali e smodata fisicità.
Sono entrato nel mondo di quella che allora si chiamava editoria digitale dalla porta di servizio, quella dei programmatori. Internet non era così importante come la multimedialità offline, i cd rom per intenderci, la posta elettronica si scaricava un paio di volte al giorno a meno di urgenze, ma ci si avvisava prima per telefono dell’invio di qualcosa. Ho trascorso almeno cinque anni a scrivere righe di codice, la faccia inebetita e rischiarata dai monitor a 256 colori, l’autoironia proverbiale, perché assente, degli ingegneri. Purtroppo i posti per gli esperti di contenuti erano tutti pieni già allora, perché erano già tutti presi dal personale in esubero dell’editoria tradizionale. Ho dovuto quindi attendere che le figure intermedie, gli esperti di contenuti ottimizzati per i new media, acquistassero credito e attendibilità. In quel periodo ho fatto di tutto: software per giochini didattici per le scuole elementari e calendari interattivi soft porno di uomini svestiti, un ipertesto di storia per le superiori e persino la versione multimediale di un noto dizionario. Ma programmare è uno di quei lavori che ti brucia il cervello, e nella sfortuna di una società che stava affondando trascinata dagli scarichi della bolla esplosa a fine millennio scorso ho avuto l’opportunità finalmente di tornare a scrivere in una nuova agenzia ottenendo, con il tempo e la pratica, lo status di copywriter. Troppo tardi, perché già si stava traslocando tutto sul web duepuntozero. E vabbè, nessun problema, faccio anche quello. Ora, una delle cose che mi ossessiona di più è immaginare me a 65 anni ancora qui a fare il creativo, a pensare titoli, trovare le parole giuste, essere sempre acuto e pronto sui socialcosi, ottenere interviste, scrivere articoli, produrre video corporate, adattarmi all’ennesima piattaforma su cui il mercato si sposta. Colleghi, compagni (si fa per dire), lavoratori: avremo ancora lucidità sufficiente per tutto questo? (ammesso che esista ancora una economia).
Ho pensato che dovrei contare fino a dieci prima di scrivere un post come questo, in cui cerco di concentrare tutto il veleno che vorrei riversare su di voi che mi fate perdere tempo al telefono con la vostra disorganizzazione, perché non siete nemmeno d’accordo tra di voi e in più dovrete coinvolgere in un secondo tempo il vostro amministratore delegato. Un approccio che non sarebbe velato di incompetenza se vi limitaste a fare il vostro, di lavoro, perché se ricoprite quella posizione sicuramente lo sapete fare. Ma non vorrei sembrarvi presuntuoso se vi dico che fare il mio lavoro come dite voi non è la maniera più percorribile, e se mi avete scelto come fornitore dovreste fidarvi di me. Ho pensato che dovrei contare fino a dieci prima di scrivere un post come questo, per evitare le scurrilità se non nel titolo così da attirare qualche lettore coprolalo in più ma che riassume un sentimento che provo fin nel profondo, perché anche se te ne approfitti sai che non posso interrompere la mia collaborazione con te, in questo periodo signora mia non si lascia certo scappare un cliente che paga anche poco, e si sente libero di cambiare il brief ogni volta. Perché le proposte creative sono proposte creative altrimenti ti preparo tre, quattro, dieci, mille varianti complete del progetto ma me le devi pagare tutte, perché ti devi fidare di me: la proposta che sceglierai con tutte le sue immagini provvisorie e tutti i lorem ipsum, alla fine vedrai che sarà piena dei contenuti e dei valori e della filosofia della tua azienda. (avevo aggiunto “di merda” ma lo ho cancellato, grazie allo sfogo che la scrittura comporta un po’ di rabbia era scemata e ho pensato che forse era un finale troppo forte, che dite?)
Tutti noi qui abbiamo il sospetto che il nostro capo ami il turn over del personale solo per avere intorno nuovi collaboratori. Ma la sostituzione di materiale umano avariato o difettoso con carne fresca ed entusiasta, sempre meno senior e sempre più a basso costo, ha un obiettivo che non consiste nella riduzione delle spese, nel portare nuova linfa creativa in un mercato sempre più autoreferenziale o nell’investimento in individualità pronte a portare quel qualcosa in grado di concretizzarsi in vantaggio competitivo e farci guadagnare di più. No. Il recruitment viene fatto unicamente per quell’impagabile primo giorno di lavoro della nuova risorsa in cui il capo può interpretare la parte di se stesso nella messa in scena de “il pippotto”.
Il pippotto consiste in una pièce in atto unico, massimo due se inizia a ridosso dell’ora di pranzo, il cui il capo concentra la storia dell’agenzia, come si lavora qui, l’organigramma e relative funzioni, il clima, i processi, le risorse e gli strumenti. Quindi passa alla storia delle aziende clienti, la struttura del principale cliente che, trattandosi di un colosso multinazionale, non lo si può certo liquidare in un poche parole. Quindi la descrizione dei processi produttivi, la struttura marketing e communications, comunicazione esterna e interna, la terminologia da utilizzare per la localizzazione del materiale dall’inglese all’italiano. A questa prima sessione dalla durata variabile segue la raccolta della bibliografia a supporto. Brochure, guideline, materiale utile a precipitare senza tanti complimenti nel vivo della produzione. La bibliografia comprende inoltre contenuti utili allo svolgimento dell’attività della nuova risorsa, i vari manuali del nomelavoroqualsiasi, l’agenzia è provvista di una nutrita biblioteca tutta rigorosamente datata e obsoleta. Dopo la full immersion il nuovo acquisto è pronto per il secondo giorno di lavoro e può in autonomia dedicarsi all’attività per la quale è stato contattato, ovvero fare di tutto, indipendentemente dal suo profilo. Sempre che si presenti la mattina dopo.
Un giorno siamo un’agenzia di comunicazione, quello successivo un’agenzia di supporto marketing, quello dopo ancora il dipartimento interno dell’azienda cliente. Siamo un’agenzia di comunicazione quando il lavoro serve per la mattina successiva e occorre ingegnarsi per trovare l’idea creativa – almeno tre proposte – quindi aspettare l’ok che arriva nel tardo pomeriggio, poco prima della deadline, e inevitabilmente si fa sera. I creativi siete voi, ci dicono, sbizzarritevi pure con le idee folli, stupiteci. Il problema, come potete immaginare, è che un brief alle 11 del mattino per una pagina pubblicitaria da preparare entro le 18 non è che consenta chissà quale processo creativo. Diciamo che ce la caviamo sempre, anche se sul filo del rasoio, il rischio è il nostro mestiere. Siamo invece un’agenzia di supporto marketing quando c’è tutto il tempo per pensare alla campagna di comunicazione figa, quella che va anche sui social media, quella con i video virali, peccato che in quel caso di tutta la parte a monte spesso non siamo incaricati. Ci rimangono le briciole, che ne so il video da comprimere nel formato adatto da fare subito, la traduzione da fare per il giorno stesso, l’e-messaging da preparare asap. Ma il bello viene quando siamo indicati come il dipartimento interno, partecipiamo alle riunioni con i vertici, coordiniamo fornitori e agenzie concorrenti in quanto profondamente esperti delle linee guida marketing dei clienti. I progetti che scaturiscono con la nostra fondamentale esperienza vengono poi assegnati ad altri, quelli che svilupperanno le campagne fighe per le quali faremo supporto marketing. Fino a quando mancherà un qualcosa di cui ci si accorgerà il giorno prima della deadline e che ci verrà richiesto con urgenza entro la sera stessa. D’altronde, quel giorno, saremo un’agenzia di comunicazione.
Una volta ho bucato in pieno un incontro importante di lavoro. L’appuntamento era Torino, nella sede di un importante cliente di un mio cliente un po’ meno importante. Il mio cliente un po’ meno importante aveva promesso al suo importante cliente che avrebbe portato con sé un giornalista per un’intervista, quei marchettoni edulcorati che vanno spalmarsi su pagine a pagamento mascherate da informazioni, note agli operatori del settore e non come publiredazionali o pubbliredazionali (ci sono due correnti di pensiero sull’uso della doppia, io preferisco la seconda). Era programmato da più di due settimane, troppo per la mia capacità organizzativa, in un ambiente in cui ci vengono chieste cose dalla mattina per la sera, al massimo per il giorno successivo. Una volta stabilito giorno e ora, non so il perché e il percome ma ho dimenticato di annotare l’appuntamento in agenda e mi sono tuffato nuovamente nella sala macchine della produzione fatta di urgenze, imprevisti, tecnologia che si ribella e lotte contro il tempo. Ah, e io sono tutto tantomeno un giornalista.
E quella mattina è arrivata, come tutte le altre. L’incontro era fissato per il dopo pranzo. Il mio cliente, che comunicava con me tramite una collega pierre di sicuro perché più carina e comunque del sesso giusto per giustificare un rapporto epistolare professionale quotidiano e un fee all’agenzia, per scrupolo le chiede se era tutto confermato, e che mi avrebbe atteso all’ora stabilita all’ingresso della sede del loro cliente. La collega mi inoltra l’aggiornamento, e dentro di me scende il gelo, come quando apri gli occhi e ti accorgi di aver spento la sveglia chissà quante ore prima e avevi un treno da prendere che ha fatto a meno di te. Realizzo che non ce la farei a precipitarmi a Torino e arrivare in tempo.
Chiamo il mio cliente e gli dico la verità. Ma gli propongo anche la soluzione, una banale intervista telefonica. Loro stanno lì e io, facciamo pure finta che sono malato, da qui. Accetta, inequivocabilmente scazzato, ma capisce che non c’è altro sistema per porre rimedio. Rimaniamo che mi chiama lui alle 14. E puntualmente squilla il telefono, quindi le presentazioni di rito, insieme a lui ci sono i vertici dei sistemi informativi di questa grande azienda italiana, una società molto importante. Ma il più “vertice” dei due chiede al mio cliente che cosa stiamo per fare. Lui, sommessamente, spiega la finalità del meeting, l’intervista telefonica, quello che previa loro approvazione ne conseguirà. Al che ottiene in risposta che non se ne parla, ogni intervista per una società del loro livello può essere rilasciata solo tramite l’ufficio stampa (concordo) e quindi gli dispiace ma non si può fare. Il mio cliente chiude la conversazione visibilmente (anche se non lo vedo) amareggiato. Ma il cliente, in questo caso il suo, ha sempre ragione, no?
E niente, una volta ho bucato in pieno un incontro importante di lavoro, ma l’incontro stesso era un buco, e non ci sono finito dentro per puro caso.
Un piccolo passatempo per i vostri momenti di relax sulla spiaggia, sempre che abbiate un dispositivo per leggere pagine elettroniche come queste. Vale anche per i pomeriggi di riposo all’ombra di un melo, in campagna (attenti alle vespe) o sdraiati su un’amaca nel vostro giardino, in qualsiasi località vi troviate a godervi le meritate ferie. Il gioco è il seguente: indovinate che cosa hanno in comune i seguenti personaggi misteriosi:
– una web developer talmente chiusa che non parla, e se deve parlare non ti guarda, e in ogni caso a fatica si capisce che cosa vuole dire, tanto rivolge la sua voce solo a se stessa, e se gli chiedi un report via mail ti manda una riga di testo, per di più incomprensibile
– un programmatore che somatizza il proprio stress in psoriasi, perdendo così tanta pelle da rendere necessaria la pulizia quotidiana del suo pc
– un addetto al montaggio video che, pur avendo un diploma di master sul curriculum, chiede sempre al suo responsabile come deve fare ogni cosa, dicendo che non ha idee e non sa come fare, tantomeno che musiche scegliere o che grafica utilizzare
– una grafica che impiega almeno venti minuti per salvare un file in pdf e mandartelo via mail, quindi torni da lei e le chiedi se non te lo ha ancora mandato, e lei ti dice che sì, te lo stava proprio mandando il quel momento
– una coppia di webmaster metallari che usano calzature invernali anche in estate, diminuendo la qualità della vita della comunità
– personale appartenente alla categoria junior che si vergogna a chiamare al telefono clienti e fornitori, se deve comunicare qualcosa anche di urgente usa la e-mail, ma in fondo è meglio così perché, fatta eccezione per l’argomento videogiochi, non è in grado di articolare discorsi di senso compiuto e comunemente comprensibili
– personale appartenente alla categoria junior che, anche dopo anni di attività, necessita di essere seguito otto ore al giorno, la sedia vicino e il fiato sul collo, proverbialmente e non, e controllare le cose che fa, suggerire come farle, controllare i testi in caso di modifiche dettate a voce
– un nutrito numero di collaboratori appartenenti alla categoria junior che non conosce l’abc del comportarsi sul posto di lavoro
– un nutrito numero di collaboratori appartenenti alla categoria junior che non conosce l’abc del comportarsi in meeting con clienti, per esempio giocherellando con l’iphone a tavola durante una cena di lavoro
– un collaboratore appartenente alla categoria junior che si fa la piastra ai capelli, si depila braccia e gambe, preferisce sperperare il proprio stipendio in tecnologia consumer anziché, per esempio, rendersi indipendente dai genitori, e sogna di possedere un SUV bianco
– personale appartenente alla categoria junior che non sa quantificare tempi e fattibilità di ogni lavoro rientrante nelle sue competenze
– un art director che, dopo un brief che comprende indicazioni su come impostare la creatività e le stesse headline su cui lavorare per la grafica, dopo tre giorni non è riuscito a pensare ad alcuna idea; quindi occorre mettersi lì e con calma impostare insieme il tutto, lasciando all’art director alla fine, vista la scadenza dietro l’angolo, solo il ruolo di braccio operativo.
Ecco, provate a indovinare. Potreste vincere una giornata in compagnia del vostro team di lavoro preferito.
Chi lavora nel marketing e nella comunicazione utilizza a man bassa i siti di foto e grafica privi di diritti d’autore, le immagini Royalty-Free, una risorsa vantaggiosissima per campagne pubblicitarie online e offline a budget ridotto. Ed è inutile che vi spieghi perché le aziende chiedono alle agenzie come la nostra progetti di comunicazione cercando di spendere il meno possibile. Ma, a dirla tutta, negli archivi generati dagli utenti è tutt’altro che difficile trovare immagini o spunti di qualità, che se supportati dalla bravura e dalla creatività di chi deve abbinare il visual con il copywriting possono generare prodotti finali di alto livello. Considerando la vastità dell’archivio che è messo a disposizione degli utenti da quei siti, non è nemmeno il caso di assicurarsi l’esclusiva della foto scelta, ammesso che sia possibile. La mega-azienda che investe budget copiosi per campagne pubblicitarie e le mega-agenzie che ricevono i budget copiosi non si affidano certo a quel tipo di risorse. Invece, nel nostro ambiente fatto di piccole iniziative, la prima cosa che si fa è cercare quello che ci serve lì, prima di suggerire al cliente un set fotografico ad hoc e aumentare il preventivo. Ma non è detto.
La scelta della immagine giusta da un sito di immagini libere da copyright (il cui utilizzo è comunque a pagamento, seppur irrisorio) è a discrezione del gusto di chi cura la campagna pubblicitaria. Per esempio, per un mini-sito dedicato a un evento sul risparmio energetico che le aziende che scelgono un sistema intelligente di gestione della propria infrastruttura IT possono ottenere, si può puntare sulla sensibilità green del target a cui ci si rivolge e scegliere la foto del profilo di una graziosa e speranzosa fanciulla sdraiata in un prato verde punteggiato di fiori. Quindi chi si iscrive a quell’evento vede come prima cosa una green ambassador che si gode la freschezza della natura incontaminata. Ecco, freschezza è la parola chiave, una delle tag con cui si rintraccia quella foto nell’archivio di quel sito, oltre a green. Può succedere quindi che, contemporaneamente, un’altra agenzia incaricata di pubblicizzare un prodotto dedicato all’igiene intima femminile, cercando una testimonial della sensazione del sentirsi in perfetta armonia con il proprio corpo, scelga la stessa foto con la stessa ragazza sorridente sul prato fiorito. E che i maxi-poster della crema che lenisce irritazioni delle parti intime siano collocati anche nei pressi della location dell’evento. Ci sarà qualche misunderstanding? No, in entrambi casi è sufficientemente chiaro il posizionamento del prodotto.
E un giorno capita che ti chiamano da un’agenzia a cui hai inviato il curriculum un po’ frettolosamente, senza informarti prima o fare un giro sul loro sito, controllarne la web reputation, capire chi sono, che progetti fanno, chi sono i loro clienti. Un approccio grossolano che ha avuto la peggiore delle conseguenze. Dietro quell’annuncio si celava l’agenzia del nemico, quella che ha ideato un sito dedicato alla personalità del tuo principale avversario politico di cui si sono burlati tutti, che si è fatta sgamare altre ultime amministrative per un sistema improvvisato di aumento visite e traffico nelle pagine dei siti social. E ti valuta lui, l’Amministratore Delegato, con le iniziali sulla camicia, e in quel momento lì ti trovi a solo un grado di separazione dal tuo incubo. No way man, come si dice nei film americani non doppiati. Nemmeno per tutto l’oro del mondo. No way. Scusi, quanto ha detto? Xxxx euro al mese a tempo indeterminato? Ehm…
Ecco, io vorrei che tutti i ragazzi che stanno per conseguire un diploma e stanno valutando quale facoltà o corso di studi scegliere per prepararsi al mondo del lavoro. O tutti quelli che hanno già una laurea, non trovano lavoro, e credono che così si possano aprire nuove opportunità. Le persone che fanno tutt’altro e sono ancora convinte che si tratti della disciplina del futuro (qui prendo spunto da un post di qualche giorno fa del caro Scorfano, un nick che vi assicuro non gli rende giustizia, se avesse contattato un esperto di naming di prodotto come il sottoscritto prima di sceglierlo lo avrei convinto a desistere). Ecco, a questa massa di ignari che credono che lavorare nella comunicazione aziendale sia un mestiere da fighi, che generi visibilità e, soprattutto, soldi, dico che vorrei che prima di fare una scelta così scellerata venissero in ufficio da me, un paio di giorni, giusto per vedere di che cosa si occupa l’agenzia di comunicazione media.
Perché ci sono le mega-agenzie fighe, che si sono accaparrate i clienti fighi, in genere il cosiddetto b2c, ovvero aziende che vendono direttamente ai consumatori. Dove quindi la comunicazione è pubblicitaria veramente, ti consente di spremere creatività e fantasia per fare iniziative su tutti i canali disponibili, non ultimo Internet. Parli alla testa e, più spesso, alla pancia del prossimo. In questo insieme è chiaro che, come ho già scritto non ricordo dove, c’è il Nespresso ma c’è anche la Lidl, voglio dire, non è detto che l’aspirante Mad Man si ritrovi ad aggiornare i contenuti dello stesso spot con le offerte sottocosto del momento. Puntate qui? In bocca al lupo.
C’è poi la bolgia delle agenzie che seguono il b2b, ovvero le aziende che vendono e quindi comunicano ad altre aziende, un girone infernale in cui vige la regola che donne e uomini, sul lavoro, sono un genere diverso rispetto agli stessi uomini e donne nella loro vita privata. Che un’impresa non è composta da persone, ma da entità nascoste dietro a un job title che vivono in una dimensione parallela. Una dimensione in cui è tutto business, ci si veste business, si pensa business. Così è nata e continua a sopravvivere una obsoleta convenzione per cui il tono della comunicazione b2b non deve essere diretto a persone, ma solo alle imprese.
Come se un CEO, un IT Manager o un Direttore Marketing, una volta a casa, non abbia gusti propri, cambi canale quando uno spot gli fa ribrezzo, scelga le proprie letture e i propri film secondo una sensibilità individuale. Sapete una cosa? In realtà l’organigramma è composto da persone in carne ed ossa, che capiscono benissimo il linguaggio della pubblicità. Vero, amici manager? A casa fate le stesse cose che faccio io, magari siete più abbienti (lo spero per voi), avete più scelta e siete meno vincolati ai costi dell’entertainment, per esempio. E non è che in ufficio cambiate parametri di giudizio sulle persone e sulle cose, giusto? Siete sempre voi stessi. Un po’ più seri perché lo impone l’etichetta del business. Ma sempre voi stessi.
Malgrado ciò, è impossibile cambiare meccanismi consolidati. Faccio un esempio, la prima cosa che mi viene in mente. Se vai da un cliente e gli consigli di ricreare una situazione del genere
per presentare un loro prodotto al loro cliente, anziché una trita slide di PowerPoint, ti mettono immediatamente alla porta. Costa di più, però che diamine, vuoi mettere l’effetto? Magari la persona a cui ti presenti è un fan di Bob Dylan e il gioco è fatto. Invece no. Tutte le aziende sono leader nel loro settore, sono innovatrici per tradizione, sanno calarsi perfettamente nella realtà del cliente, hanno una vision lungimirante. Tutto così standard. Eccheppalle.
Chi vuole lavorare in comunicazione, e ammesso che trovi un lavoro nel settore lo troverà molto probabilmente in una agenzia come la mia, deve essere pronto alla più statica bassa manovalanza creativa. Trovare la stessa idea che ha già in mente il cliente, che pur assomigliando alla sua realtà è comunque la stessa che ha visto già altrove, quindi concretizzarla secondo i suoi gusti, e non quelli delle persone a cui tale comunicazione deve arrivare. E su Internet il problema non cambia di molto, anzi, il contrasto tra obsolescenza e modernità dello scenario è ancora più stridente.