dei diritti e delle pene

Standard

Negli ultimi 20 anni il mondo è andato sottosopra, e tutto sommato individualmente ce la siamo cavata, non trovate? Voglio dire, anche mia mamma a 74 anni mi manda gli sms con spazi e punteggiatura corretta, abbiamo sdoganato i video scaricati da Youtube in qualità Commodore 64 e utilizzati al tg tra i servizi con quei pixeloni che sembra un muro di Tetris (al che ti chiedi che senso abbia possedere un televisore hd), e prima o poi anche io passerò dal libro all’e-reader. Insomma, l’evoluzione serve a sopravvivere. Le aziende stesse, non tutte ma siamo a buon punto, lo hanno fatto. Chi stenta ad accorciare il divario con la società contemporanea, Chiesa a parte perché è un altro paio di maniche, sono le strutture che invece, più di ogni altra, avrebbero dovuto precorrere i cambiamenti epocali. Prendiamo la SIAE, per esempio, che ancora oggi fa i capricci e pesta i piedi sulle tematiche dei diritti d’autore, quando gli autori, decidendo di digitalizzare le proprie cose – musica, visual, scritti – sono i primi, o meglio, dovrebbero essere i primi a sapere che la diffusione si fa solo a colpi di copia e incolla e, non me ne vogliano, non c’è soluzione al problema. E che la SIAE pensi di avviare un dibattito comprando pagine di quotidiani (cartacei) nel 2011 la dice lunga. Siamo proprio fuori strada. Ma dal web gli si vuole dare una mano, così Mantellini, su il Post, ha tentato una risposta ai 10 quesiti che la Società pone, la cui formulazione – sacrosanta – è però fuori luogo se si pensa alle contraddizioni insite nell’organizzazione formulante. Chi ama invece gli interventi un po’ cialtroni, e se leggete il mio blog so di sfondare porte aperte, trova qui i miei 5 centesimi di facezie sul tema.