questo pomeriggio alle 4 e 33 tutti sul balcone a cantare 4′ 33” di John Cage. Condividi se parteciperai. – day #22

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Ai conoscenti che mi chiedono, da addetto ai lavori della scuola, come andranno le cose e quando finirà, rispondo che quest’anno ce lo siamo giocati e ci vediamo a settembre. Si farà un condono, tutti gli studenti di ogni ordine e grado saranno ammessi d’ufficio alla classe successiva, gli esami di maturità si terranno a settembre e ci sarà la possibilità di iscriversi all’università in autunno. Stessa cosa per i test di accesso alle facoltà a numero chiuso. Il sistema scolastico nazionale terrà conto, da un punto di vista didattico (programmi svolti) e organizzativo di quest’anno breve. Per una volta non si terranno le prove invalsi (ommioddio, che ne sarà della nostra società). Si recupererà per tutti al rientro, chi era scarso prima continuerà ad esserlo anche dopo e verrà fermato con un anno di ritardo, chi era medio o bravo avrà tutto il tempo per confermarlo. Non capisco dove sia il problema. Qualcuno obietterà che non è giusto per chi era lanciato verso un futuro di successo? Poco male. La brillante carriera della giovinezza dorata nazionale avrà inizio con una manciata di mesi di ritardo.

D’altronde, avete presente che cosa sia un’emergenza? Se aveste vissuto nella Berlino del 39, o a Santiago del Cile nel 73, come avreste reagito? Siamo tutti nella stessa situazione. Stiamo a casa, facciamo finta di esserci presi tutti qualche mese sabbatico e morta lì. Continuiamo pure a fare gli spettacolini tutti insieme alla finestra. Lancio io un’iniziativa: questo pomeriggio alle 4 e 33 tutti sul balcone a cantare 4′ 33” di John Cage. Molto meglio di Rino Gaetano, non vi pare? Come dice un mio amico, “pochi sanno che il tacet è un flashmob”. Chi riconosce la semi-cit. vince una settimana premio a casa propria.

affacciati alla finestra amore mio – day #21

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C’è un pazzo nel mio quartiere che odia la retorica. D’altronde come potremmo mai biasimarlo? Ieri sera stava lavorando, anche se era domenica. So che fa l’insegnante e poco prima di cena stava registrando un video per spiegare la modalità di esecuzione di alcune attività programmate per la didattica a distanza di questa settimana. A un certo punto dal palazzo di fronte qualcuno ha messo a tutto volume “Ma il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano. Ha messo così la sua attività in stand-by, proprio come il software che usa per preparare questi tutorial, nell’attesa della fine della canzone, non immaginando che quella era solo la prima di una selezione musicale a dir poco vergognosa. L’inno di Mameli, “Azzurro” nella versione di Celentano, una canzone della tradizione napoletana e, all’improvviso, un inaspettato regalo: “Albachiara” di Vasco Rossi. Almeno venti minuti di un dj set più che discutibile. Prima di riprendere il lavoro a pensato a una reazione. “Cosa penserebbe il vicinato”, si è chiesto l’uomo, “se spostassi le casse sul balcone e mettessi 666 the number of the beast degli Iron Maiden a tutto volume?”. Sarebbe potuto passare per un anarchico, un troll, persino un satanista o anche solo un cinico che risponde con ironia alla cultura dei flash mob, che poi magari ci si commuove davvero a prenderne parte ma che ci volete fare, lui si sente così. Ma soprattutto qualcuno lo avrebbe scambiato per un metallaro, e non c’è cosa più distante di questa dalla sua natura. Le azioni partecipate e condivise non gli sono mai piaciute. Povero individualista. Nemmeno un applauso dal balcone. Nemmeno uno striscione per ricordare che andrà tutto bene. Nemmeno un saluto alla finestra, giusto per far sapere che è preoccupato quanto gli altri e spera di poter tornare alla vita normale, prima o poi. Anch’io, comunque, quando si è propagato il flash mob nel quartiere stavo lavorando. Mi sono messo le cuffie, però, e ho ascoltato il disco di esordio di una band newyorchese post punk fresco di pubblicazione, riflettendo su questa situazione, assurda per tutti.

l’essenziale – #day 21

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Mi metto nei panni delle persone che operano nei servizi superflui quando, in momenti come questi, conta l’essenziale. E lo faccio ascoltando una canzone di Mengoni, il che ha dell’incredibile.

le aziende che si fanno i dispetti – day #20

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C’è una leggenda che narra che Edge, che è la versione due punto zero di Internet Explorer, si usi una volta sola per scaricare Chrome per installarlo non appena si acquista un pc nuovo. Una volta fatto, io tolgo persino l’icona sulla barra delle applicazioni, tanto mi dà fastidio, e se si potesse disinstallare da Windows lo farei volentieri. Non prendetela sul personale. Il fatto è che ogni tentativo di sviluppare qualcosa per contrastare leader consolidati di mercato – tentativi encomiabili, sia chiaro – mi suscita un mix di tenerezza e di compassione. Immaginate di inventare un social network di massa alternativo a Facebook, o un pacchetto di software da ufficio per far concorrenza a Office, un programma di editing fotografico migliore di Photoshop, un sistema di content management più fluido di WordPress e cose così. L’emergenza del Covid-19 ha spinto molte multinazionali dell’ICT ad aprire al pubblico le loro piattaforme di collaborazione, comunicazione e soprattutto di didattica a distanza, come se Google Suite for Education gratis non esistesse. Se siete docenti e la vostra scuola ha in dotazione quel ferrovecchio di registro elettronico della Axios avrete però provato l’ebbrezza di fare un viaggio negli anni 90 con la loro piattaforma “impari”, che probabilmente – forte di un incolmabile gap di risorse – si prununcia ìmpari con l’accento sulla i iniziale.

Figuriamoci poi scalzare Google dalla vetta dei motori di ricerca e Chrome da quella dei browser. Il collega che mi ha preceduto alla gestione della componente informatica della scuola aveva installato sui pc della secondaria Linux e Libreoffice. Io Linux non lo so usare e non l’ho mai usato sui miei dispositivi perché certi software che mi servono per lavoro o per diletto – Cubase, Photoshop, Premiere sono i primi che mi vengono in mente – non hanno omologhi in versione open source. Cioè, non è vero. Sicuramente ne esistono. Ma poi c’è sempre qualcosina di diverso rispetto ai software commerciali e devi essere tu utente sufficientemente flessibile a cambiare le tue procedure. Peccato che abbia cinquant’anni e non ne vedo il motivo. Trovo invece molto efficaci le app di Google per la scrittura, il calcolo, i moduli (miglior app del mondo mondiale) e la collaborazione in genere. Ecco, possiamo dire che la dicotomia commerciale/open source si è risolta da quando c’è il cloud che ha messo d’accordo tutti. L’ex collega di cui sopra mi ha persino mandato un link su whatsapp con una paternale di Wu Ming sul fatto che dovremmo degooglizzarci che è un po’ come dire da stasera basta alla fame nel mondo.

Sul fronte desktop ci sono però delle cose che mi mandano in bestia, e ritorno a Edge, Bing e a quella parrocchia lì. Gli utenti poco esperti si ritrovano sempre Bing pre-impostato come motore di ricerca principale e – a meno di non cercare l’Aranzulla del caso – non lo riescono a smuovere dal browser. Vi racconto questo aneddoto: una collega insegnante non riesce ad accedere alla Google Suite della scuola perché tutte le volte che digita www.google.it finisce su quella merda di Bing e così si è arresa. Il mio invito a quelli della Microsoft è quindi quello di ritirare Edge e Bing dal mercato, tanto non se li incula nessuno, danno solo fastidio e ci fareste pure la figura dei signori.

dieci cose inventate che però potrebbero succedere mentre la vita è in stand-by – day #19

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Potrebbe andare peggio? Sì. Intanto potrebbe piovere, come dicevano in quel film di culto con Marty Feldman. Peraltro una delle citazioni più in voga ai tempi del corona virus – sempre tratta da lì – è “taffetà caro, taffetà tesorino” per salutarsi con il gomito quanto non ci si può nemmeno dare una pacca sulla spalla. Comunque se piove, quando devi stare in casa per forza, chi se ne importa. Be’, a me fa differenza perché per vincere il logorio della quarantena moderna un giorno sì e un giorno no mi sveglio alle sette meno un quarto e mi permetto una corsetta di nascosto dalle forze dell’ordine. Ma vi giuro che vado da solo, se incrocio qualche altro malintenzionato in tuta mi faccio da parte – ben oltre il metro di distanza – ed evito di rilasciare sudore nell’aria.

Ma ci sono altre cose che potrebbero peggiorare la situazione. Potrebbe manifestarsi un’indisponibilità di Internet in casa, un guasto o qualunque catastrofe sulla banda larga che impedisca di aggiornare il proprio blog, tenere videoconferenze con i propri studenti (vale solo se fate l’insegnante), guardare serie su Netflix o anche solo controllare la quantità giusta di ingredienti di una ricetta che non ci si ricorda più.

Ho pensato anche, in questo momento di panopticon generalizzato, che qualcuno potrebbe organizzare un colpo di stato. Tutte le risorse sono impegnate sul fronte dell’emergenza e dell’ordine pubblico per scopi sanitari e chissà se da qualche parte non si trova una breccia per infiltrarsi nell’apparato e scardinare lo stato democratico dall’interno. Sì, lo so, stare tutto il tempo a casa a leggere e vedere film libera la fantasia. E, a proposito di politica, ho appena letto che persino l’Isis ha chiesto ai suoi adepti di proteggersi, quando io invece credevo che starnutire tra la folla potesse costituire il metodo più efficace per creare vittime rispetto a un attacco kamikaze tradizionale.

E chissà come si sentono quelli che patiscono un malanno qualunque, quelli che oggi sono passati in secondo piano perché il Covid-19 ha rubato completamente la scena. Si può chiamare comunque un’ambulanza? Ci si può recare lo stesso al pronto soccorso? Boh.

Ho un amico, invece, che ha avviato una relazione con una donna proprio alla vigilia del primo blocco cautelativo, a fine febbraio. I due si sono innamorati, si sono incontrati una volta e poi basta. Chiusi nelle rispettive abitazioni ubicate nelle proprie città a centinaia di km di distanza, si salutano su Skype e attendono che finisca tutto per rivedersi dopo quella prima volta che inizia a essere lontana e dare inizio finalmente al nuovo capitolo delle loro vite. Al contrario, ci sono coppie consolidate e insieme da anni a cui la convivenza estrema 24×7 non fa bene. Uomini e donne abituati a trascorrere intere giornate in ufficio a cui la vacanza domestica forzata con i propri cari non fa mica bene. Fate come me: mia moglie, mia figlia ed io – tutti impegnati a portare avanti le rispettive attività su dispositivi connessi alla rete – ci impegniamo a mantenere la calma e ci siamo imposti una soglia di emergenza di irritabilità, una buona pratica che permette una convivenza più serena.

Ad Annamaria, una vecchia compagna di liceo con cui sono in contatto su Facebook, invece si è guastata la lavatrice. In molte case i lavori domestici costituiscono, di questi tempi, un valido passatempo. Mai come oggi ci è stata data la possibilità di badare alle condizioni delle nostre abitazioni. Ci sono scaffali in alto pieni di polvere, box da riordinare, tende da lavare, armadi da cambiare – nel senso del cambio di stagione – e cose così. Può capitare che un elettrodomestico vecchio, sovrautilizzato come in questi giorni, ci lasci a piedi. Riuscirà la nostra eroina a farselo aggiustare?

Il marito di una collega, poi, ha comprato una bellissima e costosissima automobile nuova qualche mese fa che è stata consegnata al concessionario proprio il giorno prima in cui il decreto del presidente del consiglio mettesse fine alla nostra libertà di spostamento. Il cruccio di quest’uomo è duplice: non poterla ritirare, e chissà fino a quando, e anche nel caso ci riuscisse il non poterla lanciare sulle strade a tutta velocità come aspettava da tempo. Che disdetta.

Mi sento vicino anche a tutti i ragazzi che praticano sport agonistico e che si sono visti interrompere i campionati giovanili. Una ex compagna di squadra di volley di mia figlia, passata a una società che milita in serie C, stava vivendo il sogno di guidare il proprio girone in vetta alla classifica, per la prima volta nella sua carriera. A voi giovani atleti non posso che consigliare di tenere duro, sono sicuro che la prossima stagione sarà quella giusta.

Ma c’è un ultimo aspetto che potrebbe trasformare la vostra clausura in un inferno. C’è un blogger che di mestiere fa l’insegnante e che si occupa di amministrare tutta la componente informatica e digitale dell’istituto comprensivo in cui è di ruolo, una scuola di un paesello alle porte di Milano. La scuola ha lanciato una bellissima iniziativa, chiedendo agli studenti di fare un disegno sul tema “andrà tutto bene”, fotografarlo e mandarlo a chi gestisce il sito dell’istituto, che è poi l’insegnante blogger di cui sopra, che da due giorni non fa altro che ridimensionare foto – tagliando spesso i volti dei bambini che, come è noto, non si possono pubblicare – e aggiungerle alla gallery in home page dedicata. L’iniziativa è piaciuta molto, che ci volete fare. Vabbè, finirà anche questa.

svalutati – day #18

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Il limite della didattica a distanza è la valutazione, un principio evidente di per sé che deve far riflettere gli insegnanti sulle attività da assegnare agli studenti quando sono a casa. A casa ci sono genitori ingegneri, sorelle all’università, fratelli al liceo, parenti di terzo grado pronti a intervenire a causa di adolescenze irrisolte. E poi c’è internet, le versioni di latino prêt-à-porter, i tutorial su Youtube. In questi giorni di iper-vacanza la bomba è esplosa: le famiglie patiscono la valanga di compiti tradizionali o autentici, i docenti imbranati sulla rete impazziscono cercando di familiarizzare con le soluzioni innovative per rimanere in contatto con la classe, gli studenti ormai ce li siamo giocati, del tutto fuori controllo e inadatti a sopravvivere nel cammino verso le competenze, pur avendo strumenti potentissimi a disposizione.

La scuola fuori dalla scuola fa acqua da tutte le parti, un segnale che il gap del nostro sistema educativo con la realtà, con il lavoro, con la pratica, vive e lotta contro di noi. Pensate al valore che può avere una qualsiasi attività traslata dai banchi della classe alla scrivania della cameretta. In terza media ho disegnato una proiezione ortogonale di non ricordo che cosa a mia figlia perché aveva fatto tardi all’allenamento di pallavolo, non ce l’avrebbe fatta a terminare tutti i compiti, e grazie a me ha preso un voto altissimo, mi pare un otto o un nove. Oppure pensate ai prof che vogliono fare le interrogazioni in videoconferenza. La sorella maggiore che si sta laureando si mette dietro lo schermo del laptop e suggerisce le risposte di chimica all’alunna a cui il docente rivolge delle domande per metterle un voto alla fine. Sembra la solita incompatibilità tra la sfera analogica e quella digitale: didattica a distanza e voti vivono in due mondi diversi, come una mela e un bullone.

Ma dal momento che non voglio far parte del problema ma portare soluzioni, ecco secondo me quello che noi insegnanti dovremmo prescrivere ai nostri alunni in situazioni come queste, fermo restando che è auspicabile che non si avverino più. Leggete romanzi, digitali o di carta. Tanti romanzi. Nei romanzi si imparano tutte le materie, persino la fisica e il disegno tecnico. Guardate tanti film, ma solo dopo aver letto tanti romanzi. Cercate tanti articoli di divulgazione in rete, c’è pieno di capoccioni che spiegano tutte le cose che ci sono da capire. Mettete sul piatto tanti dischi e ascoltateli dalla prima all’ultima traccia. Poi ascoltateli una seconda volta, una terza e una quarta, e poi provate a scrivere quello che avete capito. Scrivete su Word, su un file di blocco note, su un blog come questo, ma scrivete tanto e scrivete tutto quello che vi passa per la testa. Chiamate gli amici, i nemici, quelli a metà, le persone con cui avete poca confidenza, le nonne di novant’anni, i cugini di terzo grado. Fatevi raccontare cos’è la vita, com’è la vita, cos’è la morte, come sarà morire.

Avete mai notato quelli che su Facebook dicono di aver studiato all’università della vita? Ecco, forse parte del programma per una laurea triennale all’ateneo della strada è compreso in un piano di studi di questo tipo, senza aule né docenti, con la differenza che in strada ora è meglio non andarci. Possiamo chiamarla università di casa propria. Ora poniamoci il problema di valutare, quando tutto tornerà alla normalità, quelli che in questi mesi di quarantena e clausura si sono preparati così. Dei veri geni? Ci potete scommettere.

conference call is for boys, collegio docenti su google meet is for men – day #17

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Ieri ci siamo visti tutti in video-conferenza: per la prima volta il collegio docenti si è tenuto online. Questa maledetta pandemia ha reso urgente lo sforzo che il corpo insegnanti deve compiere per digitalizzarsi un po’. L’abbiamo detto più volte: non è il coding o la LIM in classe a informatizzare l’organizzazione della scuola, piuttosto è una questione di forma mentis. E per farvi capire, vi racconto questo: ho attivato Google Suite nell’istituto comprensivo di cui faccio parte a luglio dello scorso anno. La nostra dirigente ha indetto il collegio docenti su Meet un paio di giorni fa e fino a mezz’ora prima dell’inizio ho ricevuto richieste disperate di colleghi che non avevano mai effettuato l’accesso, avevano perso la password o non sapevano come fare. Non stupisce, quindi, che nel duemila e venti ci sia ancora gente che scrive e-mail così:

A parte l’osservanza, ma che si scrivano e-mail come le dichiarazioni che usava la pubblica amministrazione negli anni 70 fa sorridere.

Malgrado ciò, la risposta è stata entusiasmante. Anche i docenti meno digital si sono impegnati a adattarsi al nuovo corso. Tutti si salutavano dalle loro case a nord e sud del Paese come se fosse stata la prima volta che si vedevano in video. Mi hanno fatto una enorme tenerezza: sono abituato alla telepresence delle multinazionali in cui trasmettersi a migliaia di km è l’abitudine. Qui, dove si lavora a pochi metri di distanza da bambini smoccolosi e febbricitanti, la vicinanza e la relazione costituiscono il vero capitale aziendale. Sono certo che usciremo da questa emergenza con qualcosa in più.

alla ricerca del tempo perso – day #16

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La sfumatura semantica tra tempo perduto, che sa tanto di proustiano, e tempo perso, che ha invece molto del lazzarone, ai tempi del covid-19 va a farsi benedire. La giornata serrati in casa è lunga e smarrirsi è un attimo. Saltata la cognizione del tempo, la quarantena ha generato un minestrone che va dal lunedì alla domenica, senza routine dettate da orari e impegni quotidiani, settimanali e, a breve, mensili. Resta fondamentale la capacità organizzativa e lo sforzo nel non abbruttirsi: vestiamoci da ufficio anche se lavoriamo al pc in salotto, mangiamo solo nelle finestre di tempo dedicate ai pasti, manteniamo gli orari che dedichiamo allo sport, accendiamo la tv solo dopo cena, continuiamo a puntare la sveglia alle 6.00. La fascia più penalizzata è quella dei ragazzi. Senza scuola devono mettere sul pause la loro vita di relazioni e, anche barricati in cameretta con lo smartphone in mano tutto il giorno, inevitabilmente lo scontro con gli adulti della famiglia si scatena. Cosa avrebbero fatto i sedicenni dell’82 in una situazione analoga, senza Instagram, Netflix e Pornhub? In clausura avremmo giocato a Subbuteo da soli, fumato centinaia di sigarette, registrato compilation su cassette provando tutti gli accostamenti tra i generi possibili, letto qualcosa, condotto conversazioni con moderazione – per ovvi motivi di costi in bolletta – dall’unico telefono di casa con i nostri migliori amici, richiesto canzoni con dedica alla nostra radio libera preferita a scopo di flirt asincrono. Il paradosso è che nella ricchezza contenutistica in cui viviamo la possibilità di farci due maroni così è altrettanto reale. Una collega ha lanciato un’idea che mi è piaciuta così tanto da propormi per un aiuto nel metterla in pratica. Avviare un blog aperto ai contributi di tutti gli stakeholder del nostro istituto comprensivo – bambini, ragazzi, docenti, personale amministrativo, genitori, preside – in cui pubblicare pensieri, disegni, foto, temi, poesie e tutto quello che si vuole sul tema della vita quotidiana ai tempi del coronavirus, un po’ come sto facendo io qui da sedici giorni. Non vedo l’ora di poter scrivere minchiate anche da altre parti. Vi farò sapere.

milano mia portami via – day #15

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La scuola quando non c’è scuola è una grande scatola vuota. Ci sono i collaboratori che puliscono e disinfettano. Ci sono gli operai del comune che sostituiscono i dispenser per il sapone nei bagni dei docenti. C’è una collega che è passata perché l’hanno avvisata che le maschere fatte con i piatti di plastica che ha appeso per carnevale lungo il corridoio si sono staccate.

Ci sono anch’io. Ho concesso una finestra di un’ora ai genitori dei miei bambini per recuperare libri e quaderni, considerando che la cosa sembra andare per le lunghe. Ho allestito una specie di bancarella all’ingresso e ho consentito l’accesso uno per volta per evitare assembramenti. Ho rivisto Anna, Denis e Marco che sono passati a salutarmi ed è stato doloroso non poterli abbracciare come facevamo fino a qualche settimana fa. Anzi, chissà quanti e quali virus ci siamo scambiati, a essere così affettuosi: al rientro dalle vacanze di Natale a scuola c’è stata un’ecatombe di presenze, sarebbe interessante scoprire se le influenze che hanno afflitto i miei appartenessero già al ceppo maledetto.

La scuola senza la scuola mette malinconia. A tutti ho detto che spero di vederli presto e, in risposta, ci siamo augurati che l’emergenza finisca presto ma con la consapevolezza che non sarà così. A casa va meglio perché vedo solo l’aspetto più faticoso delle scuole chiuse, ovvero la tecnofobia che fa schizzare la pressione agli insegnanti quando si parla di collegio docenti in videoconferenza, di didattica online, di piattaforme per le lezioni a distanza. Mi mancano invece le colleghe che si presentano alle riunioni con i dolcetti e che hanno il senso dilatato del tempo che è tipico della scuola primaria, una dimensione fatta di cose ripetute all’infinito, di aneddoti personali al posto dell’astrazione teorica, di collegialità portata all’estremo.

E anche questa scuola, quando non c’è scuola, continua a essere una grande scatola vuota. La voce dei pochi presenti che rimbalza con il riverbero dalle spesse mura delle aule deserte, le notifiche di WhatsApp che riecheggiano foriere dei timori dei colleghi del sud che sono rientrati a casa in fretta e furia con l’incertezza sanitaria della zona rossa nel trolley, i figli piccolissimi che i bidelli hanno portato con sé al lavoro e che restituiscono l’illusione che ci sia vita, da qualche parte. Non lì, non più, almeno non adesso.

funzioni primarie – day #14

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La combo clausura + zona rossa ha reso inevitabilmente le giornate tutte uguali. Non ci sono più sabati e domeniche e, ma questa è una fortuna, non esistono più i lunedì mattina e i dolorosi risvegli alle sei dopo il weekend per tirare giù dal letto i figli, far loro la colazione, aspettare che si lavino, si vestano e preparino lo zaino per accompagnarli al capolinea della metro. Non esiste più la domenicosità o sundayness per gli anglofoni, quella sensazione che si provava ascoltando la sigla della “Domenica sportiva” negli anni ottanta o quella di “Amore criminale” oggi, una trasmissione che ogni volta prego mia moglie di non seguire perché aggiunge il disagio di essere di sesso maschile a quello di essere umano, pedina del sistema economico produttivo. Sistema che, di questi tempi, risulta seriamente in pericolo.

Noi insegnanti ci sentiamo in colpa per ricevere – al momento – ancora lo stipendio mensile per stare a casa. Il trucco è darsi da fare per mantenersi utili in qualche modo, ricordando che siamo fornitori pagati di un servizio di cui siamo tenuti a mantenere degli standard sottoscritti al momento della firma del contratto. Per garantire ciò, come prima cosa evitiamo di partire da Milano per rientrare a Pantelleria dai parenti di primo grado. Per due motivi: rischiamo di infettare con il nostro virus nordista le perle del sud – oltre a quelli che viaggiano nei posti accanto a noi- e i nostri studenti e rispettivi genitori potrebbero aver bisogno di noi qui.

Come seconda cosa, diamoci una mossa a diventare insegnanti digitali e inventarci modi per rimanere in contatto con la classe. Le piattaforme che ci possono venire in aiuto sono numerosissime: Google Classroom anche se la vostra scuola non ha attivato la Google Suite for Education, Zoom per fare videoconferenze, Weschool e Edmodo per allestire lezioni e condividere materiale. Ma anche un banale WhatsAppweb con il telefono dei genitori e persino le dirette Facebook possono avere un senso.

Lunedì mattina sarò a scuola per restituire, tenendo le debite distanze, i libri e i quaderni dei miei bambini alle famiglie. Si è già stabilito che sarà tutto fermo fino al 15, si dice che non si rientrerà in classe se non ad aprile, i più realisti parlano di dopo pasqua, questo vuol dire che l’anno scolastico nell’anno del coronavirus è già finito. Non mi sembra così grave. L’anno prossimo avremo più da fare perché tutte le scuole si trasformeranno in uno di quegli istituti che permettono di recuperare due anni in uno e chi ha superato l’esame di maturità, sempre che si riesca a organizzare in qualche modo, avrà preparato qualcosa in meno. E quindi? Ne risentirà l’economia, lo sviluppo, la civiltà stessa? Verranno meno le nostre funzioni primarie?

Piuttosto, mi sembra molto grave che molti notebook di oggi siano stati provvisti di tastiere con i tasti funzione al contrario. A ogni tasto funzione è associato un comando – modalità aereo, aggiungi e togli luminosità allo schermo, disattiva l’audio – e così per rinominare un file con il tasto F2 o fare il refresh di una pagina con l’F5 devo premere i tasti funzione in combinazione con il tasto Fn. Questa novità testimonia il mondo alla rovescia in cui viviamo oggi che non è più di dominio degli informatici bensì della gente comune e che è finito il primato dei dispositivi professionali a vantaggio di quelli consumer pensati per acquirenti poco nerd come gli insegnanti come me che possono così mettersi in pista per dimostrare ai loro alunni che nessuno si è dimenticato di loro.