cambio degli armadi – day #48

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In coda all’ingresso della Coop mi specchio nelle vetrine dei negozi chiusi del centro commerciale per assicurarmi di non avere un aspetto più inquietante del solito, che andrebbe ad aggiungersi ad alcune forme di regressione dovute al lockdown. Non solo c’è bisogno di un parrucchiere in famiglia, ma mi sono disabituato a guidare, tanto per iniziare, ed è una fortuna che ci siano poche auto in giro. Tenere la mascherina mi fa andare in iperventilazione o comunque l’effetto è quello di quando ti fanno respirare nel sacchetto per farti riprendere. Il risultato è che mi sento euforico e con le altre persone in fila indiana col carrello ci scambiamo sguardi che vogliono dire guarda come siamo ridotti. Indossiamo tutti le prime cose che abbiamo trovato lasciate su una sedia la sera prima e non è una forma di trasandatezza. L’outfit dei sopravvissuti impone abbigliamento comodo nel caso dovessimo darcela a gambe levate, metti che spunti Godzilla dal retro del ristorante cinese di fronte al negozio di ottica. I punti vendita della fast fashion hanno abbandonato i loro manichini semi-vestiti nemmeno fossimo nel set di un film catastrofico americano. I più accorti hanno aggiornato però le vetrine con capi primaverili, non si sa mai che qualcuno, giocando con il proprio riflesso proprio come sto facendo io, sigli venga voglia di collegarsi al sito e-commerce con il telefono e concluda al volo qualche acquisto. Ma che ce ne facciamo di scarpe nuove? Perché dovremmo comprarci i pantaloni leggeri se tanto, quando si potrà uscire di casa, sarà di nuovo autunno? Ogni brand ha personalizzato il proprio messaggio di andrà tutto bene. Quelli che tengono a sottolineare il loro paese di origine scrivono parole di amore per i consumatori italiani in un’altra lingua, che anche se nessuno la parla il significato è facilmente comprensibile. Fare la spesa alle otto, appena apre il supermercato, è il momento migliore. Tutto sommato la coda è accettabile ed è solo una parte di una serie di attese che stanno una dentro l’altra come matrioske che poi, a pensarci bene, quella delle bambole russe è una metafora azzeccata per il social distancing.

inspira, cospira – day #47

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Il bello di diventare vecchio è il dono che la natura ti fa di osservare le cose al netto dei tuoi innumerevoli inverni sul groppone. Tutto quello che si vede in giro e che va dalle canzoni che hai composto da giovane alle pandemie globali può essere finalmente valutato per quello che è, nell’esempio che ho portato prima le canzoni composte da giovane come delle cagate pazzesche, le pandemie globali come delle pandemie globali. Probabilmente chi campa cent’anni riesce a minimizzare persino il proprio decesso, peccato che non ci sia sufficiente margine per raccogliere dai diretti interessati se l’esperienza ha risposto alle aspettative. Io, per dire, fossi un giornalista di quelli che sfornano saggistica che scala le classifiche dei best seller vi farei fare delle grasse risate sui complotti che sono frutto della mente di quelli a cui nessuno ha voluto bene da piccoli e che ce l’hanno tutti con loro. Per me che non riesco nemmeno a cambiare la batteria della macchina è difficile immaginare come sia possibile una sostituzione etnica, cioè un’organizzazione spalmata lungo un arco di tempo inimmaginabile che induce milioni di persone ad abbandonare il proprio continente per spostarsi in un altro con l’obiettivo di mescolarsi alla popolazione autoctona per rubare identità, economia, religioni e, soprattutto, donne e lavoro. Per non parlare degli stratagemmi per elevare la temperatura del pianeta con irrorazioni di sostanze nocive tramite velivoli e, quindi, con il coinvolgimento delle numerose compagnie di bandiera del mondo o cosucce di questo tipo, così facili da implementare e alla portata di tutti. In questo periodo circolano diversi articoli sul regime imposto grazie a un virus costruito in laboratorio per farci stare tutti a casa, da qui in poi, e probabilmente chi scrive questi pezzi, capitando da queste parti, penserà a me come un prezzolato scribacchino del web al soldo di big pharma e massonerie varie. Perché qualcuno dovrebbe farci morire tutti, per esempio. Perché il regime imposto da pd+grillisti (che poi sono i rappresentanti dei complottari) ci vorrebbe tutti in casa a guardare serie complottare su Netflix dopo aver sguinzagliato le pattuglie della polizia locale a inseguire e multare persino chi corre sulla spiaggia. E perché ci è vietato persino di seppellire i nostri casi quando la pandemia costruita in laboratorio di cui sopra ce li porta via. O forse è tutto in piano per sbarazzarci di qualche migliaia di pensionati e dar respiro alle casse dello stato, pardon, del regime? Le cose succedono perché succedono. Meditate, gente, meditate.

questo post è una favola – day #47

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Bimba Birilla è sempre molto felice quando può addormentarsi nel lettone con Mamma Birilla e Papà Birillo. Si mette il pigiamino a righe, prende quattro libri dallo scaffale, salta sul piumone e dice “Papamamma, mi leggi una storia?”. Anche Mamma Birilla e Papà Birillo sono felici di avere Bimba Birilla tra loro. Starebbero sempre con lei. Ma Bimba Birilla sta diventando grande, e in tre nel letto si sta proprio stretti.

Allora Mamma Birilla e Papà Birillo vanno al negozio di tinte e comprano una latta di giallo, una di rosso e una di verde. Poi prendono qualche foglio colorato, forbici e pennelli e si mettono al lavoro. “La cameretta di Bimba Birilla sarà la più bella e divertente cameretta del mondo, e Bimba Birilla vorrà passare tutto il suo tempo lì, anche la sera”. Prima dipingono tutte le pareti. Mischiano un po’ di rosso e di giallo, e i muri diventano arancioni. Poi disegnano un albero di mele, un gattino che dorme all’ombra, un elefante che sguazza in un laghetto e un bimbo che suona una trombetta.

Anche i fogli colorati diventano animali, frutta e oggetti da appendere alle pareti: una rana, una anguria, due note musicali, una sedia a dondolo, un panda che si arrampica sull’albero di mele.

Papà Birillo sale sulla scala e dipinge il cielo con il sole e una nuvoletta. Poi colora il soffitto sopra il lettino di blu scuro, e disegna una luna che sorride e le stelle che fanno il girotondo.

Ora la cameretta è tutto un mondo da scoprire. “Bimba Birilla, dove farai la nanna questa sera?”, chiede Mamma Birilla, che ha le mani e le guance ancora macchiate di colore. “Nel lettone”, risponde Bimba Birilla. “In cameretta c’è troppo odore di pittura”.

il miraggio del tre di maggio – day #46

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Mi ringrazierete per avervi tenuto il conto di quanti giorni sono trascorsi. Peccato non poter prevedere quanti ne rimangono perché ci sarebbe davvero da fare il pieno di visite al sito. Il silenzio è così ingombrante che ti fa sentire i vicini in casa, quando alzano di una tacca il volume della voce. Ieri il dj di quartiere ha anticipato il suo set e ci ha deliziato persino con “Italia” di Mino Reitano proprio mentre ci siamo fatti un saluto su Zoom con gli amici più intimi. Ci siamo ricordati che erano anni che non si vedeva un aprile così incantevole, senza pioggia e senza perturbazioni provenienti dai paesi del nord. Ci siamo detti che cosa abbiamo consumato a pranzo. Ho letto sui social che sono stati in molti quelli che hanno sfidato la natura preparando sontuose pietanze come se nulla fosse. Noi abbiamo confermato l’ordinarietà del pasto concedendoci solo una boccia di prosecco. Venerdì e sabato santo, Pasqua e pasquetta, tutte indistinte caselle da smarcare in un conto alla rovescia che ciascuno di noi ha impostato a seconda del proprio temperamento, destinato a terminare in una gamma di possibilismo che va da martedì 14 con le cartolibrerie aperte sino a martedì 1 settembre, per i più realisti, quando inizieremo a fare i turni per sederci in cattedra e accogliere a gruppi anti-contagio i nostri bambini a scuola. Nel frattempo mangeremo italiano, viaggeremo italiano – se qualche spostamento sarà ammesso – e spereremo italiano. Ma non chiedeteci di cantare italiano perché, nel frattempo, di Rino Gaetano, Celentano, Ricchi e Poveri e Toto Cutugno ne avremo pieni i coglioni. A metà di questa vacanza dalla vita siamo in quel punto in cui non vediamo più l’entrata del tunnel e non si scorge l’uscita. Oggi ho svuotato la memoria del mio smartphone intasata da video motivazionali, riadattamenti di vecchi sketch in versione quarantena, gif animate e orrende uova con la bocca che mi cantavano canzoni contestuali alla festività da trascorrere in casa. Ma anche un po’ vaffanculo.

narcos – day #46

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Leggo due pagine di libro e mi addormento. Guardo cinque minuti di film e mi addormento. Sbircio qualche foto su Instagram e mi addormento. Seguo i titoli del telegiornale e mi addormento. Accendo la radio e mi addormento. Penso a cosa devo fare il giorno dopo e mi addormento. Metto il mio disco preferito e alla prima canzone mi addormento. Mi siedo sul divano per rilassarmi, mi viene la gatta in braccio e mi addormento. Bevo il caffè al sole sul balcone e mi addormento. Torno al computer per preparare una lezione da tenere in videoconferenza e mi addormento. Metto la torta nel forno e mi addormento. Mia moglie mi racconta un aneddoto e mi addormento. Do un’occhiata a quello che postano gli amici su Facebook e mi addormento. Faccio gli auguri di Pasqua a mia mamma al telefono e mi addormento. Scrivo qualche riga sul mio blog e mi add

cosa fai – day #45

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Se fossi come il mio vicino maschio alfa avrei già rimesso a posto casa e box, grazie alla quarantena. Avrei tinteggiato le pareti e costruito una porta scorrevole per chiudere il vano che contiene lavatrice, asciugatrice e scaffalature nell’antibagno. Avrei equipaggiato con un sistema di mensole la nuova parete in cartongesso con cui abbiamo chiuso l’ingresso secondario della cucina, che fa da schienale all’armadio che abbiamo fatto costruire su misura lungo il corridoio di accesso alla sala.

Poi avrei pulito una ad una le listarelle delle veneziane del balcone, sopra e sotto, spruzzando meticolosamente il detergente, passando un panno per lavare tutta la superficie e uno differente per asciugare subito dopo. Avrei potuto persino sostituire le cordicelle che le intemperie ormai hanno ridotto a brandelli sfibrando il rivestimento rosso esterno e lasciando solo l’anima interna bianca. So che è sufficiente fissarne un’estremità a un’altra con la fiamma di un accendino e lo so perché me lo ha suggerito lui.

Ma oggi c’è il sole e fa caldo, così mi sono messo a scrivere sul balcone. Una famiglia con tre figli si è trasferita nella villetta che sorge proprio qui davanti. I bambini stanno lavando lo scooter e la bici della mamma proprio sotto i miei occhi. Riesco a osservarli e a scrivere contemporaneamente senza spostare lo sguardo sulla tastiera, questa è un’abilità non da tutti, altro che cambiare le cordicelle delle veneziane. Che poi chissà perché si chiamano così. Forse le cordicelle che manovrano l’inclinazione delle lamelle permettono di spiare di nascosto i gondolieri?

Il mio vicino maschio alfa però è sempre disponibile. Gli ho detto che mi si era scaricata la batteria della macchina e, senza che gli chiedessi nulla, mi ha suonato al campanello e, praticamente, ha fatto tutto lui. Prima ha provato a rimetterla in sesto con un dispositivo che si chiama booster. Poi ha avvicinato la sua auto alla mia e, con i cavi, me l’ha messa in moto. Quindi mi ha suggerito di spostare la macchina dal parcheggio in strada nel garage così l’ha collegata a un caricatore per verificare se la batteria fosse da sostituire o meno. Infine, visto l’esito dell’operazione, mi ha cercato su Amazon il modello di batteria da acquistare e me lo ha salvato addirittura nel carrello. Dopo qualche ora mi ha persino regalato per Pasqua due riproduzioni in cioccolato fondente di componenti meccaniche e un termometro fatto a forma di manometro, tutta roba proveniente dai gadget aziendali che riesce a mettere via.

Mentre si accertava dello stato di salute della mia macchina, con un cenno di disapprovazione del viso mi ha comunicato che la guarnizione della testata perde – non ho capito che cosa – e che presto sarà da sostituire. Ci vorrà un millino, così mi ha detto. La mia macchina l’ho pagata cinque milllini, per usare il suo lessico, e già l’anno scorso, tra pompa di alimentazione, climatizzatore e altri interventi di manutenzione ordinaria ho superato ampiamente il suo valore di acquisto.

Il fatto è che anche la famiglia con i tre figli che si è trasferita nella villetta qui davanti è guidata da un maschio alfa come il mio vicino. Sono entrati nella casa nuova poche settimane prima del lockdown e, approfittando del momento, ha già finito di sistemarla. Ha persino montato una copertura speciale sul capanno degli attrezzi in legno che ha costruito con le sue mani, probabilmente abbattendo da solo una sequoia da qualche parte e ricavando le assi necessarie. Nel tempo in cui ho scritto questo post lui e i suoi figli hanno terminato di lavare la moto e la bici della moglie e ora sta passando uno scopettone per asciugare i rimasugli di acqua e detersivo dal vialetto d’ingresso. Poi mi ha notato e ci siamo salutati, probabilmente ha scoperto solo ora di vivere di fronte a un blogger di un certo livello.

autocertificazione – day #44

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Incarno diverse personalità. Ispiro sufficiente credibilità da permettermi addirittura delle percentuali, anche se la matematica non fa parte della mia natura malgrado la insegni nella scuola primaria. Posso azzardare quindi un 33% filosofo/intellettuale/pedagogista, 33% musicista/esperto di musica e un 33% scrittore americano. Il rimanente 1% lo lascio di mancia alla vostra immaginazione, andate pure a giocarvelo a biliardino.

Il fatto è che il mio pubblico mi segue in tutto fuorché nella musica ed è un aspetto a cui non trovo una spiegazione, se non adducendo banali scusanti del tipo sono un musicista scarso/ho gusti musicali di merda. Si tratta di una provocazione, naturalmente, considerando che ascolto e suono new wave dal 1981.

Un riflesso di questo fenomeno è facilmente rintracciabile su Facebook. Pur avendo centinaia di seguaci, quando pubblico una mia composizione non ricevo apprezzamento alcuno, anzi quasi sempre passa inosservata, mentre qualsiasi stronzata che scriva ottiene successi sin troppo sovradimensionati. Non credo però che il mio pubblico sia composto da gente di poche pretese. Piuttosto, credo di cavarmela bene nella narrativa, nell’aneddotica e nelle freddure da social media, l’esempio più calzante di filosofia (il mio primo 33%, ricordate?) presentata con le sembianze di ingenua ironia e i miei lettori lo riconoscono e mi premiano per questo. Per non parlare del successo di questo blog che, non dimenticatelo, a luglio compie dieci anni in questa veste, anche se – i più fedeli fan ricorderanno – mi occupo di scrittura per il web oramai da quasi venti.

Non vorrei sembrarvi presuntuoso, ma credo che un po’ di riconoscenza in più per le mie proposte musicali dovrei meritarlo. Eppure non c’è verso di strappare il plauso nemmeno dei contatti più stretti. Amici e parenti non mi danno nessuna soddisfazione. Questo è uno dei principali motivi che mi ha spinto a ritirarmi dalle scene, ormai da circa quindici anni, ma nulla mi toglie dalla testa che non mi sia stata mai dedicata una adeguata attenzione. Pazienza, metterò da parte la mia personalità audiofila e mi concentrerò unicamente sul resto.

voi vi fate il pane, io mi faccio i panini – day #43

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Alla fine di quest’esperienza come prima cosa ci peseremo tutti e, subito dopo, leggeremo la bolletta della luce e del gas. In periodi di normalità sanitaria su un totale di 35 pasti settimanali pro capite (colazione – spuntino – pranzo – merenda – cena), quindi per un totale di 105, il nucleo famigliare di cui faccio parte  ne consuma a casa una media di 76. La clausura forzata ci ha fatto raggiungere la percentuale a tre cifre, ne consegue che si prepara, si mangia e – conseguentemente – si lava tutto esclusivamente tra le mura del proprio domicilio. Forno ed elettrodomestici da cucina fanno scintille e, al supermercato, la gente fa man bassa di farine e lieviti. Io non ho trovato nemmeno il sale per la lavastoviglie, prova del fatto che tutti la stiamo utilizzando molto più di prima.

Su Repubblica non passa giorno in cui qualche chef stellato non ti insegni a preparare una pietanza. I tutorial gastronomici dovrebbero però essere più rigorosi e dettagliati perché, anche seguendo meticolosamente i procedimenti, il risultato non soddisfa mai le aspettative di chi allestisce pranzo e cena per tutti. Il cibo è consolatorio e, vada come vada, alla fine di quello che si prepara non avanza mai niente. Probabilmente anche in tempo di guerra era così, con la differenza che per i nostri avi le condizioni erano peggiori, rispetto al nostro buen-retiro, e non certo perché non aveva Youtube.

Nel complesso, non c’è momento migliore per trovare qualcosa da fare, fortunatamente uno stallo così non ci capiterà mai più nella vita. Io sto cercando un corso on line di dizione perché, registrando i video per i miei studenti, mi sono reso conto che la mia capacità espressiva a parole lascia piuttosto a desiderare in efficacia. Me la cavo molto meglio a scrivere ma forse perché, almeno sino a prima di fare l’insegnante, l’impiego della tastiera del pc ha prevalso nettamente sulla favella per le mie necessità comunicative. Ho notato che parlo troppo veloce, mi mangio le parole e ho anche qualche difetto di pronuncia. Poi ho un modo ridicolo di accompagnare quello che dico alzando le sopracciglia. Spero che questo, almeno, diverta i miei bambini.

Per passare il tempo ho anche riesumato quel poco di strumentazione che mi è rimasta. Un piccolo sintetizzatore e una master keyboard da collegare al computer. Mi sono però resoconto che la musica non è cambiata, perdonate il gioco di parole. Mi metto sulla tastiera e quello che esce è sempre lo stesso pezzo, quello che cerco di comporre da quando ho dodici anni e che non ho mai terminato. Per questo è molto più appagante suonare in una band e unire coralmente spunti e ispirazioni. Come per il cibo, anche la musica è stata inventata per esser consumata in convivialità.

il ritorno della musica della pasta barilla – day #43

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La sicurezza degli anni 80 non è soltanto le sei facce del cubo di Rubik colorate uniformemente o qualche C90 con la copertina customizzata da Tratto Pen stipata di tracce accostate con una precisa finalità di abbordaggio. I boomer che occupano le stanze dei bottoni del mondo fiaccato dal Covid-19 e i cinquanta-sessantenni che non contano nulla come me e voi sono accomunati da un anticorpo emotivo latente nel proprio sistema immunitario programmato con un subdolo principio di attivazione: la riproduzione di un codice generato dalla sequenza di note del brano “Hymn” di Vangelis.

Ogni tanto penso a ciò che differenzia un musicista ordinario da un compositore di musiche da film, o comunque pensate a corollario di immagini in movimento, in grado di condizionare per sempre l’immaginario collettivo. Evangelos Odysseas Papathanassiou, vulgo Vangelis, da questo punto di vista, è detentore di due esclusive: uomini che corrono al rallentatore sul bagnasciuga

e italiani che avvisano la mamma di buttare la pasta perché stanno tornando a casa

Qualche giorno fa avevamo parlato proprio del modo in cui i brand vogliono farsi sentire vicini ai loro consumatori, puntando sul senso di responsabilità a cui ognuno di noi è richiamato e cercando di convincere gli spettatori che possono continuare a scegliere prodotti pensati come outdoor anche per trascorrere un’alienante vita in stand-by come questa, stravaccati sul divano 24×7.

La pasta Barilla è andata oltre. Riproponendo il suo celebre inno aziendale ci vuol convincere che la nostra giovinezza dorata durante la quale la principale complessità era dovuta a una presa di campo tra Simon Le Bon versus Tony Hadley non è vero che è trascorsa inutilmente. Non è vero che siamo cresciuti privi di modelli di ostacoli da superare e che ora, al cospetto di una crisi globale di una gravità inaudita come una pandemia fuori controllo, non siamo dotati di adeguati strumenti per proteggere i nostri cari e i nostri beni.

La casa, che poi è l’ambiente che è stato inventato per stare intorno al televisore, è il baluardo ultimo del genere umano, è il bunker contro i pericoli visibili e invisibili, è il mausoleo che ci conserverà all’infinito, è la capsula spaziale che parlerà di noi agli alieni quando invaderanno la Terra per trovare un pianeta abitato solo dalle bestie che, scomparso l’uomo, avranno scalato la vetta della catena alimentare e sommerso da una vegetazione che si sarà riappropriata di ogni interstizio disponibile tra i ruderi di una civiltà così arcaica da essersi fatta prendere per il naso da un microbico agente infettivo.

Dove c’è Barilla c’è casa, ci insegna Vangelis. Il cibo è consolatorio e questa domesticità estrema ci riunisce sempre di più a tavola a chiederci come sono andate le rispettive giornate. Il papà in videconferenza nella stanza matrimoniale, la mamma perennemente in call in salotto, i figli a seguire i prof sul computer nelle loro camerette. Le esperienze sono ridotte all’osso e hanno tutte il retrogusto del silicio.

Per questo, oggi, la bambina sotto la pioggia che trova un gattino e lo riporta a casa – forse la più celebre variante dello spot originale – ci frantuma il cuore come non mai e ci fa sentire vecchi ormai al capolinea, di quelli che sanno raccontare storie imparate nelle pause di cui film e programmi sono inframezzati con una cadenza di cui ormai non ci rendiamo nemmeno più conto.

“Hymn” di Vangelis è diventato un simbolo universale della nostra civiltà, come l’uomo vitruviano o le barrette che ci indicano la potenza della connettività wireless. Anche se l’adattamento da lockdown dello spot Barilla non ci dice nulla che non sappiamo già, la sua musica ci spalanca un varco emotivo con quegli anni 80 che, ai tempi, se ci avessero predetto che un giorno ci saremmo trovati barricati in casa come eremiti coperti da una mascherina per sopravvivere, non ci avremmo creduto nemmeno per un istante tanto la strada, vista da allora, ci sembrava tutta una perpetua discesa verso il meglio.

guarda come mi diverto – day #42

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In questi giorni in cui si celebra, come ogni anno, la trasgressione per antonomasia con l’anniversario della morte di Kurt Cobain, l’evento che più di ogni altro costituisce una best practice di vita d’artista, è bene ricordare come spesso il filo rosso che lega arte e ribellione, in Italia, sia spezzato da fattori riconducibili a ordine precostituito e burocrazia come i vigili urbani e la SIAE.

Probabilmente se siamo così poveri dal punto di vista della cultura musicale, e se dalle nostre parti la musica è poco meno che una sorta di ammortizzatore comportamentale, convenzionalmente inteso come l’effigie di un’ora di ricreazione a settimana nei programmi della scuola dell’obbligo, è anche perché qualsiasi aspirazione artistica deve fare i conti con l’interpretazione del concetto di diritto d’autore proprio di un’istituzione anacronistica come la SIAE e con il fatto che l’applicazione della legge in termini di rispetto dei luoghi pubblici è pedissequamente fatta osservare senza la minima considerazione del contesto.

L’opera di vigili urbani e SIAE dà il meglio di sé congiunta, quando cioè è intesa come unione di forze volte al soffocamento di qualunque espressione artistica sopra la soglia della percezione personale. Potete tentare un esperimento in prima persona: se ascoltate una canzone o suonate uno strumento a volume utile solo alla fruizione individuale nella vostra cameretta non succede nulla. Provateci con le finestre aperte o in giardino e, nel migliore dei casi, arriverà l’auto della polizia locale e vi verrà chiesto di smettere. Nel peggiore dovrete pagare una multa per disturbo della quiete e un’altra per diffusione di composizioni altrui non dichiarata all’organo ufficiale competente tramite apposita procedura.

Non so se funzioni ancora così, ma quando facevo il musicista uno della band doveva stare pronto a scrivere su un modulo dal nome fintamente evocativo di borderò SIAE in tempo reale – cioè al termine della singola esecuzione – titolo e autore di ogni pezzo della scaletta. Immaginate Mick Jagger che, sull’ultima nota di “Satisfaction” e con centinaia di migliaia di fan in delirio nella stadio pieno, prende il microfono per avvisare il pubblico di pazientare qualche minuto per il brano successivo, giusto il tempo di registrare titolo e autori del pezzo appena terminato sul documento che permette la continuazione stessa dell’evento a cui stanno partecipando.

In questi tempi di quarantena le citttà sono piene di dj improvvisati che spezzano la monotonia dei giorni oramai senza nome per far parlare un po’ di sé al vicinato. Ne ho uno, qui di fronte, che propone una selezione ogni giorno alle sei del pomeriggio, una playlist vergognosa sulla quale però estendo la mia indulgenza, considerato il momento storico.

A qualche centinaio di km da qui, un amico fa la stessa cosa da casa sua, con l’aggravante della diretta Facebook. La musica che propone è dozzinale ma, lo sapete meglio di me, la gente ha preso iniziative di questo genere come una tappa obbligata di una routine quotidiana: alle diciotto l’appuntamento nazionale è con la spensieratezza. Ieri, però, è accaduto un increscioso fuori programma: a più di un mese, oramai, dalla nascita di queste forme di sopravvivenza alla clausura forzata, qualcuno si è rotto i maroni dell’esposizione metodica e forzata alla musica di merda e ha chiamato i vigili che, nel mezzo della diretta Facebook, gli hanno intimato di spegnere tutto, senza un briciolo di comprensione.

Una telefonata anonima, l’intervento delle forze dell’ordine, e dopo il silenzio. Meglio il nulla o la presunzione di avere gusti universali? Meglio le canzoni di Jovanotti e Celentano e l’Inno di Mameli o il surreale vuoto di un lockdown, rotto saltuariamente dalle sirene dell’ambulanza? Chi ha deciso la sequenza delle note delle sirene, poi? Si possono armonizzare con la voce senza pagare i diritti a qualcuno?