difendere i colori

Standard

Luka se la cava bene con l’italiano ma ogni tanto gli escono delle costruzioni grammaticali probabilmente dettate dal fatto che in casa, spesso, si parla ancora rumeno. Quando gli ho chiesto che cosa avesse trovato nell’uovo di Pasqua mi ha risposto “tre gomme di Milan di cancellare”, sfoggiando un accento di ritorno frutto di diverse settimane chiuso – come tutti noi – da solo con la famiglia. Mi ha messo talmente di buonumore che non l’ho nemmeno corretto. Gli solo detto che ora il suo set da scuola con i colori della sua squadra del cuore era al completo.

Luka mi ha confidato, quando ancora ci vedevamo in classe, una sua teoria sul calcio che, riflettendoci, sarebbe interessante applicare a ogni sport di squadra. Luka sostiene che i giocatori che militano nel Milan dovrebbero essere tutti nati e residenti a Milano, quelli della Juventus a Torino e così via. Una tesi che mi ha mandato in corto circuito perché, detta da un italiano di origini straniere, ha una valenza senza confronti. Mi sono chiesto se un campionato composto da compagini di questo tipo possa comportare un livello di sovranismo estremo, un ritorno all’Italia dei Comuni, un federalismo termonucleare globale. Oppure, al contrario, sia in grado di depotenziare il business dello sport abbattendo i contratti miliardari e lasciando ciascuna squadra al proprio destino territoriale. Se hai la fortuna che Cruijff nasca, cresca, si alleni e diventi un campione assoluto al di qua del cartello che delimita i confini urbani puoi vincere tutti i campionati futuri.

C’è anche un fattore di numero di abitanti. Tra gli svariati milioni di persone di una metropoli ci sono molte più possibilità di mettere insieme una formazione competitiva rispetto al paesino di cinquecento anime. Poco fa ho visto su Facebook il post di una società di volley maschile di serie B che annunciava l’arrivo di uno schiacciatore serbo e ho pensato alle aspettative dei tifosi nei confronti del campione straniero. Un giocatore che viene da lontano, con le sue abilità cresciute lontano, con la sua esperienza maturata distante che ora è in grado di poter fare la differenza. Il calcio, il volley, la batteria, il violino, la saldatura, insegnare, disegnare, produrre. Le attività dell’uomo sono uguali dappertutto e le puoi esercitare ovunque. Ma un campione che viene da fuori per aiutarti a vincere è una cosa diversa, un valore aggiunto esotico, esaltante e con un fascino senza confronti.

dietro un grande uomo c’è un grande greenscreen

Standard

C’è un passaggio del vademecum per le video-lezioni efficaci che il liceo che frequenta mia figlia ha pubblicato sul suo sito, quando è stato chiaro che quest’anno scolastico sarebbe finito così, che consiglia (vado a braccio) a studenti e insegnanti di posizionarsi davanti a sfondi anonimi, come pareti sguarnite o tende neutre, in modo da non rendere riconoscibile la propria abitazione. Ogni organizzazione pubblica che si rispetti – scuola compresa – ha una vera e propria ossessione per la privacy, ma si tratta di un fenomeno comprensibile. Se voi vi trovaste in un ambiente dominato da ricorsi e sindacati fareste lo stesso. Presentarsi al cospetto dei propri alunni con un calendario di Playboy alle spalle può risultare sconveniente, ma si tratta ovviamente di un caso limite. I colleghi, quando ci incontriamo al collegio docenti, offrono scorci interessanti, anche se – in un ambiente prettamente femminile come la scuola primaria – purtroppo i pensili della cucina e il microonde a lato del lavello vanno per la maggiore, in barba a tutte le discussioni sugli stereotipi di genere. I sistemi di video-conferenza forniscono un rimedio allo sfondo impersonale con la possibilità di bucare lo schermo e caricare immagini di background. Il fatto è che capita che rallentino la piattaforma utilizzata ed è un peccato, perché già appena l’ho scoperto mi è venuta subito l’acquolina in bocca con la smania di farmi vedere dalla dirigente con la copertina di uno dei miei dischi preferiti alle spalle. Dalla mia postazione, comunque, la vista dietro non è niente male. C’è una gigantesca libreria e lo stereo con la mia collezione di vinili. Non si vedono i titoli né dell’una né dell’altra ed è un peccato, ma sono certo che qualcuno – a mia insaputa – avrà screenshottato le riunioni per ingrandire le immagini e saperne di più, rimanendo senza parole di fronte a così tanto buon gusto.

immuni e deficienti

Standard

Per non sembrare deficiente anch’io, nel dubbio l’app l’ho installata. Pare che faccia bene. D’altronde non è, purtroppo, l’attesa dell’estinzione del Covid-19 essa stessa l’estinzione del Covid-19. Bisogna fare qualcosa. E anche se hanno sbagliato a mettere nella grafica il bambino in braccio alla mamma e il computer in braccio al papà installatela lo stesso. Non rispondete alle email finte perché vi prendete un virus, uno meno grave perché al massimo spedisce in terapia intensiva il vostro PC ma comunque, di questi tempi, meglio non scherzare. Quando la installate dovete attivare il bluetooth. Se siete in casa, potete anche disattivarlo perché, si sa, il bluetooth risucchia energia. Fuori no, accendete il bluetooth, attivate l’app. La batteria si ricarica, i polmoni no. E comunque è divertente. Fate finta di giocare a Pokemon Go. Non si vedeva una realtà così aumentata dai tempi di Pokemon Go. Il premio in palio ha un valore inestimabile. Scaricate Immuni. Siate immuni, non siate deficienti.

millionaire

Standard

Ho incorniciato e appeso la prima cripto-banconota da un euro guadagnata grazie alla nuova piattaforma di social network che ho lanciato sul mercato, uno scorcio magico dell’Internet in cui ognuno tiene le proprie opinioni per sé. Induce alla riflessione. Addirittura ci sono utenti che ci pensano ore prima di scrivere il commento giusto a una discussione perché il sistema capisce quando siete impulsivi e quanto lo siete, e come uno di quei sensori posizionati sul volante che fermano l’auto quando rilevano un tasso alcolico superiore a quello consentito per guidare oppure leggono tra le pieghe delle falangi dell’autista che ha sonno, molto sonno, e sta per addormentarsi e impostano automaticamente il pilota automatico per condurvi dritti a nanna nell’hotel più vicino, così il mio Plusbook – cosa ridete, si chiama così – intercetta la vostra cattiveria o la vena inutilmente polemica e attiva l’inchiostro simpatico nel computer, quindi vi sembra di scrivere ma lettere e parole sono trasparenti e il destinatario della vostra presunzione in realtà legge un post vuoto. Invisibile. Mi è sembrata quindi una scelta naturale quella di farmi installare in salotto uno sportello bancomat domestico che mi permetta di disporre di contanti quando il caso lo richieda, a partire dalle pizze a domicilio, tenendo conto che noi ricchi prediligiamo i pagamenti elettronici e le cripto-valute sono solo una proiezione dei vostri videogame preferiti. Uno sportello bancomat in salotto è una soluzione elegante e gli ospiti possono usufruirne in caso di emergenza. Straconsigliato da questo sito.

prendere posizione

Standard

Il signor Piero non sa mai come stare. Mani in tasca oppure braccia conserte? I palmi sui fianchi no perché si fa capire alla squadra avversaria di essere stanchi, ma questo vale anche per chi non gioca? Si guarda allo specchio e prova con il petto in fuori, così prende un bel respiro. Contrae gli addominali e spinge indietro le spalle ritraendo le scapole. Per fare ciò è costretto a liberare le braccia lungo il corpo e poi passa alle gambe. Unite o leggermente divaricate? Ha letto che tenerle larghe con le punte dei piedi divergenti a formare una v è una postura tipica di chi ha bisogno di rilassare la pancia ed è l’ultima cosa che il signor Piero vorrebbe trasmettere di sé. Si mette di profilo, gli addominali alti sporgono più dei pettorali e l’effetto che restituisce non gli rende onore, quindi curva la schiena per allineare dal torace all’inguine ma così rovina tutta la preparazione precedente e deve rifare da capo. E poi le gambe vanno tese o con le ginocchia leggermente piegate? Solleva il tallone sinistro perché sa di avere una leggera eterometria – il signor Piero mi assicura che si dice così -, questo lo fa sembrare un po’ meno asimmetrico. Poi si siede ed è la catastrofe perché tutta la parte sopra il bacino forma una specie di sacco che, nel riflesso, gli ricorda una bottiglia. Aumenta la contrazione dell’addome per capire se è un fattore dovuto alla rilassatezza del ventre o il problema è che ha la cintura dei pantaloni troppo bassa rispetto alla vita e il risultato non è per nulla gratificante. Il signor Piero, peraltro, non ha ancora capito se allo schienale vanno appoggiate le scapole e il sedere va spinto in avanti, oppure se la postura corretta impone di spingersi adesi con i reni nell’angolo della seduta e il torso in avanti, oppure è più salutare per la colonna vertebrale abbattere la curva sopra il coccige e stare attaccati il più possibile alla spalliera. Si ricorda della vecchia sedia dell’ufficio su cui gli sembrava di stare appollaiato come un pappagallo e gli doveva persino fare bene. Il signor Piero odia stare. Odia stare fermo, immobile, in piedi, per questo cammina, corre, pedale, si alza, si abbassa, si corica, si lancia su, scende, sale, si sposta, va e torna. Il suo è una vera e propria corrente di pensiero. Un movimento. Anzi, un movimento di movimento. Il signor Piero non si ferma mai, altro che.

song from the edge of the world

Standard

Da qualche parte là fuori è stato anche il compleanno di Susan Janet Ballion. Dico anche perché ogni giorno è il compleanno di qualcuno, dal centro del mondo sino ai suoi confini. Decine o centinaia di migliaia di persone che soffiano per spegnere candeline su una torta in quantità variabile simultaneamente per celebrare quella cosa lì che festeggiamo tutti, una volta l’anno. Forse sono anche milioni, ogni giorno, ma preferisco non sbilanciarmi. Il fatto è che ci sono molti artisti che fanno i dispetti ai loro fan e pubblicano molti singoli che poi non inseriscono in nessun album, così quei pazzi che smaniano per la discografia completa di questo o quel cantante impazziscono per ricostruire a posteriori l’intera collezione. Pensate alla festeggiata di oggi, Susan Janet Ballion, e a pezzi come “Israel”, “Dear Prudence” e, appunto “Song from the Edge of the World”. Ma non dovreste avercela con lei, per questo, perché è in buona compagnia, e mi riferisco a canzoni come “Love Will Tear Us Apart” o “True Faith” e lo so cosa state pensando, e cioè che esistono le raccolte, ma non è la stessa cosa. Quindi buon compleanno fino ai confini del mondo, cara Susan Janet Ballion. Dimenticavo: se scrivete su Google Translate “Song from the Edge of the World”, il sistema vi dà come risultato “Canzone from the Edge of the World”, così togliendo “Canzone” viene “dal bordo del mondo”. Se invece scrivete Susan Janet Ballion, la traduzione è Siouxsie And The Banshees.

dieci cose da togliere dalla quarantena

Standard

Le cose che passano di mano in mano non sono viste di buon occhio durante i periodi di pandemia perché le superfici posso costituire una specie di sala di aspetto in cui i virus attendono il treno che li porti a destinazione. Il tempo di permanenza in questi non-luoghi di raccolta per entità biologiche parassite sembra non essere un dato certo e non è una questione di ritardi o tratte soppresse, come succede ai clienti di Trenord. Tutto ciò che è stato oggetto di scambio durante il Covid-19 è stato giustamente demonizzato e, lato cittadino, non ricordo di essermi lavato le mani così tante volte in vita mia. Che ne sarà dei libri della biblioteca, per esempio. Leggo che saranno soggetti a una quarantena propedeutica al prestito successivo. La tentazione di spingere le porte con il gomito è forte. E gli acquisti su Amazon? Il contenuto dei pacchi sarà stato sanificato? Penso anche agli scontrini rilasciati dagli esercizi commerciali. Voglio dire, una particella così piccola può anche cadere nei più remoti anfratti di un POS e farsi un giro su un fogliettino di carta, non trovate? Non a caso non c’è reputazione peggiore, di questi tempi, degli sport in cui ci si passa o si lancia una palla tra giocatori e avversari. Magari poi un giorno si scoprirà che certe schiacciate nel volley, come quelle di Paola Egonu, li fanno secchi tutti. Le cose si complicano al supermercato: metti i guanti, tocca il carrello, togli i guanti per separare il lembi dei sacchetti all’ortofrutta e poi rimettili nuovi per spuntare tutte le voci della lista della spesa, d’altronde lo scatolame nei sacchetti mica ci può cadere con la forza nel pensiero. I terminali RFID per le compere fai da te ogni quanti utenti vengono sterilizzati? E il nastro trasportatore delle casse? La routine delle cose toccate senza soluzione di continuità prevede: tenere i guanti monouso sino alla macchina, prendere le chiavi per aprire il portabagagli, mettere i sacchetti nel portabagagli, chiudere il portellone, depositare il carrello, togliere e gettare i guanti, riprendere le chiavi che sono state a contatto con i guanti prima per mettere in modo l’auto, mettere le mani sul volante quindi aumentando il rischio, e poi a casa, dove non sai se è meglio lavarsi le mani prima di riporre la spesa in dispensa e in frigo oppure dopo o anche dopo ma poi ci sono i sacchetti, ampiamente toccati con i guanti prima, da mettere nello sgabuzzino. Un bel casino. Il fatto è che a me le superfici fanno paura, e non vorrei sembrarvi superficiale.

giorno uno di 365mila

Standard

Sono stato nominato da una mia accanita quanto invisibile lettrice a pubblicare, in 365mila giorni, 365mila canzoni che hanno un impatto deprimente su di me, mi mettono malinconia o tristezza, mi mandano in paranoia – come dicono i giovani d’oggi -, mi fanno piangere e mi ricordano che la musica è bella solo quando tocca le corde della commozione, quanto butta giù di morale, quando soddisfa il lato delle frustrazioni umane e getta nello sconforto. Mi è stato chiesto di pubblicare il video, nessuna spiegazione e nominare ogni giorno una persona che farà, se ne ha voglia, la stessa cosa. Nomino così lo sconosciuto scellerato che utilizzato “The year of the cat”, che è il brano che più di ogni altro mi ricorda quando ero bambino, per musicare un carosello di foto dello stabilimento balneare in cui ho trascorso numerose estati da adolescente. Vaffanculo, ho bagnato di lacrime la tastiera del pc nuovo.

sono peggiorato

Standard

In questi mesi di arresti domiciliari sono peggiorato. Sono decisamente più pigro e mi si è sensibilmente ridotta la gamma di opinioni. In più mi ritrovo con molte cose in meno da raccontare e, soprattutto, con un vocabolario ristretto che ogni volta, come una coperta di dimensioni inadeguate, lascia fuori i piedi, o le braccia, o peggio il partner con cui condividi il letto matrimoniale. Sono più ignorante di prima e questo mi spinge ad essere molto meno indulgente con quello che leggo sui social network. Forse sono anche più cattivo di prima. Mi sento autorizzato alla semplificazione dei contenuti e a ridurre i vostri post a tre macrocategorie, tre sintesi perfettamente intercambiabili rispetto alle vostre trovate: 1. guardate quanto sono brava/o 2. guardate quanto sono simpatica/o 3. guardate quanto sono bella/o. Ma vi invidio lo stesso perché a me ormai non viene più in mente niente di interessante. Riconduco questa crisi peggiorativa all’aver trascurate la lettura per motivi che non riesco a organizzare in una considerazione coerente, forse per via del vocabolario ristretto, forse perché tendo alla semplificazione, forse perché l’assenza di contenuti assorbiti dall’esterno esaurisce le risorse interne come qualunque altro bacino naturale che deve il suo approvvigionamento all’acqua piovana. Il cane che si morde la coda. Sono l’esempio vivente del fatto che non siamo per nulla autosufficienti, dal punto di vista culturale. Anzi, la pigrizia e l’ignoranza ci fanno credere di esserlo perché ci lasciano così poche parole e così poche esperienze da non farci sentire più bisogno di nulla. Non so di cosa ho bisogno perché, senza i libri, non ho idea di cosa ci sia fuori da me stesso. Mi sento persino infastidito. Sono talmente peggiorato da pensare, addirittura, che magari ero peggiore anche prima.

home page

Standard

Quando il confort level del telelavoro si attesta su livelli del tipo sinfonia di tosaerba nel giardino del condominio di fronte + pulizia delle strade + assoli random di antifurto nelle villette a schiera + tendinite all’avambraccio destro dovuta a postura poco convenzionale nella gestione delle periferiche del pc, qualche domanda è lecito farsela. Tutto sommato negli uffici girano i responsabili della sicurezza aziendale ma nelle vostre case dubito che, in questi mesi di pandemia, si sia fatto vedere qualcuno. Se la componente relativa agli strumenti di lavoro e all’ambiente più adatto a svolgere la propria professione da casa diventa di pertinenza del singolo, una riflessione è bene che sia sollevata sino ai piani alti di chi decide il benessere dei dipendenti di qualunque settore investito dalla necessità di praticare il distanziamento sociale nella sfera produttiva. Ci siamo focalizzati sulla questione degli orari a scapito di quella della postazione utilizzata nelle abitazioni private. Chi non aveva mai usufruito della possibilità di esercitare le proprie mansioni sul tavolo della sala da pranzo o, peggio, stravaccato sul divano inizia a condividere non poche perplessità. Sta a noi superare la sfida con le provviste e il frigo, con le pause per riposare gli occhi, con il darsi una regolata e spegnere tutto a una certa ora, con le telefonate senza disturbare le persone con cui condividiamo l’appartamento, con la ripartizione della linea dati in modo tale che tutti si possa lavorare, seguire le lezioni e rilassarsi simultaneamente, con le fasce orarie da dedicare al raggiungimento degli obiettivi. Tutto il resto necessita di una regolamentazione ed è responsabilità delle aziende e delle organizzazioni supportare il dipendente nel raggiungimento delle condizioni ideali come se si dovesse trovare in ufficio. Da questo punto di vista l’emergenza ci ha colto impreparati. Mi auguro che si possa avviare un tavolo di confronto onde evitare un generale e diffuso peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Io ho preso cinque chili, per dire.