meraviglioso

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A Polignano c’è la statua di Domenico Modugno. Poco più in là ci sono due panchine all’ombra, entrambe occupate da una persona anziana. Mentre sorseggio un chinotto, l’altro che si gode il fresco in canottiera rimette la camicia, butta la bottiglietta vuota di Peroni da 33 nel bidone del vetro e se ne va. Ora una delle due panchine è libera e si altera in parte la simmetria che è propria dell’estate. La bella stagione genera spesso queste associazioni di concetti. Pensate ad amore con capoeira, tequila con guaranà e karaoke con guantanamera. Malgrado le separazioni in questo scampolo d’estate siano proverbiali, la coppia è ancora un modello di comportamento tanto che nessuno riesce a stare da solo a casa con quaranta gradi. Una vacanza al mare in solitudine sarebbe un vero e proprio azzardo. Un rischio che però, a pensarci bene, risulta impossibile da correre: a cavallo di ferragosto siamo almeno sessanta milioni di italiani, in Puglia, e qualcuno dovrebbe mettere all’ingresso della regione un bel cartello “Tutto esaurito” perché evitare assembramenti è davvero difficile. Occorre prenotare qualsiasi cosa: le spiagge attrezzate, le macellerie di Cisternino, ai fornai i taralli e soprattutto le focacce che poi chissà perché le chiamano focacce. I liguri, che hanno il marchio registrato, le definirebbero “pane aumentato” o “diversamente pizza”. Per essere buone, però, sono buone. Il fatto è che in Puglia si mangia tanto e si mangia sempre.

Per distrarmi dal cibo ho partecipato a una specie di contest su un gruppo Facebook in cui ogni iscritto doveva postare la cosa che ti è successa nella vita che nessuno crede che sia vera ma che ti è capitata sul serio. Potete immaginare in quanti hanno riversato il surplus di ego per un’occasione di tale visibilità. Nemmeno io mi sono tirato indietro. Ho ricordato agli amici che quando ero bambino mia nonna mi faceva fumare camomilla nei ramoscelli di sambuco, svuotati del midollo, per placare la tosse. Poi quando ho detto con un solo rutto “Internet Explorer”. Infine che una volta mi ha telefonato Riccardo Luna per propormi un progetto che poi ho portato a termine con ottimi risultati. In tutto gli aneddoti riportati dagli iscritti al gruppo sono diverse centinaia, per dare l’idea del successo dell’iniziativa. Un passatempo tipico da ferragosto, come il cruciverba sulla spiaggia, quando si cerca qualunque tipo di riparo dal solleone senza pretese e disimpegnato.

di cosa parliamo quando parliamo con gli altri

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Le cose che ci vengono da dire agli altri sono sempre meno, con il passare degli anni, fondamentalmente perché ormai abbiamo detto tutto e ripeterci – anche a persone diverse – è una bella rottura di maroni e, detto tra noi, è meglio fare altro. Non invidio per un cazzo quelli che, raggiunti i cinquanta, pensano di rifarsi una vita con un partner diverso e così sono costretti a ricominciare da capo con la narrazione di sé. Da un certo punto di vista tenere un diario – ma anche un blog va più che bene – risulta una soluzione efficace. Conosci qualcuno con cui vuoi avviare una relazione da zero? Gli fornisci una copia del manoscritto o, meglio, gli mandi il link, magari stampando il qr code su un biglietto da visita. Non è romantico?

Ma la cosa più demotivante sono le persone che sei costretto a frequentare per svariati motivi con i quali non è raro rischiare la scena muta. Nel caso, vi consiglio di annotarvi da qualche parte una lista di argomenti del più e del meno da introdurre durante la conversazione. Il fatto è che temi da intellettuali o gossip/calcio non è quello il punto. Non è un problema di profondità di argomenti. Se non sei uno che ama affermare se stesso o pisciare intorno al territorio di dominio alfa, stare zitti è una cosa bellissima. Non so gli altri come la prendano. Io ascolto, annuisco con la testa, ma poi, quando il gioco delle parti imporrebbe la mia mossa, guardo altrove, faccio finta di niente, se sono a cena mi riempio il bicchiere di vino. Facendo così la conversazione muore e l’interlocutore, quando è intelligente, comprende che non ne hai voglia e basta. Se non parlate con gli altri, come faccio io, possiamo iniziare a frequentarci e a non conversare. Potremmo diventare veri amici perché scopriremmo di avere una cosa in comune, e cioè il fatto di non conoscere la cosa che abbiamo in comune perché non ce la diremmo mai.

le cose che non so, in ordine alfabetico

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A Venosa è nato Orazio, il poeta del monte Soratte e del carpe diem. Lo so perché un collega della secondaria, in vacanza come me in Basilicata, mi ha consigliato di allungare la visita a Matera facendo una puntata lì. Il fatto è che non me lo ricordavo, malgrado abbia dato tutti gli esami di latino possibili e immaginabili, e la lacuna mi ha talmente demoralizzato che ho deciso che non me lo dimenticherò mai più. Se fossi uno che si fa i tatuaggi mi farei scolpire Venosa sul braccio ma non sono quel tipo di persona. Ho visto l’indicazione per Venosa arrivando in Puglia sull’autostrada e ho raccontato l’aneddoto a mia moglie. Poi ho pensato che quando vedo il cartello di Carrara mi viene in mente “Shine on dance” e conosco le uscite tra Bologna e Roma grazie a una celebre canzone di Venditti. Però quando si è in prossimità della capitale e si vede l’indicazione per Soratte cerco di ricordare l’ode “Vides ut alta stet nive candidum” e quel passaggio in cui si parla di mettere tra le esperienze positive qualsiasi cosa il futuro ha in serbo per noi. Cerco una citazione d’effetto da mettere su Facebook ma poi ci rinuncio e sono contento di lasciar perdere. Ho ascoltato però la guida che abbiamo assoldato per gli scavi di Pompei ed Ercolano con la venerazione che riservo alle semidivinità. Si chiama Lello e conosceva così tante cose che non mi basterebbero dieci vite per impararle tutte. C’era uno, una volta, che si dava delle arie perché sapeva di non sapere. A me la mia ignoranza mi manda in depressione e sapere che non ho nessuna voglia di impararle è ancora più deprimente. E, con Venosa, siamo solo alla lettera V ma l’ho estratta come si fa quando non si vuole seguire l’ordine alfabetico, malgrado quanto ho dichiarato prima. V per Venosa, altro che V per vendetta.

bombette

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Mio papà ed io siamo usciti nel tardo pomeriggio a visitare il paese che, come supponevamo, aveva la tipica conformazione dei borghi del sud. Case bianche, nessuno in strada, qualche bottega turistica e una chiesa ogni tre isolati. C’era vento caldo, piuttosto tipico per il mese di agosto, e per la prima volta ho notato quanto mio padre somigliasse a Giuseppe Verdi.

L’hotel in cui alloggiavamo – ironia della sorte – si chiamava “Nabucco” e il motivo per cui ci siamo allontanati dall’idea originale di esplorazione dei luoghi limitrofi è diventato, di lì a poco, un tormentone comico. Cercavamo infatti “Il trabucco”, una trattoria in cui cenare suggerita dal proprietario dell’albergo che aveva peraltro concorso alla trasmissione “Quattro ristoranti”. Nel sogno abbiamo chiesto a tre esseri umani dalle curiose fattezze (sembravano uniti come gemelli siamesi) quale fosse la distanza tra il “Nabucco” e il “Trabucco” e la figura centrale delle tre, come fosse la più autorevole, si dichiarava di religione protestante e, per questo, ignorava la risposta.

Alla fine io e mio papà abbiamo scoperto che non si trattava in realtà di un ristorante ma di una specie di festa in piazza con le bancarelle. Una di queste spillava birra. Mio papà si era allontanato non so per quale motivo e così ho chiesto una media chiara ma probabilmente il venditore ha capito male perché mi ha restituito una caraffa gigantesca di birra Grom, impossibile però da bere camminando. Sono entrato così in un bar del lungomare in cui ho riconosciuto l’amico Andrea, dietro al bancone, quello che gestiva un locale in cui spesso suonavo con la mia band quando ero ragazzo. Gli ho chiesto un bicchiere di plastica per bere dalla caraffa più agevolmente e lui giustamente l’è presa perché non avevo comprato la birra da lui. Mia mamma mi raccomandava sempre di non entrare nei negozi con borse di plastica di altre botteghe.

C’era anche una bancarella di dischi usati, naturalmente, ma con quella caraffa in mano mi risultava impossibile scartabellare tra i vinili per trovare qualcosa di interessante a poco prezzo. Che poi, in realtà, alla fine si è scoperto che non era nemmeno birra ma una specie di sangria in cui, al posto dei pezzi di frutta, c’erano vari oggetti. Ho provato a tirarli fuori perché altrimenti era impossibile versare la bevanda nel bicchiere. Ricordo di aver estratto un luccio di plastica e dei festoni natalizi ancora tutti luccicanti. Dovevo fare in fretta perché non volevo farmi beccare da mio papà a bere alcolici, ma poi, alla fine, non è più tornato.

la mitomania non va mica in vacanza

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Stavo sorseggiando una media rossa seduto al tavolino all’aperto di una birreria a Matera con la mia famiglia quando mi si avvicina un tizio con i capelli unti e lunghi e gli occhiali e vestito un po’ da pirla con una giacchetta tutta attillata, si scusa del disturbo e mi chiede se fossi io il celebre blogger Leonardo Tondelli. Non potete immaginare la sorpresa quando l’ho osservato attentamente e l’ho preso per Max Collini, il cantante degli Offlaga Disco Pax. Lui ci è rimasto peggio di me perché, tutto piccato, mi fa «ma no, non mi riconosci? Sono Francesco Bianconi dei Baustelle». La cosa buffa è che poco prima, mentre visitavo i sassi con una guida preparatissima ma un po’ troppo fissata con chiese e santi, avevo incrociato un ragazzo con la maglietta dei Baustelle e la prima cosa a cui ho pensato, rimessa insieme la prima parte dell’equivoco, è che se lo avessi incontrato nuovamente rientrando a casa dalla birreria gli avrei detto di correre a farsi un selfie con il suo idolo. A me i Baustelle fanno cagare da sempre, mentre considero gli Offlaga Disco Pax la migliore band italiana a cavallo tra gli anni dieci e gli anni venti. Ma non è per questo che non mi sono scusato con Bianconi per averlo scambiato per Collini che poi, detto tra noi, sono diversissimi fisicamente, ed eccoci alla seconda parte dell’equivoco. Il fatto è che anche io non somiglio per nulla a Leonardo Tondelli e, se non lo sapete, anche io ho un blog. Si chiama “Alcuni aneddoti dal mio futuro” e, se non l’avete mai consultato, ve lo consiglio caldamente, lo trovate a questo link. Scrivo un po’ di tutto e tratto argomenti che vanno dalla musica alla società, cultura, scuola, comunicazione, libri, cinema, tv, social media e tutto quello che mi passa per la testa. Per questo il fatto che Bianconi mi abbia scambiato per Tondelli mi ha rattristato, anche se il blog di Leonardo lo leggo da sempre e rimane uno dei miei preferiti, come la musica di Max Collini. Sarebbe bello se ci fosse qualche personaggio famoso tra di voi a cui è capitata un’esperienza del genere – cioè di essere scambiato da un altro personaggio famoso per un altro personaggio famoso – e avesse voglia di raccontarla qui sotto dei commenti. La cosa mi rincuorerebbe moltissimo, grazie.

hicternet

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La nuova tecnologia dell’Internet a singhiozzo, che un improvvisato copy milanese in vacanza a Matera ha ribatezzato hicternet, si sta diffondendo nelle zone del nostro paese in cui si ravvisa un urgente bisogno di ripresa economica e la Digital Transformation può seguire i ritmi e le asperità della morfologia del territorio. Le aree più impervie in cui i provider e lo stato ben si guardano dall’investire in fibra e di portare una connettività accettabile agli esseri umani e alle partite iva hanno così la possibilità di restare ancora più indietro rispetto alle altre regioni, soprattutto in momenti di estrema gravità dovuti a eventi eccezionali come quello che stiamo attraversando. La ripresa può così seguire velocità di download e upload che nemmeno i modem del 1998. Il punto è che in un B&B di Matera che ha persino ospitato il regista di un film di James Bond girato qui un blogger qualunque ha persino difficoltà di caricare qualche manciata di kb di parole inutili e questo, mi direte, potrebbe essere annoverato tra i plus del digital divide. Ma che bello! Ci pensate? Se l’hicternet si diffondesse soprattutto nei luoghi ad alta concentrazione di leoni da tastiera probabilmente sui social ci sarebbe meno odio e meno ignoranza. Ci scocceremmo nell’attesa di veder caricata la pagina di Facebook con le risposte ai nostri commenti e torneremmo a fare la spesa nei negozi sottocasa che, nel frattempo, avranno subito definitivamente la concorrenza delle consegne a domicilio in bici elettrica. Litigheremmo di meno e si potrebbe riallestire quel bel clima di armonia che c’era poco prima dell’ADSL. Tornare indietro nella storia, però, non ci deve spaventare. Uno quando pensa alla storia pensa ai miliardi di miliardi di morti che si sono succeduti nel corso dei millenni. Pensa al modo in cui ogni essere umano che ha consumato risorse necessarie a mantenersi vivo si è ingegnato per adattare l’ambiente che ha occupato alle sue esigenze. Per non parlare di quelli che si sono organizzati e hanno fondato villaggi che poi hanno conquistato altri villaggi che poi sono diventate città e che, in qualche caso, si sono estese raggiungendo confini lontanissimi rispetto al villaggio di partenza. La storia quindi è una raccolta di storie grande quando quei miliardi di miliardi di morti vissuti sulla terra. Tutte queste storie oggi sono disponibili sull’hicternet e per leggerle tutte ci vorrebbe connettività veloce, anche a Matera.

mentre si danza

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Le cose che mi fanno più paura dell’Internet sono questa

questa

ma soprattutto questa.

che barba

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Tra qualche decennio gli esseri umani non avranno più peli. Il nostro DNA, o chi ne fa le veci, si sarà stufato di tutti i modi che ci inventiamo per tagliarli o estirparli alla radice che penserà che dei peli non ce ne facciamo più niente e quindi non li farà più crescere. Non si vede più un’ascella femminile pelosa a nessuna latitudine e persino gli uomini si sottopongono alla depilazione termonucleare globale. Hanno petti lucidi che ci si può specchiare e gambe che sembrano quelle di plastica di Big Jim. Non so che cosa abbiano combinato i peli umani di così grosso da venire banditi dalla natura. Che poi come farà, tra qualche decennio, il nostro codice genetico a sapere che sulla testa va bene e sul resto del corpo no? A me fanno tenerezza, i peli, e c’è persino una storia a supporto della mia teoria. C’era uno, una volta, la cui fidanzata di cui era innamoratissimo aveva una folta peluria ai lati delle guance, quello che negli uomini chiamiamo basette. Si diceva che si trattasse di un fattore di ormoni, Un giorno Fabrizio, non sapendo che i due stessero insieme, criticò pesantemente il difetto della ragazza proprio al cospetto del partner. Eravamo in treno e i passeggeri intorno scoppiarono a ridere per la gaffe, la ragazza era appena scesa. Il fidanzato ne rimase fortemente ferito e so che odia Fabrizio ancora adesso che è presidente di una squadra di calcio. Il fatto è che la ragazza pelosa, a quello che era il suo fidanzato, ha dato un sacco di problemi e vi assicuro che le basette non c’entrano nulla.

a tutto tondo

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Leggendo epigrafi e contemplando statuette di lari e penati e oggetti votivi di ogni fattezza in vari musei e siti della capitale ho pensato a quanto potesse essere coinvolgente la religione pagana e quanto debba essere stato pervasivo il cristianesimo, al netto dell’editto di Costantino, presso la gente comune per soppiantare un’offerta, una gamma di divinità e un background di tradizioni così profondo presso i nostri antenati. Mi sono così iscritto immediatamente ad alcune pagine Facebook di comunità virtuali che condividono la curiosità per i culti degli antichi romani. Pagine che, però, risultano molto poco animate. Probabilmente i gestori si sono già convertiti a qualcos’altro, staremo a vedere. Io mi aspettavo vivaci confronti come avviene tra i frequentatori di Passione Etrusca, invece, al momento, sembrano tutti in ferie. Nemmeno io, però, cambierò parrocchia e credo che continuerò a professare coerentemente la mia adorazione per il rock. Ho mangiato in una pizzeria a Pompei che, sino a pochi anni fa, era un negozio di dischi. Il gestore, ennesima vittima degli mp3 e della dematerializzazione, ha trasformato il suo modello di business e ora sforna ottime specialità del posto. D’altronde la pizza e i dischi hanno la stessa forma e, a grandi linee, lo stesso diametro. Quello dei 33 giri per le pizze da ristorante, quello dei 45 giri per le pizze a portafoglio o da passeggio. Mentre uscivo dal locale ho notato alcuni clienti del servizio d’asporto allontanarsi con scatole per la pizza tonde e molto particolari che potrebbero funzionare per le spedizioni di vinile a distanza. Al contrario, perché non usare i cartoni della pizza tradizionali per confezionare ellepì? Se così fosse, dovremmo dare ragione a Fatboy Slim.

i concerti dell’anno prossimo

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Mia figlia e un’amica hanno acquistato due biglietti lo scorso febbraio per un concerto che si sarebbe dovuto tenere a fine agosto. Poi è successo quello che successo e l’artista (chiamiamolo così) ha rimandato il tour al prossimo anno. Il concerto di agosto è slittato a fine luglio 2021. Ho pensato che ci sono possibilità che a luglio 2021 a mia figlia l’artista (continuiamo a chiamarlo così) non piaccia più oppure, più semplicemente, a luglio 2021 mia figlia e l’amica potrebbero essere via da qualche parte. Da quando conviviamo con il Covid-19, la mascherina e tutte le paure associate i piani sul futuro non sono mai stati così azzardati. L’industria della musica ha preso una bella batosta e apprezzo l’ottimismo e l’entusiasmo con cui chi organizza concerti, tour e festival pubblica locandine di eventi organizzati tra dodici mesi se non di più. L’impressione che se ne ricava è quella che il duemila e venti non sia proprio mai esistito e che tutti noi non vediamo l’ora che finisca. Siamo disposti a sprecare il tempo pur di accelerare il passaggio al nuovo anno come se bastasse cambiare il numero e il nome per rimettere a posto le cose come erano prima. I grandi eventi della prossima primavera e dell’estate che seguirà sono già tutti confermati. Leggo i post in cui band e cantanti danno la notizia della loro partecipazione così remota con gioia e felicità come se domattina, al risveglio, avessimo un anno in più. Ma io non voglio avere un anno in più. Anche se il duemila e venti fa schifo, e come ho letto in una vignetta divertente ha spodestato dalla top ten della numerologia i vari 13, 17 e 666, io non cedo nemmeno di una settimana, di un giorno, di un’ora o di un minuto e persino di un secondo. Anzi, spero proprio che tra questo post e il concerto dell’artista (chiamiamolo ancora così) di cui mia figlia e la sua amica sono (al momento) delle fan passi un secolo, un millennio. Facciamo durare il tempo per il tempo che ci vuole. Fatelo almeno per noi anziani.