di madre in figlio

Standard

Non è passato molto tempo da quando mia mamma sapeva ancora collocare nella classe e nell’annata corretta il nome e il cognome di qualunque ex studente del liceo nella segreteria del quale ha lavorato tutta la vita. Ha compilato per decenni prima a penna e poi a macchina registri, tabelloni e schede personali fino a chiudere la carriera, prima della pensione, con gli Olivetti M24. Sto facendo un lavoro analogo, supportando il dipartimento amministrativo della scuola in cui insegno. Ci sono millecinquecento nominativi di bambini e ragazzi nella piattaforma digitale che gestisco ma in modo automatico, senza curarmi di loro se non per controlli a campione. Li esporto, li modifico, li re-importo, li ripulisco, li aggrego, li sposto, li rimetto a posto, li separo, li ordino, li metto in relazione, li codifico. Mi soffermo però a osservarli solo quando mi accorgo di un’anomalia o qualcosa fuori dall’ordinario. Su tutte, gli studenti che hanno più cognomi e più nomi.

Per gli italiani è un vezzo. Per chi è di origine straniera una consuetudine. Per me una rottura di coglioni perché in certi casi non si distingue il nome dal cognome. In altri se il nome è unico o, semplicemente, è sufficiente utilizzare il primo dei numerosi. Fossi al potere vieterei per legge nomi e cognomi plurimi e introdurrei sanzioni pesanti per Rebecca Vittoria, Nicol Alexandra, Augusto Livio, Kristin Manuela, Beatrice Chiara, anzi, per i loro genitori. Pensate se mia mamma avesse dovuto compilare certificati con tutta questa pappardella al posto di semplici Davide, Lucia, Anna, Claudia, Paolo. Forse i ritmi della scuola ai nostri giorni vanno così a rilento perché in segreteria ci vogliono ore a trascrivere miliardi di secondi terzi e quarti nomi inutili, lasciti di cui i figli non se fanno nulla e che nessuno riesce nemmeno a rivendere ai rigattieri.

senza passare dal via

Standard

Visiera con la mascherina per avvicinarsi ai bambini. Visiera senza mascherina se ci si trova a distanza di sicurezza. Per i docenti è vietato l’uso di mascherine non fornite dalla scuola. Bambini con mascherina negli spazi e nei momenti in cui la distanza può ridursi. Bambini senza mascherina seduti in classe a distanza superiore di un metro. Almeno tre mascherine a bambino perché se se ne sporca una in mensa hanno quella di ricambio. In mensa è vietato versarsi autonomamente l’acqua nei bicchieri, si valuta l’impiego di borracce individuali portate da casa. Sconsigliate le bottiglie di plastica, poco green e spesso soggette a challenge tra i bambini, il gioco del lancio con caduta verticale non è ancora passato di moda. Vietato dimenticarsi il materiale a casa perché non può essere preso in prestito dai compagni. Utilizzo della pellicola trasparente su tastiera e mouse dei pc del laboratorio di informatica, da sostituire a ogni ora. Rivolgersi al collaboratore al piano nel caso un bambino manifesti qualunque tipo di sintomo di qualunque tipo di malessere. Il collaboratore al piano però così lascia sguarnito il controllo del piano. Nel caso di più bambini allo stesso piano a cui rilevare la temperatura comportarsi come richiede la situazione. Al minimo sintomo riconducibile all’influenza o, peggio, al Covid, rivolgersi al collaboratore al piano per informare immediatamente la famiglia. In caso di ritardo del familiare superiore ai 30 minuti rivolgersi alla forza pubblica. In caso di assenza del collaboratore al piano perché già impegnato a informare i genitori di un altro bambino comportarsi come richiede la situazione. Prima e dopo qualunque tipo di contatto fisico strettamente necessario procedere alla pulizia delle mani. Prima e dopo l’uso del touch screen della LIM procedere alla pulizia delle mani. Il gel igienizzante sarà presente in ogni aula e in ogni spazio comune. Vietato l’uso degli spogliatoi della palestra: i bambini devono presentarsi a scuola già in tuta per l’ora di motoria. Assicurarsi che nessuno lasci materiale sul banco al termine della lezione per non ostacolare la successiva sanificazione dell’aula. Vietato occupare le aule dopo le ore di lezione. Evitare l’impiego di materiale e strumenti non personali per i quali non si possa garantire una adeguata sanificazione al termine del loro utilizzo. Riformulare ogni proposta didattica che comporti attività di coppia, attività di gruppo, attività con materiali e strumenti non individuali. Posso dire addio all’orchestra di Boomwhackers, sarà per la prossima vita. Vietato creare gruppi con alunni di classi diverse. Sono ammesse visite e uscite ma solo a piedi. Il blog è un efficace strumento per prendere appunti durante un collegio docenti. Quest’anno si comincia così.

sorge dalle acque, sei lettere

Standard

Vendere un prodotto che ha il nome di una canzone semplifica la vita alle aziende perché, a fronte dell’acquisto dei diritti per l’uso del brano omonimo nello spot, non c’è lo sbattimento della composizione di un jingle che non si sa mai se funziona. Non siamo mica tutti sì con riso senza lattosio. Se c’è già una canzone esistente, tanto di guadagnato. Ne avevamo parlato a proposito della Ford Fiesta e della Fiesta Ferrero che si chiamano allo stesso modo della canzone di Raffaella Carrà. C’è da chiedersi perché, allora, chi si occupa di marketing nelle aziende non contatta i grandi esperti di musica, a partire dal sottoscritto, e non li paga profumatamente per trovare un titolo di una canzone adatto a un nuovo prodotto e non viceversa, per non lasciare la scelta del nome al caso. Vorrei farvi qualche esempio ma non me ne viene in mente nemmeno uno. Ah no, ecco: chiami una linea di articoli sportivi “Heroes” e, mentre scorrono le immagini di gente che batte con sacrificio ogni record personale, gli spari a tutto volume quel pezzo di Bowie che già lo usano cani e porci. Oppure un accessorio un po’ strano per gente stravagante e lo chiami “Creep” in modo che il ritornello dei Radiohead calzi a pennello. Insomma, ci siamo capiti. In italiano è un po’ più difficile ma se mi ingaggiate ci posso provare. L’ultimo caso a cui abbiamo assistito è quello del rasoio Gillette Venus, per il quale, nello spot, è stato usato il celebre brano dei Shocking Blue che, noi ragazzi degli anni ottanta, conosciamo per la versione sbarazzina delle Bananarama. Peraltro a me la storia raccontata nello spot ha colto nel segno perché ho una figlia che ha già superato quel periodo in cui, come dice il claim, “è quando non la vedrai più come una bambina che la aiuterai a diventare donna”. Se posso essere sincero, nel mio caso avrei preferito non accelerare il processo descritto dallo storytelling che, in natura, è già sufficientemente veloce. Che problema c’è se le figlie iniziano a depilarsi le ascelle un po’ più tardi?

dalle porte

Standard

Invecchiando si rimpicciolisce. Nonostante questo Daria rimprovera spesso Marcello perché continua a muoversi nella vita come fosse molto più alto di quello che è. Si china molto di più di quanto sia necessario, quando un passaggio o una porta gli sembrano troppo bassi. Molte volte non è nemmeno il caso e a Daria questo sembra uno spreco di risorse, se non un vezzo. Daria è un’infermiera diplomata quando ancora non esisteva il corso di laurea. Lavora da una vita – credo abbia iniziato a diciotto o vent’anni – e, da quando si occupa dell’organizzazione di non so che reparto, si sottrae da impegni e responsabilità famigliari con la scusa che non può lasciare l’ospedale in balia dei suoi vice. La sorella minore, Anna, non ha un nome da libro di storia e questo, quando studiava al liceo, lo ha vissuto come una differente attenzione da parte dei genitori nei suoi confronti. A Daria risponde che lei invece ha a che fare con le multinazionali e, alle riunioni in cui arranca con il suo inglese, non può mancare. Uno pari. Ai meeting di tutti quelli che ricoprono il suo ruolo nelle altre country è quella che lo parla peggio. «Persino la turca» racconta sempre Anna «persino la turca si esprime in inglese meglio di me». Il russo con il suo accento russo, la francese con la sua parlata da barzelletta, il tedesco come ci immaginiamo i tedeschi parlino le altre lingue. Anna così ascolta e basta e, se interpellata, dice cose che pensa possano avere un senso in quel contesto. Il resto del team sembra soddisfatto e Anna ora racconta a tutti – anche a me – quanto sia semplice prendersi gioco di chi lavora nel marketing e io la prendo un po’ sul personale perché ci ho passato vent’anni con gente di quel tipo. Poi penso ai libri che legge e capisco che certe risposte che dà le trova in quelle pagine, come quelli che divorano narrativa americana e poi si cimentano in racconti mescolando cose che non c’entrano l’una con l’altra, giusto per copiare lo stile e darsi delle arie. Marcello, comunque, nella mia vecchia casa di campagna ha preso più di una testata contro gli stipiti delle finestre. Un tempo la gente era molto più bassa e le case dei poveri di dimensioni ridotte, costruite con finestre minuscole per evitare che il calore si disperdesse e si sprecassero risorse.

cosa ti passa per la testa

Standard

La mente è uno degli habitat più adatti alla vita degli esseri umani. Ci sono sufficienti risorse in grado di favorire la sopravvivenza e non sono pochi i casi in cui le persone si sono rimboccate le maniche per rendere l’ambiente ancora più ospitale. Come i territori in cui l’uomo si è insediato e ha sviluppato le sue civiltà più fiorenti, ci sono menti in cui il lavoro quotidiano ha dato vita a veri e propri mondi paralleli, alcuni solitari, altri affollatissimi. La vita nella mente scorre secondo tutte le variabili possibili e, come una seconda casa in montagna o al mare, ognuno decide di trascorrervi tutto il tempo che vuole. Il fatto è che, con l’età, la mente comincia a tracimare dal contenitore in cui è tradizionalmente relegata. Come durante la vecchiaia i nostri tessuti cedono e i prolassi risultano più frequenti, al rilassamento delle attività cognitive la mente si impadronisce del corpo che ne organizza la componente fisica e, con un processo nemmeno tanto lento, assorbe e fagocita il resto. Avete presente i video diffusi durante il lockdown di animali e vegetali che, privi del disturbo dell’uomo, espropriavano gli spazi una volta comuni? E non sarebbe certo un problema se gli anziani non avessero la tendenza a trascorrere più tempo negli agi della mente rispetto alle complessità della vita reale. Come gli italiani in pensione che si trasferiscono in Portogallo o alle Canarie per unire il piacere di condizioni meteo più miti a un potere d’acquisto più vantaggioso dei propri risparmi, così c’è chi fa prima a fare armi e bagagli per attrezzare al meglio la propria mente e passare la maggior parte del tempo lì dentro. Pensate solo a quanti ricordi del passato si possono ripercorrere e quante altre emozioni del futuro si possono immaginare. Una vera e propria realtà virtuale che, con il passare del tempo, acquista sempre più in nitidezza fino a sostituirsi del tutto alla vita come la intendiamo noi. Altro che Second Life: la mente lo può fare molto meglio.

argo vaffanculo

Standard

Agli amici compagni tradizionalmente anti-americani mi vergogno un po’ a dire che, ogni volta in cui passano in tv il film “Argo” di e con Ben Affleck, non riesco a non vederlo. Lo stesso impulso che avverto per i “Blues Brothers”, “Frankeinstein Junior” e pochi altri. Anzi, farei lo stesso con “Smoke” ma sono secoli che non viene trasmesso sul piccolo schermo.

Il problema sta nella contraddizione di fondo. Se la critica alla rivoluzione khomeinista la fa una voce interna, penso per esempio a “Persepolis”, va tutto bene. Se ne parla un americano occorre stabilire l’equilibrio tra le cause contro cui si è manifestata quella rivoluzione e gli effetti. La crisi degli ostaggi in Iran è scoppiata perché gli USA erano accusati di proteggere lo scià e non ci pensavano minimamente a riconsegnarlo. Una dicotomia che va letta quindi in chiave benaltristica, un po’ come l’estrema destra che parteggia per i palestinesi in chiave anti-israeliana ma poi, quando si accorge che i palestinesi sono anche arabi e scuri di pelle e vengono in Europa a rubarci il lavoro e le donne, va in tilt.

Per certi anti-americani è dura ammettere che qualcuno il lavoro sporco di menare le mani per correre in aiuto e difendere qualcun altro che è impossibilitato a cavarsela da solo deve pur farlo. Il rischio di circondarsi dell’amico che tira una testata al bullo grosso il doppio di te che vuole impossessarsi della tua merenda è che poi, quando va in giro ad attaccare briga con il prossimo perché gli piacciono le zuffe, mica puoi liberartene perché, alla successiva angheria che subisci, lui se ne ricorda. Per capire gli Stati Uniti bisogna guardare “Gran Torino” di Clint Eastwood. Gente guerrafondaia che vota repubblicano ma poi si fa crivellare di proiettili per proteggerti. Prendere o lasciare.

Per questo il film “Argo” che – secondo gli anti-americani – gronda americanismo da ogni frame non è proprio un trofeo culturale che un buon intellettuale di sinistra vorrebbe mostrare volentieri durante una conversazione. A meno di non spostarsi talmente a destra da fare il giro argomentando con le reali qualità del film: la ricostruzione filologica del 1980; il montaggio con la dilatazione dei tempi per incastrare le scene più concitate; il luna-park nel senso di baracconata cinematografica; il vinile di “IV” dei Led Zeppelin e il piatto su cui gira per la riproduzione di “When the Levee Breaks” durante la festa (festa tra virgolette) la sera prima della fuga, con il braccio e la puntina che scendono correttamente oltre la metà della facciata anche se sfido chiunque a centrare il solco perfettamente così e imbroccare l’inizio della canzone; Ben Affleck che è comunque bombabilissimo; le macchiette che ostentano l’essenza di Hollywood e cose di questo tipo.

Ma, più di ogni altra cosa, a me di “Argo” piace la tensione che mette ogni volta anche se so che va a finire bene, e ogni volta ho paura che qualcuno, per farmi uno scherzo, abbia cambiato il finale, con i sei canadesi e Tony Mendez che non ce la fanno, vengono beccati all’ultimo sul volo della salvezza. Le guardie della rivoluzione li fanno scendere dall’aereo e li impiccano all’aeroporto senza tante storie.

Poi, una volta, mi sono tradito dichiarando la mia passione per “Argo” con un carissimo amico anti-imperialista come me, uno di quelli che negli anni successivi alle Torri Gemelle, ogni 11 settembre, ci ricordava che nella stessa data del 1973 la CIA bombardava il Palacio de La Moneda e chiedeva, provocatoriamente, che cosa avessero fatto di così tanto male gli americani per essere invisi al mondo. Uno che, anni fa, è persino stato in vacanza a Teheran e che, quando gli ospitali iraniani lo fermavano per strada per chiedergli che cosa ci facesse un occidentale da quelle parti, gli rispondeva che il vero terrorista fosse George W. Bush. Ma poi gli anni sono passati, i capelli sono imbiancati, il radicalismo è stato stemperato dal buonsenso, e così il mio amico mi ha sorpreso confidandomi che, a vedere “Argo” al cinema (è persino andato a vederlo al cinema), si è divertito un mondo.

Da allora mi sono rasserenato e posso dire, con orgoglio, che ogni volta in cui passano in tv il film “Argo” – che ormai chiamo “Argo vaffanculo” – di e con Ben Affleck, non riesco a non vederlo. Lo stesso impulso che avverto per i “Blues Brothers”, “Frankeinstein Junior” e pochi altri. Anzi, farei lo stesso con “Smoke” ma sono secoli che non viene trasmesso sul piccolo schermo.

dove ho sbagliato

Standard

Sul sito della Treccani si legge che l’etimologia della parola multa si può ricondurre al latino multa, un voce italica di probabile derivazione sannita o osca. Non dategli retta. La multa è un’invenzione del demonio e non c’è nulla che io abbia in dispetto di più al mondo. Delle multe odio tutto, a partire dal modo in cui si presentano. Le multe si palesano inizialmente sotto forma di rotolini di carta da scontrino fiscale, infilati nella casella della posta. Se c’è qualcosa di piatto, nella casella della posta, è un dépliant di Tecnocasa. Se c’è qualcosa di arrotolato, potete star certi che si tratta di una multa. Altro io non ricevo. Anche se vi trovate in casa, il postino mica vi citofona per consegnarvi personalmente la multa. Il postino vi lascia l’avviso – il rotolino di cui sopra – e il problema è che non è possibile, letto l’avviso, precipitarsi subito all’ufficio postale per ritirare la multa. La multa è disponibile al ritiro solo due giorni dopo. Il multato ha così la possibilità di struggersi per due giorni nell’attesa di sapere il contenuto dell’atto giudiziario, perché sull’avviso c’è scritto che c’è da ritirare – ma solo a partire da due giorni dopo – un atto giudiziario, ovvero una multa. La multa arriva un paio di settimane dopo l’infrazione commessa, quindi lungo quei due giorni c’è tutto il tempo di pensare al motivo per cui ce la siamo meritata. A me dà fastidio prendere le multe perché giuro che sto stra-attento e stra-prudente. Lo so che lo dicono tutti, ma credetemi, nel mio caso è proprio così. Considero la multa soldi buttati nel cesso e, di conseguenza, guido attentissimo controllando limiti di velocità, tempi e luoghi di sosta, aree a circolazione limitata e tutto quello a cui occorre prestare attenzione. Malgrado ciò, almeno una volta all’anno torno a casa e trovo il rotolino di carta nella cassetta della posta, il presagio nefasto di soldi da gettare nel cesso. Non c’è niente di peggio che prendere una multa, anche se è giusto che le infrazioni abbiano una ripercussione. Trovo però ingiuste le multe che prendo io.

convertitevi

Standard

Se volete scoprire quanti formati di file audio e video esistano in natura chiedete ai genitori dei vostri alunni di registrare con lo smartphone gli auguri per montare poi un video cumulativo di buon compleanno. Riceverete mp3, mp4, opus, ogg, mov, m4a e un sacco di formati proprietari a seconda del modello di telefono, quindi buona fortuna. In genere iMovie macina qualsiasi cosa, ma capita che con estensioni sconosciute vada in panne. Così, per i video, mi affido all’intramontabile Quicktime (dimenticavo, sto parlando di Mac) mentre per l’audio, laddove l’onnipotente Audacity fa cilecca, vado in un posto sicuro e fidato come l’Online Audio Converter, un luogo magico in cui ogni cosa può trasformarsi in un’altra nel giro di qualche secondo, e i genitori dei vostri alunni saranno entusiasti di vedere le performance dei loro figli, una di seguito all’altra, filmati – rigorosamente in verticale – e digitalizzati in barba a qualunque teoria dello standard informatico.

evoluzionismo

Standard

I figli affinano le generazioni delle madri e dei padri da sempre, anche se madri e padri – ma i padri soprattutto, e soprattutto se si tratta di figlie femmine – le vorrebbero massimo dell’età della terza o quarta elementare per tutta la vita, contando però sul fatto di rimanere per sempre massimo quarantacinquenni, e chi se ne frega dell’evoluzione. Questo sì che sarebbe un bel vivere.

Il problema è che, non so se lo sapete, ma la realtà è ben diversa e pensare che i figli, anzi, le figlie siano sempre massimo dell’età della terza o quarta elementare anche quando sono donne fatte e finite comporta un conflitto tra ciò che per natura accade e la capacità di comprendere e convivere con ciò che per natura accade. Il tutto a scapito del genitore. Anzi, del padre.

Nonostante ciò i figli, anzi, le figlie, continuano imperterrite ad affinare le generazioni delle madri e dei padri, anzi, quelle dei padri, con il risultato che malgrado l’ansia che volontariamente non si dissimula per trasferire di padre in figlia il senso di colpa per aver generato ansia al padre (la stessa che si cerca di trasferire alla figlia, spero mi stiate seguendo) le figlie portano a compimento i loro progetti di vita (vita intesa come esistenza globale ma anche come vita quotidiana) in scioltezza e molto più in scioltezza di quanto vi sia riuscito il padre ai suoi tempi (e in alcuni casi anche ora).

Ogni ostacolo insormontabile, che poi è una sciocchezza facilmente affrontabile con successo a detta della figlia, si rivela appunto una sciocchezza facilmente affrontabile con successo e, di conseguenza, portata a termine con successo. Dalle verifiche scolastiche ai viaggi da sola, dal caricare la bici sul treno al farsi rifare la tessera smagnetizzata dell’ATM, incredibilmente le figlie, e per estensione il mondo intero, ce la fanno lo stesso senza le madri e i padri, ma soprattutto i padri.

In questo processo di auto-determinazione ed emancipazione (non dimentichiamo che nel resto del mondo animale genitori e cuccioli si lasciano presto e non si riconosceranno mai più) resta da capire a cosa servono le madri e i padri, ma soprattutto i padri, da un certo punto in poi, se le cose alle figlie filano tutte più o meno lisce o comunque, superata la terza o quarta elementare, riescono a cavarsela da sole e a togliersi da ogni imbarazzo malgrado i padri vorrebbero tenerle dentro all’imbarazzo ancora un po’ dando spettacolo agli amici delle figlie con la loro smania protettiva.

Ne consegue che il problema di fondo è dato dal malfunzionamento del meccanismo di distacco. Ci dev’essere un pulsante inceppato, un ingranaggio da oliare, un ugello ostruito, una camma sollecitata in eccesso, un bug nel codice. Oppure è colpa del surriscaldamento della ventola, di un tassello dal diametro inferiore rispetto al foro, di un filo che fa contatto o che è andato in corto. C’è qualcosa che impedisce che due parti si separino in un punto in cui, necessariamente, c’è spazio appena sufficiente per una sola. Il trucco consiste nel fare un po’ di forza per svitare, aggiungere un po’ di stoppa e cambiare la guarnizione.

come cambiano i social media

Standard

Mia moglie ha brevettato un metodo efficace per stare su Facebook. Da anni è iscritta con un nome e cognome inventato e utilizza la mastodontica piattaforma di social networking unicamente come collettore di articoli. Segue pagine e persone che reputa autorevoli per vivere in modo informato e non accetta amicizie e nemmeno cerca contatti. Piuttosto, apre la sua home quando le va di leggere qualcosa di interessante e scorre la pagina come si fa da sempre con i feed che, ricordiamolo, non sono i contenuti ma il contenitore che li contiene.

Così ho deciso di cambiare marcia e di seguire il suo esempio. Ho messo like a diverse pagine create da appassionati di lingua e civiltà latina e di storia romana, fino a sconfinare nella filosofia antica fino al medioevo, nell’archeologia e persino tra i seguaci del neopaganesimo ispirato alla religione pre-cristiana. Ho chiesto l’iscrizione ad alcuni gruppi in cui si mantiene vivo l’interesse per l’antichità, i musei e i siti storici con i loro scavi.

Da qualche settimana, finalmente, vedo molti meno post di amici e semplici conoscenti e molti più contenuti in grado di soddisfare la mia curiosità. Il problema è che cambiano i temi di discussione ma non il tono dei commenti. La gente riesce a infilare opinioni dettate dalle proprie posizioni politiche, e quindi a insultarsi, anche a proposito di Stilicone, della Domus Augustana, dei Villanoviani o del Tuscolo, anche se capisco che trattando di argomenti come l’Impero e le legioni è facile imbattersi in qualche doppio nostalgico che arriva a Giulio Cesare via nazifascismo. Quindi sono arrivato al nocciolo della questione. Leggo le notizie, ammiro le foto e le avvincenti ricostruzioni grafiche e poi chiudo forte gli occhi muovendo la barra di scorrimento laterale verso il basso, affinché non mi cada l’occhio sui commentatori.