la gru gigante

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Se avete mogli che si lamentano perché collezionate dischi in vinile ricordategli che ci sono uomini appassionati di modellismo.

la valigia dei suoni – speciale David Bowie

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É da oggi in edicola il nuovo numero della collana “La valigia dei suoni”, pubblicazione uscita in occasione del quinto anniversario della scomparsa di David Bowie, una delle figure più iconiche a cavallo tra novecento e nuovo millennio nonché principale fonte di ispirazione per tutte le generazioni di artisti cresciute successivamente. Pensata principalmente per i musicisti di strada o per applicazioni in cui si manifesti la necessità di suonare con strumenti non convenzionali, la valigia dei suoni è un prodotto editoriale a cadenza mensile divenuto con il tempo un vero e proprio oggetto di culto per collezionisti. La formula ideata dalle edizioni Dal Prete è sicuramente innovativa: un parallelepipedo rettangolo in cartone scomposto, già sagomato tramite fustella e pronto da rimontare che, una volta riassemblato, forma una sorta valigia sonora in scala 1:1. Ogni faccia del solido corrisponde a un accordo (sei in tutto). Percuotendole, seguendo una successione stabilita da uno spartito, si può accompagnare la canzone a cui la valigia dei suoni del mese è intitolata. Lo speciale David Bowie non poteva non essere ispirato a “Heroes”, una delle composizioni più note del cantante inglese. La realizzazione della nuova valigia dei suoni è interamente dedicata, quindi, al suo periodo berlinese e richiama i colori della copertina dell’album (una gelida scala di grigio) e, come materiale, la pelle nera del giubbotto che Bowie indossa nel video della canzone. Per “Heroes” l’adattamento al parallelepipedo è stato semplice, essendo composta da solo cinque accordi (RE, SOL, DO, LA-, MI-), sequenza armonica che ha permesso di lasciare una faccia della valigia alla ritmica. Due pelli di diversa elasticità e ampiezza sullo stesso lato lungo permettono infatti di accompagnare la successione degli accordi con i suoni di cassa e rullante della batteria, rendendo l’esecutore una one man band a tutti gli effetti. I responsabili editoriali della collana non hanno rivelato il numero di copie della valigia dei suoni di “Heroes” distribuite, ma siamo sicuri che andrà presto a ruba. I fan del duca bianco, e i collezionisti, sono avvisati.

un’idea di futuro che mette ansia

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Il nuovo spot del Gruppo FS Italiane, firmato da Saatchi & Saatchi, mette insieme qualche scorcio di vita altrui alle prese con il viaggio di lavoro e di piacere in un’Italia che deve ancora venire ma che oggi non sembra così distante – coronavirus a parte – dal modo in cui è rappresentata. L’idea non è male ma il timbro vira eccessivamente sul cupo e ha quel sapore da Los Angeles distopica ai tempi della Tyrell e dei replicanti Nexus 6 che può liberare in avanti l’immaginario collettivo ma rischia anche di imbrigliarlo nell’ansia, in un momento non privo di incertezze come questo. Il punto è: se devi far sognare gli spettatori gettando il cuore oltre l’ostacolo, oltre l’ostacolo gli devi offrire sicurezza e stabilità attraverso attori che ti prendano per mano e ti introducano al domani, in un ambiente rasserenante. Nello storytelling del Gruppo FS Italiane ci sono solo smart city, boschi verticali e lavoratori del terziario, come se i mestieri manuali e la gente che opera sul campo fosse davvero un’esclusiva dei balli di gruppo con il casco anti-infortunistico giallo, negli spot-musical cantati da Mina. Per le FS invece ci sono solo:
1. informatici che in ufficio non vedono mai la luce del giorno

2. ragazzini che si svegliano alle cinque del mattino per andare al lavoro

3. astronavi nello spazio (scuro) messe a cazzo nella sceneggiatura

4. la solita clip di I-Stock con un ingegnere che usa l’obiettivo della telecamera come se fosse un tablet sprigionando dati inesistenti in natura, anche questa al buio

5. una donna che parte per una trasferta di lavoro prima che faccia luce e che, dall’espressione, si vede che vorrebbe essere ancora sotto le coperte

6. il transito ad alta velocità in galleria

7. il transito ad alta velocità in esterno, rigorosamente in città e di notte

8. una giovane donna in un ambiente chiuso e senza finestre che dall’espressione del viso non sembra molto contenta del lavoro che fa

9. uno studente in una scuola che ha le pareti dei corridoi ricoperte da schermi che raffigurano dati a cazzo, al posto delle finestre, e che non sembra molto contento di trovarsi lì

10. una giovane donna con un sorriso di circostanza chiusa nella sala d’aspetto della stazione e circondata da una realtà aumentata di dati a cazzo e informazioni su arrivi e partenze senza nemmeno un minuto di ritardo

11. e finalmente una famigliola che guarda meravigliata, dalla vetrata di una stazione sopraelevata inesistente di Milano, una Milano altrettanto di fantasia, ma che – malgrado ci sia uno scorcio esterno – risulta in perfetta linea con il mood claustrofobico del resto dello spot. Il padre sembra dire ai figli: “Guardate Milano, non ci arriveremo mai”.

Il bello di viaggiare in treno, a parte leggere, è godersi il paesaggio fuori dal finestrino quando c’è il sole. Attraversando l’Italia con il Frecciarossa da nord a sud, poi, il panorama non è male ed è quasi tutta campagna. Ma probabilmente chi ha deciso questo spot pensa che invece i viaggiatori trascorrano il tempo in treno a seguire, sullo smartphone, spot che prevedono un triste futuro alla Blade Runner. Non male, come idea, in un momento di pandemia globale.

se non vi è di disturbo – Boaz Chingolom

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A volte si vince, le altre volte si impara. In una college del Michigan una gang di outsider vince il contest per dare il nuovo motto alla scuola e, grazie a un rocambolesco effetto domino, dà il via a una irrefrenabile rivoluzione mondiale. Una squadra dilettante di pallavolo composta da ragazzine di un villaggio in una ex repubblica sovietica, guidata da un allenatore visionario, adotta uno schema di gioco avveniristico basato sull’ipnosi e si avvia alla conquista del titolo nazionale, non senza provocare i sospetti dei servizi segreti di una superpotenza mondiale. In uno staterello apparentemente democratico dell’estremo oriente si collauda una formula di tv digitale di ultima generazione in cui le trasmissioni vengono erogate solo quando il telespettatore si sintonizza sull’emittente. Quando si cambia canale la trasmissione si interrompe e riprende dallo stesso punto solo quando ci si ritorna. I telespettatori sono così costretti a vedere tutto quanto programmato, indipendentemente dai gusti. Una giovane coppia elabora un metodo per ovviare a questa forma di tirannia culturale ma dovrà fare i conti con l’opinione pubblica. In un’isola del Nord Europa un insegnante di scuola primaria avvia un percorso interdisciplinare per i propri alunni utilizzando le canzoni dei Beatles per le lezioni di musica e di lingua inglese ma suscita le ire di un genitore fanatico dei Rolling Stones. Piccole storie distanti tra di loro ma che si sviluppano simultaneamente nel nuovo romanzo di Boaz Chingolom, una delle novità più promettenti pubblicate quest’anno solo agli inizi che vedrà, a breve, l’uscita dei nuovi libri di mostri sacri della letteratura americana come Delillo e Franzen. “Se non ti è di disturbo” è un’apparente raccolta di racconti dal finale corale che non deluderà il lettore. L’autore canadese di origine israeliana, ma frutto della fantasia di un blogger italiano, usa i registri del paradosso per sottolineare le potenzialità del comportamento individuale e delle convenzioni sociali. Chingolom delinea le personalità del genere umano in un modo unico e fortemente toccante. Un ritratto della società globale post-pandemia in un libro da non perdere, una volta che sarà scritto.

un nuovo anno di merda

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Difficile a credersi ma su Amazon è disponibile un calendario del 2021 in cui, per ogni mese, c’è la foto di un cane che fa la cacca. Dodici cani in dodici differenti cornici naturali, per giunta in due versioni con foto diverse. La marca Penglai lo presenta come “Penglai Calendario 2021 con cane di cagnolino calendario da parete gennaio 2021 – dicembre 2021 divertente calendario per cani regali per amici vicini”. Inutile che vi dica come si fanno le traduzioni sui siti di e-commerce. E la descrizione va nel dettaglio:

  • Un regalo divertente per i proprietari di cani, i 12 mesi del 2021 avranno un cane da cacca!
  • Ogni mese, si accende una pagina per mostrare la nuova immagine del cane! Spero di portarti buona fortuna per un anno.
  • Foto di cani da cacca, stampata su robusta carta spessa. Questo calendario 2021 è il miglior regalo per ogni amante dei cani!
  • Carta spessa di qualità e stampa, organizza la vita. Il carico di lavoro giornaliero è troppo grande, offrendo spazio aggiuntivo per registrare attività e appuntamenti.
  • Questo divertente calendario 2021 ti farà ridere da ogni mese nel 2021!

Peccato solo che non ci siano ancora recensioni.

Does It Really Happen? – Yes

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Pensate a come può sentirsi disorientato un fan di un qualunque gruppo che non ha mai subito particolari vicissitudini tra i propri membri – per esempio gli U2 – al cospetto della rappresentazione grafica della timeline degli avvicendamenti nella formazione degli Yes.

Chi si è preso la briga di studiarla avrà notato, a ridosso del primo scioglimento della band risalente al 1981, il breve gap nella linea che indica la continuità di Jon Anderson, il cantante storico che ha reso riconoscibilissime con il suo falsetto (un vero marchio di fabbrica) le canzoni degli Yes, e che corrisponde all’assenza di un altro pezzo da novanta, Rick Wakeman.

Sembra infatti che i due abbiano mollato il colpo al termine del tour di “Tomato”, consapevoli delle divergenze con Steve Howe, Chris Squire e Alan White. Non che gli Yes non si fossero ancora risparmiati in turn over. Il fatto è che, questa volta, i problemi sono di carattere stilistico.

Siamo nel novembre del 1979. Gli anni ottanta sono alle porte, punk e post-punk stanno mandando in pensione i dinosauri del rock, e la generazione prog non se la passa molto bene. Non tanto per la fedeltà della fanbase – il popolo del rock classico continua a riempire gli stadi – quanto per la difficoltà di adattare le nuove sonorità imposte dall’estetica (musicale e non) imperante e l’evoluzione stessa degli strumenti – le tastiere in primis – a un genere basato su rigidi paradigmi ormai radicati in più di dieci anni di storia. In poche parole, la musica si sta trasformando come mai successo in precedenza, e questa volta senza ritorno.

Howe, Squire e White, probabilmente l’anima più prog degli Yes, giudicano il materiale proposto da Anderson e Wakeman per il nuovo album troppo leggero e folk e si ostinano, nelle sessioni di recording in uno studio a Parigi, a voler far rientrare lo stile degli Yes nei binari tradizionali. Ma ormai c’è poco da fare. Il gruppo approfitta di un infortunio del batterista per interrompere le registrazioni, far sbollire gli animi e rivedersi qualche mese dopo a Londra, ma anche il nuovo tentativo fallisce e la band si ritrova priva di cantante e tastierista.

Il caso vuole che Brian Lane, il nuovo manager, segua anche i Buggles di “Video Killed the Radio Stars” e che il cantante Trevor Horn e il tastierista Geoff Downes siano fan degli Yes. Per dare corpo al nuovo materiale che Howe, Squire e White stanno componendo, i due vengono invitati a contribuire alla stesura del nuovo disco, e la voce di Horn, simile a quella di Anderson, non passa inosservata. Stesso discorso per la destrezza di Downes con i synth. La nuova line-up è servita e si assicura persino la benedizione della casa discografica. Di lì a poco (e in tutta fretta) gli Yes daranno alle stampe “Drama”, un album di grande successo malgrado costituisca una svolta per una delle band più rappresentative del rock di un’era dai giorni contati.

Il connubio tra i due ceppi artistici dei nuovi Yes ha la sua massima rappresentazione in “Does It Really Happen?”, il primo singolo dell’album “Drama”. Due anime per un amalgama – quello tra progressive e synth pop – che riesce perfettamente, contro ogni previsione. La versione da 6:34 (fuso orario di Spotify) presente come ultima traccia del lato A del disco è l’evoluzione di uno spunto in gestazione durante le sessioni parigine, a cui Horn e Downes nello studio londinese conferiscono un vigoroso e decisivo svecchiamento.

Il brano si presenta con il celebre riff di basso suonato con il plettro, un perfetto bordone per il giro armonico che fa brillare gli accordi colpo dopo colpo e sprigiona tutta la sua potenza di hit da arena rock. Non riesce difficile immaginarlo nel live come brano di apertura del concerto, con tanto di esplosioni di luce sincronizzate e il pubblico che si gode lo spettacolo a bocca aperta.

L’apparente semplicità funky della strofa – la ritmica di Howe è inconsueta quanto deliziosa – introduce al potente ritornello in cui la voce di Horn non fa rimpiangere per nulla l’assenza di Anderson. Chitarra e synth si muovono all’unisono in quella che può essere considerata una prova generale dei fasti di “Owner of a Lonely Heart”, un allenamento preparatorio alla scalata delle classifiche mondiali. Ma è la parte cantata sul tema di basso e stacchi iniziale, a metà pezzo, a dare un valore aggiunto al brano, rendendolo sorprendente nei botta e risposta, verso dopo verso, un parte ripresa magistralmente a partire dall’ultimo minuto con il solo di basso sopra a un tema modernissimo lasciato ai sintetizzatori, prima, e alla chitarra, subito dopo.

I ragazzi degli anni ottanta, però, hanno la versione a 45 giri – quello che oggi chiameremmo radio edit – nel cuore, perché “Does It Really Happen?” fu selezionata come sigla della trasmissione Discoring, appuntamento fisso del primo pomeriggio della domenica. E la notizia non è che la produzione di Discoring avesse messo una canzone come sigla del programma (ai tempi costituiva la norma), e nemmeno che avessero deciso di farla ascoltare tutta – alla luce delle sigle da una manciata di secondi a cui siamo abituati oggi -, ma che avessero scelto un brano di una band progressive che, si sa, sono i campioni del mondo di suite articolate e tempi da capogiro.

“Does It Really Happen?” era la password per accedere a un mondo di canzonette che faceva parte del nostro vissuto, la colonna sonora della giornata di riposo dallo studio per noi adolescenti appassionati di musica. E non era difficile che una trasmissione nazionalpopolare, parte di un contenitore altrettanto dozzinale come “Domenica in”, ospitasse musica e band di qualità, mescolate al solito pop all’italiana. “Does It Really Happen?” degli Yes era solo l’aperitivo, un assaggio di cui, nel peggiore dei casi, ci saremmo comunque accontentati.

ha fatto anche cose buone

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La pasta, per esempio.

Scherzo, eh. Sono tesserato ANPI da tempo immemorabile. Comunque, fasci a parte, non mi pare di averle mai viste al supermercato, e se si tratta di una trovata per far parlare di sé possiamo tirare in ballo il solito magna magna. Se si chiamano conchiglie, perché non chiamarle conchiglie? Possibile che a quelli della Molisana non gli sia venuto in mente? Vabbè, mentre la questione si sgonfia – tanto quanto quella su Grease – vado a farmi una partita a calcio balilla.

di tutti i colori

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In questi giorni di festa ricordarci se abitiamo in zona rossa, arancione o gialla è complicato. Non tanto perché la nuance meno tenue è inversamente proporzionale al raggio di azione, nemmeno dovessimo andare chissà dove per fare chissà cosa. Il problema sono i turni di apertura dei negozi. Nei paesi-dormitorio della periferia nord milanese la vendita al dettaglio è pressoché sparita e per acquistare qualunque cosa si ottimizza lo shopping con una visita più articolata in uno dei millemila centri commerciali. Ma nei giorni rossi, quelli prefestivi e festivi, anche i negozi dei centri commerciali sono giustamente chiusi. Ci sono casi contraddittori: per esempio un Decathlon ubicato in una zona di ipermercati qui vicino è chiuso, mentre i negozi in centro sono aperti. Non solo. Gli stessi supermercati impediscono ai clienti l’approvvigionamento di beni non strettamente necessari, riducendo la scelta ai soli alimentari e sospendendo la vendita del resto con vistosi cartelli sugli scaffali colmi di generi vietati. Il fatto è che durante il ponte natalizio la gente perde lucidità e sfido chiunque a rispondervi con prontezza alla domanda che giorno è oggi. Non il numero, il nome. É lunedì, mercoledì, giovedì, o sabato? Ma, soprattutto, oggi è un giorno festivo, prefestivo o libero da restrizioni? Siamo gialli, arancioni o rossi? Sono rientrato poco fa dall’Esselunga, dove mi sono trovato costretto a lasciare due tende e un set di bicchieri da vino scontate del 50% perché oggi è, appunto, vigilia dell’Epifania. Non mi ero reso conto degli avvisi appesi sugli scaffali. Anche il mio dottore non riceve nei prefestivi. Ma allora non si fa prima a considerare festivi i prefestivi se non si riesce a fare nulla?

scivolare sulla brillantina

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Per quel che mi riguarda, io i conti con “Grease” li ho chiusi quando l’ho visto la prima volta con gli occhi disillusi della maturità terza età, e ne ho scritto qui. I media riportano gli attacchi che il film ha avuto, accusato di essere troppo “bianco”, sessista e misogino. Cosa pretendere da una pellicola girata negli anni 70 derivante da un musical di fine anni 60 dedicato alla vita negli anni 50? Non è facile parlare di epoche politically incorrect con toni politically correct. Si tratta di un tema antico come l’uomo ed è impossibile formulare un’opinione senza ricevere qualche critica. Nel dubbio, prometto di non guardare più “Grease” finché il dibattito non avrà chiarito da che parte stare – posto che Rizzo > Sandy – anche perché ci scommetto che le piattaforme televisive a pagamento, per non incorrere in class action e perdere abbonamenti, se ne sbarazzeranno al più presto. Lasciatemi solo ricordare la colonna sonora sbarazzina di quegli anni sbarazzini. Il rock’n’roll era ancora acerbo ma il destino della musica più ribelle della storia sembrava quello di rimanere, per sempre.

ciao 2020

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“Ciao 2020” non è, purtroppo, il caro vecchio “Ciao 2001” che torna in edicola in edizione aggiornata. “Ciao 2020” è un programma di 1 Pervyj Kanal, la RaiUno russa, trasmesso la sera della vigilia della notte di San Silvestro. Si tratta di una parodia di “Popcorn”, il programma musicale di Canale 5 che andava in onda negli anni ottanta, in una veste di episodio speciale per Capodanno e alterna sketch a canzoni arrangiate secondo l’idea che, nel nuovo millennio, si ha dell’italo-disco e del pop alla Albano-Romina confezionato per il patto di Varsavia, in versione aumentata dall’elettronica che oggi si ispira a quella pionieristica del decennio più bello della storia dell’umanità. Se avete meno di trent’anni il programma è godibilissimo.

Se siete ragazzi degli anni ottanta, però, noterete alcuni grossolani errori filologici, a partire da questo:

A parte che il Nord Stage 2 non era ancora stato inventato, a parte che i synth con i manopoloni negli anni 80 erano fuori moda perché tutti si dotavano di sintetizzatori con le memorie e i tastini, era rarissimo che i tastieristi usassero modificare in tempo reale i suoni durante le esecuzioni live perché andavano per la maggiore suoni impostati con variazioni e modulazioni programmate. Nessun tastierista, negli anni ottanta, avrebbe mai messo le mani su un synth così.