einstürzende neubauten

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Letteralmente, almeno secondo Google Translate, edifici nuovi che crollano. Non sapevo che ci fosse un progetto per demolire la diga di Begato, una specie di vele di Secondigliano ma alla periferia di Genova, un po’ meno malfamate ma altrettanto ecomostruose. Una vera e propria diga considerata abitabile appoggiata a serrare due lembi di una vallata, l’apoteosi degli edifici tipici dei dintorni del capoluogo ligure con tutti i saliscendi e gli ingressi da sotto e da sopra e da mezzo, ma con l’aggravante delle case popolari, delle dimensioni inutilmente esagerate e del pugno nell’occhio dal punto di vista cromatico (e nello stomaco, dal punto di vista emotivo). Posti che, davvero, ad ambientarci delle riprese video il ricorso alla musica degli Einstürzende Neubauten sembra il minimo.

Ho letto solo oggi su Repubblica dell’iniziativa di radere al suolo quell’oscenità architettonica e non immagino la difficoltà di sgomberare un vero e proprio quartiere racchiuso in un unico mega-condominio. Tanti anni fa seguivo un ragazzino problematico nelle attività scolastiche che abitava proprio lì. Appartamenti a parte, il complesso aveva spazi comuni interni ed esterni più che inquietanti. Ricordo lo stato d’animo quando mi trovavo da solo sulle scale, in ascensore o sul tetto che congiungeva le sommità delle due colline, il punto preferito dai ragazzini della zona. La vita da quelle parti non era uno scherzo, e la famiglia di Christian era perfettamente in linea con il disagio che si percepiva. La diga di Begato si vede dall’autostrada, venendo da Milano. O, almeno, si vedeva. Chissà come sarà il panorama, d’ora in poi.

internet serve

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Quando a scuola abbiamo fornito i dispositivi per la didattica a distanza alle famiglie che ne avevano fatto richiesta ci sono stati un paio di casi di genitori che hanno contattato il responsabile tecnico – che poi sono io – perché i tablet ricevuti non sembravano funzionare. Sono immediatamente intervenuto e ho dedotto che il problema era che le famiglie in questione erano sprovviste di una connessione Internet e non pensavano che occorresse. Certo, non siamo tenuti a sapere tutto di tutto. Io, per esempio, non ho ancora capito perché non si possa stampare valuta quando se ne ha bisogno. Comunque sarebbe bello se esistesse un wireless pubblico potente e veloce in grado di raggiungere con la stessa diffusione anche l’angolo più remoto del pianeta. Non so dirvi se faccia male alla salute, anzi spero proprio di no perché io che trascorro tantissimo tempo in casa vivo immerso nel wi-fi da vent’anni o giù di lì. CI sono anche quelli che dicono che i ripetitori telefonici e il 5G siano dannosi. É indubbio però che Internet serva, soprattutto se hai un tablet e vuoi navigare, per non parlare della didattica a distanza. Ho pensato a questa cosa poco fa, quando hanno passato alla tele lo spot di Alexa in un c’è un papà che prepara la merenda per il figlio che studia in cucina. Tosta il pane immerso nella Pompei del 79 d. C., uno dei momenti di realtà virtuale e aumentata più sfigati del mondo perché non solo rischi di bruciare la merenda di tuo figlio ma anche di trovarti carbonizzato con tutto il resto. Niente paura, probabilmente è il ragazzo che sta preparando una verifica di storia e ha bisogno di un rinforzino per migliorare la concentrazione. La pubblicità peraltro è molto carina. Da qualche tempo però quelli di Alexa hanno aggiunto una scritta che compare a metà video che avverte che occorre Internet per interpellare l’oracolo della domotica, anche quando si tratta di chiedere informazioni sul tempio di Apollo. L’avviso dice “connessione Internet necessaria”. Ecco. Internet serve. La didattica a distanza non va mica ad aria.

stato di pulizia

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Il mio dirimpettaio, il tizio che ha comprato una delle villette di fronte al condominio in cui abito io, lo vedo pulire con uno spruzzino colmo di sgrassatore bianco e un rotolone di scottex le ruote delle biciclette dei figli e persino i pattini a rotelle prima di rimetterli nel garage dopo ogni utilizzo. Ora capisco perché io sono così.

alta infedeltà

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È indubbio che certi album usciti negli anni 90 siano stati pensati per la fruizione digitale. C’era il vezzo, per esempio, di utilizzare samples della puntina sul vinile con i vari rumori annessi, a partire dai granelli di polvere a infastidire la riproduzione – gli stessi che mandano in bestia i cultori della perfezione di ascolto – per conferire un mood vintage ai brani. Avete letto bene: negli anni novanta si potevano cogliere già i primi vagiti di retromania del mondo in analogico. Addirittura, per “Dummy”, le parti di batteria sono state stampate su vinile per poi essere riutilizzate in loop o date in pasto al dj che accompagnava i Portishead dal vivo. Lo dicono loro stessi in un breve documentario che ho trovato su Youtube e che vi linko qui sotto. Sono in possesso di una copia della ristampa del loro esordio a 33 giri e, in effetti, benché l’abbia acquistata con la massima consapevolezza, non ha molto senso.

come si dice scuola in francese

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Tra le tante cose che i francesi sanno fare meglio di noi è bene annoverare i film sulla scuola. Probabilmente anche la loro scuola è più efficace della nostra, ma non ho dati alla mano. I loro film sulla scuola però sono i migliori del mondo, un primato che va sicuramente ricondotto alla complessità del loro tessuto sociale multietnico da cui hanno la fortuna di trarre ispirazione. Un tema di urgente attualità anche in Italia ma non avendo la stessa sensibilità (e attori altrettanto bravi, savasandir) ci verrebbero dei polpettoni pieni zeppi di stereotipi e così ci fa più comodo far finta di non vedere. Con questo non voglio togliere nulla agli americani. Loro però hanno un approccio ancora differente: pensate a due opere opposte come “Elephant” di Gus Van Sant e “The Breakfast Club”. Si tratta di pellicole in cui l’ambiente didattico è la base su cui si sviluppa la storia. Nei film francesi sulla scuola è la scuola ad essere protagonista. Penso al celebre “La classe” o all’altrettanto imperdibile “Una volta nella vita”. Potete aggiungere un tassello alla vostra filmografia di film francesi sulla scuola guardando “Il professore cambia scuola”, andato in onda qualche sera fa e disponibile su RaiPlay: è la storia di un professore di un liceo del centro che viene trasferito in un istituto della periferia parigina. Lo so, il tema è sempre quello, ma non dovrebbe sorprenderci l’attenzione per l’inclusione, considerando quanto il sistema educativo italiano ci si riempie la bocca. E se avete qualche dubbio, provate a guardarlo dopo “Notte prima degli esami”. Poi ne parliamo.

vite in miniatura

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Chi lavora con i bambini sa quanto sia naturale osservare con invidia bonaria e rimpianto quelle vite nate da poco. Ma non appena pensiamo che per loro il meglio debba ancora venire è facile giungere all’amara conclusione che si troveranno al nostro posto di persone di mezza età in un battibaleno, come è successo a noi. Ci sfugge però il paradosso tra quanto sia apparentemente semplice la loro condizione e quanto, al contrario, sia gravoso crescere. Vere e proprie vite in miniatura con pensieri piccoli, gioie grandi, a volte dolori incomprensibili che durano meno di una notte. Ormai ci restano ricordi vaghi di quel processo di sviluppo che è avvenuto dentro di noi e che ci ha portato fino a qui. Un percorso che boh, davvero, avendo l’occasione, chissà se sceglieremmo di rifarlo da capo.

pietre immobili

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Per certi aspetti non c’è nulla di più democratico di una pandemia mondiale. Non siamo solo noi poveracci le vittime di questo stallo termonucleare globale. Non c’è solo il nostro dirimpettaio che alle sei di ogni santo pomeriggio si piazza fuori sul balcone a suonare musica di merda a beneficio di tutto il vicinato. Non c’è solo il tizio della villetta a schiera più avanti che, piuttosto che mettere il naso fuori di casa, fa finta di correre o di portare fuori il cane. Non ci sono solo i ristoratori che chiamano gli amici di casapound per fare un po’ di casino in piazza. Poveri e ricchi, emeriti sconosciuti e influencer di tendenza, intellettuali e deprivati, siamo tutti costretti a starcene con le mani in mano fino a quando anche l’ultimo dei più recidivi negazionisti di staminchia non sarà vaccinato e finalmente, debellato l’odiato virus, potremmo tornare a non fare scontrini fiscali, ad ascoltare la trap al parchetto e fumare le nostre sigarette elettroniche fuori dai ristoranti. Sarà una magra consolazione ma anche gente del calibro di Mick Jagger non ci sta più dentro. Pensate: con tutti i fantastiliardi che ha è costretto ad ammazzarsi di social network, pane fatto in casa e serie tv proprio come noi. A differenza nostra, ogni tanto gli viene un’idea, chiama qualche amichetto dall’altra parte del mondo e tira fuori qualcosa a tema. Quindi tranquilli, anche le rockstar si annoiano a stare fermi.

annuendo

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La combo di fattori negli alunni quali:

  • sottovalutazione dell’efficacia di un logopedista di quelli buoni
  • ricorso al sussurro come modalità espressiva dovuta alla timidezza dell’età
  • uso della mascherina
  • movimento di banchi e sedie al piano di sopra
  • classi che si recano in bagno in massa transitando davanti alla porta
  • affetti da asperger a bassissimo funzionamento che urlano in corridoio per comunicare il loro disagio alla confusione generale dovuta al rispetto delle ferree leggi covid
  • rumori tipici da intervallo in classe (chiacchiere, confezioni di merendine fatte esplodere, borracce in metallo che cadono, astucci fatti volare per ricadere in equilibrio verticale sul banco ecc…)

unita alla mia parziale sordità precoce fa sì che mi risulti impossibile comprendere quello che mi dicono i bambini durante l’intervallo. Ed è un peccato, considerando che è un continuo chiedere la parola per farmi sapere qualche cosa. Per limitare i danni all’attenzione provocati dalle cose che non c’entrano durante l’ora di lezione chiedo ai miei alunni di mettere da parte i loro interventi per il momento della merenda, il che aggiunge l’aggravante ai fattori di cui sopra. A me spiace dovermi far ripetere venti volte la stessa cosa, ogni volta avvicinando sempre di più l’orecchio alla bocca (protetta), per percepire che cosa vogliono dirmi. Con l’esperienza però ho compreso che nel 99% dei casi si tratta di aneddoti assurdi, robe da bambini di sette anni, idee strampalate e domande senza senso. Così, da un po’ di tempo a questa parte, ho adottato la tattica dell’annuire con la testa mentre mi parlano anche se non colgo nemmeno una sillaba. Quando capisco che quello che dovevano dirmi è finito, il movimento del capo si fa più vigoroso, gli occhi più seri o più allegri – in sintonia con il tono con cui mi hanno parlato, da cui capisco se si tratta di una cosa triste o meno – quindi chiudo il discorso con un vigoroso sì. Poi però penso se, per sbaglio, ho approvato una loro richiesta folle e, rientrati a casa, i miei bambini racconteranno ai genitori che il maestro ha accettato qualcosa a cui nessun educatore dovrebbe mai acconsentire. Al momento, però, tutto fila liscio. Tengo testa a ogni confronto e vedo la soddisfazione dei miei piccoli interlocutori quanto tornano a posto, dopo avermi messo al corrente di chissà che cosa e dopo aver ricevuto il mio ok. Spero si torni presto a leggere il labiale, obiettivamente non posso andare avanti così.

una musica può fare

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Quante volte, nelle nostre lezioni di musica, per dimostrare l’efficacia di una colonna sonora e quanto influenzi l’esperienza di visione di un film, abbiamo fatto ascoltare la celebre composizione di Bernard Hermann che accompagna la scena della doccia nel film “Psycho” di Alfred Hitchcock? L’ostinato di archi è in grado di mandare in tilt anche le persone più dotate di self control. Per questo motivo trovo che lo spot tv dell’Ansiolev sia ben architettato, a prescindere dal fatto che il naming del prodotto è talmente brutto da fare il giro e diventare sexy. Comunque immaginate se la vita fosse così, con i musicisti che ti seguono ed enfatizzano con il loro commento sonoro suonato dal vivo il tuo stato d’animo sia per far capire al prossimo come ti senti, proprio come nei film, ma anche per portare al parossismo qualsiasi emozione segreta. Una vita sul filo del rasoio. Per non parlare di quanti operatori del settore dello spettacolo gettati sul lastrico dalla pandemia potrebbero trovare un’occupazione redditizia. Io, per esempio, chiamerei Tom Morello a suonare l’intro di chitarra di “Killing In The Name Of” ogni volta che non riesco a incazzarmi come dovrei. La protagonista dello spot dell’Ansiolev ha invece un violinista con un fascino tutto suo che la molesta con questo tema angosciante che non è quello di “Psycho” – immagino per ovvi motivi di copyright – ma gli strizza l’occhio, anzi, gli sfrega le corde. Bravi tutti.

buon ddi

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Anche oggi la rassegna stampa dedicata alla pandemia dei giovani, alla didattica a distanza e alle sue conseguenze è piuttosto ricca.

Su “Rivista Studio” si trova un’intervista al neuoropsichiatra Stefano Benzoni, autore del libro “FIgli fragili”. Si parla della

straordinaria importanza di rimettere il corpo al centro della nostra prospettiva pedagogica. Questo significherebbe aprirsi a esperienze didattiche che partano anche da una concezione nuova e più attuale degli spazi fisici della scuola, da ripensare appunto come luoghi nei quali i corpi degli studenti possono fare esperienze, non come contenitori da sterilizzare e ove impartire istruzioni dall’alto a classi composte e seriali.

e di assuefazione digitale, laddove

La pandemia ci ha permesso solo di assaporare – con il gusto amaro di una dieta obbligata – gli effetti esasperati di un futuro prossimo. Non dovremmo dimenticarci però che la strada verso questo futuro l’avevamo intrapresa volontariamente ad ogni giro di shopping pre-natalizio, ad ogni acquisto di tablet, smartphone e consolle, votando la prole al suo destino digitalizzato. Le cose dunque non solo probabilmente non cambieranno quando – come si dice – “questa cosa della pandemia sarà finita”, ma è probabile che l’ubriacatura tecnologica generi presto nuove dipendenze e nuove assuefazioni.

e ancora

«Fino a che punto», dice Vergani, «l’impersonalità seriale» tipica dei “dispostivi educativi […], che impongono la rimozione dei volti e dei corpi – una neutralità relazionale coerente con il nostro sistema economico che riduce l’uomo a strumento e a funzione – non comporta la rimozione dell’altro e dunque l’indifferenza?». La violenza cresce nell’anonimato dei volti di chi soffre, nella neutralizzazione dell’altro a mero e impersonale pannello, a nome e numero in una chat. Anche su questo fronte, si dovrebbe ammettere, la Dad sembra aver gettato benzina sul fuoco.

per chiudere con un’amara consapevolezza:

Aspettare il futuro dell’immaginazione, finiti i guai, per tornare a vivere, è un’illusione alienante. Aggrapparci al nulla non è una buona idea per strapparci dal nulla.

Tutto questo alla luce delle proposte del ministro Brunetta sullo strumento concorsuale come piattaforma di selezione del personale della PA e della puntata di ieri sera di Data Room di Milena Gabanelli dedicata alla nuova giungla delle sigle anti-Covid, che riguardano anche la il mondo della didattica.

Segnalo infine la newsletter di Luca De Biase Media Ecology, in cui l’autore raccoglie ricerche e analisi sull’impatto della scuola nella polarizzazione sociale.