tempi moderni

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Morire a vent’anni inghiottiti da un impianto industriale sembra davvero una storia da lavoro in fabbrica d’altri tempi. Ho visto stabilimenti con livelli di automazione impressionanti. Vetture ciclopiche che muovono da sole, per centinaia di metri, bobine di acciaio pesantissime alle macchine che devono trattarle, guidate tramite rete e dotate di sensori che le rendono pronte a bloccarsi con ostacoli (umani in primis) nelle vicinanze. Robot industriali dalle forme più disparate spaccare il millimetro nel posizionamento di componenti, pericolosissimi in caso di errore per gli addetti al controllo. Linee di produzione che trascinano in forni di cottura qualsiasi cosa. Nastri mobili portare tubi metallici in box a temperature innaturali. Ruspe automatizzate caricare l’esatta quantità di sostanza chimica utile alla ricetta di materiali da costruzione. Tutto questo senza l’intervento di essere umano se non in fase di programmazione dei cicli e dei movimenti, e qualche operaio specializzato nei pressi. Nessun compito in particolare, tutto funziona alla perfezione. L’importante è non distrarsi, perché l’industria 4.0 e l’Internet delle cose, quando toppano, possono fare molto male.

mi prendi in giro?

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La vita è una ruota, il lavoro anche. Prima di vincere il concorso e diventare dipendente pubblico ero iscritto a decine di newsletter e siti di recruiting online, e mi sono candidato a migliaia di posizioni aperte. Credo di non essere mai stato in grado di esprimere un curriculum abbastanza efficace. Sta di fatto che non ho mai ottenuto uno straccio di colloquio. Spero cha a voi sia andata meglio che a me. Poi però sono stato baciato dalla fortuna, perché quando si tratta di cambiare lavoro a una certa età non è mica facile. È vero che i lavoratori devono essere pronti a ruotare, ma mica così tanto. A me questa tecnica di montaggio fa venire da vomitare. A chi non trova lavoro, invece, può fare girare i coglioni.

punkdemia

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A scuola, di musica, quest’anno si può fare ben poco. I bambini non toccano gli strumenti musicali perché potrebbero contagiarsi e pretendere che ne portino uno a testa personale da casa è improponibile. E comunque Dio ci protegga dal flauto dolce, senza contare che potrebbe amplificare la diffusione in classe del virus attraverso gli spruzzi omnidirezionali di saliva intrisa di infezione. Il protocollo sconsiglia persino di farli cantare. Che poi, con la mascherina, che senso avrebbe? Io poi evito la teoria come la peste. Non c’è niente che faccia allontanare di più i bambini dalla musica che una nuova grammatica tutta da imparare, con i suoi simboli e le sue regole. Quando sono piccoli come i miei non si può nemmeno introdurre un po’ di storia della musica, per non parlare della presentazione degli strumenti e del loro funzionamento. Ci limitiamo così agli ascolti. Metto una canzone e dopo ne discutiamo insieme. Ci è piaciuta? Ci siamo sentiti tristi o allegri? Ci venuta voglia di ballare? Chi sa come si chiama questo ritmo? e via così.

Qualche volta scelgo io, ma molto più spesso lascio la postazione del dj a loro. Ho chiesto ai bambini di segnarsi su un foglio titolo e cantante/gruppo dei brani che vogliono proporre, questo perché altrimenti non saprebbero indicarlo se non guardando i risultati della ricerca su Youtube. «È quello che inizia tutto blu», mi suggeriscono mentre cerco di capire quello qual è la canzone che mi hanno chiesto. Ma come gli dico sempre di ricordarsi i nomi dei luoghi o dei monumenti che visitano in vacanza, allo stesso modo pretendo che si abituino a definire le cose con il nome più appropriato per farsi capire dall’interlocutore. E, soprattutto, per imparare qualcosa di nuovo e non dimenticarlo più.

Il messaggio che voglio passare è che attraverso i gusti musicali possiamo conoscerci meglio perché la musica è un modo tutto nostro per comunicare qualcosa di noi. Inutile dire che le loro selezioni sono a dir poco vergognose e se il mio obiettivo – quello di sapere qualcosa di più su di noi – fosse davvero preso come strumento di indagine reciproca da una persona normale, ne risulterebbe che i miei alunni siano un branco di deficienti. Si passa dai frutti della deprivazione culturale del calibro di Ultimo e Baby K all’immancabile trap e i vari cantanti a cui un corso intensivo di logopedia non guasterebbe, fino alla spazzatura estiva su ritmi latini cantata in spagnolo, con l’eccezione di una bambina che ha i genitori fanatici di Vasco e un’altra – l’unica – che chiede canzoni dello Zecchino d’Oro.

Ma quello che sopporto di meno sono le parodie legate a Fortnite e Brawl Stars. Youtube pullula di ragazzini che pubblicano canzoni di successo a cui sostituiscono testi ispirati dal lessico slang dei più diffusi passatempi ludici online. Gente che farebbe meglio a studiare ma che, invece, può contare su milioni di visualizzazioni e si è garantita un futuro. In veste di educatore musicale, la lezione che ho tratto da tutto questo è che nelle case e nelle famiglie nessuno bada a ciò che ascoltano i propri figli. Forse non hanno tempo, forse non hanno compreso la portata della musica nella vita, o forse, in genere, la gente ascolta musica di merda e non si pone il problema che i figli facciano altrettanto.

la scuola ti prende

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Ci sono colleghi che in casa hanno una studio intero dedicato alla scuola con scaffali stipati di libri di testo adottati negli anni, volumi acquistati a integrazione dell’attività ordinaria, omaggi delle case editrici presi in visione e mai più restituiti e altre pubblicazioni accumulate durante il servizio e raccolte da fonti diverse. Il fatto è che a un certo punto la scuola si impossessa della tua vita privata e degli spazi intimi che le persone normali condividono solo con la propria famiglia attraverso una presenza che non ha eguali per nessun altro settore professionale. Mi riferisco a tavoli da pranzo ricoperti da verifiche da correggere o materiale per attività pratiche che fa capolino in altre parti promiscue della casa. Questo accade perché, per tutti gli altri lavori, esistono sedi aziendali in cui occuparsi delle proprie mansioni. Le persone hanno uffici con scrivanie, cassetti, armadi e scaffalature, per non parlare dei computer per il lavoro, della cancelleria e della strumentazione specifica a seconda dell’occupazione. Anche per noi insegnanti esiste un luogo dedicato a quello che facciamo, che è la classe in cui ci aspettano i nostri ragazzi. Ora lasciate per un attimo perdere la didattica a distanza e parliamo di come vanno le cose in una situazione normale senza pandemia. Immagino sappiate che per i docenti non è prevista una postazione a scuola in cui sbrigare il resto delle faccende che ci competono. I più fortunati, così, si portano il lavoro a casa dove hanno allestito uno spazio dedicato, come i freelance indipendenti ma senza il giro di affari dei freelance indipendenti. Per non parlare del fatto che, molto spesso, a scuola non si butta via mai niente, ci sono veri e propri sottoscala che traboccano di cose inutili e che, quindi, se serve identificare una collocazione temporanea per qualcosa, è facile che questa trovi spazio nel box privato di qualche insegnante generoso. Ed è per questo che la scuola ti prende. Ti prende così tanto la vita con il risultato che ovunque ti volti e a qualsiasi ora del giorno c’è qualcosa che te la ricorda.

ncc

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A casa di Adriana ho notato una stampa di Emanuele Luzzati che conosco benissimo raffigurante una scena con un tizio che suona una serenata con la chitarra e la sua bella che ascolta innamorata dal balcone, un regalo di nozze che Adriana ha ricevuto da alcuni amici del marito. Il fatto è che, con il tempo, si è perso un pezzo del corpo della ragazza destinataria delle attenzioni del suo spasimante. Se passate da loro fateci caso perché non è facile accorgersi della parte mancante. Non so se avete presente lo stile un po’ strampalato di Luzzati. Sarò campanilista ma a me fa impazzire. Ai miei bambini ho già mostrato alcuni dei suoi cortometraggi animati sulle musiche di Rossini ottenendo feedback sorprendenti. Anche a mia figlia, quando li ha visti da piccola, sono piaciuti molto. Ho chiesto informazioni sull’accaduto e il marito di Adriana mi ha confessato di non sapere quando si sia staccato il pezzo, probabilmente durante qualche trasloco o semplicemente si è scollato e poi la signora delle pulizie ci è passata sopra con il Dyson. A vederli da vicino fanno un po’ impressione, Adriana e suo marito. Lui supera i due metri e lei, che sarà un metro e cinquanta, gli arriva all’ombelico. Con Adriana non sono molto in confidenza e non ho mai capito che lavoro faccia lui. Solo solo che quando esce dall’ufficio si fa venire a prendere in macchina da un autista perché in quei venti minuti che impiega per rientrare a casa gli piace schiacciare un pisolino. Poter usufruire di un servizio quotidiano di un noleggio con conducente è un lusso che si possono permettere anche se, lo so per certo, non sono una coppia di miliardari. Mi sembra però di aver capito che per lui sia una sorta di esigenza fisica. Intorno alle 18, l’ora in cui si congeda dai colleghi, sviene letteralmente dal sonno. Non importa quanto abbia riposato la sera prima, se fuori ci sia buio o ancora il sole, se faccia caldo o freddo, se abbia particolarmente faticato al lavoro, se abbia mangiato lo stinco o solo un’insalatina con i pomodori. Tè e caffè non gli fanno effetto. Tra le 18 e le 18:30 deve trovarsi in un posto in cui gli è possibile chiudere gli occhi e sonnecchiare per una mezz’oretta. Non lo biasimo perché anche me è successo. Ho fatto per tantissimi anni il pendolare e addormentarmi sul treno del ritorno, provato dalla fatica tutta mentale del mio impiego di copywriter e creativo, era un vero e proprio ristoro psicofisico. Ancora oggi, se mi trovo in casa a quell’ora, non disdegno di sdraiarmi sul divano e chiudere gli occhi qualche minuto. Il marito di Adriana all’andata va con i mezzi e per rientrare a casa ha sottoscritto una specie di abbonamento vita natural durante con un servizio privato di trasporti. Mi chiedo perché non si avvalga di un taxi, secondo me spenderebbe di meno. Quando torno da scuola anche a me viene un po’ sonno e devo prestare molta attenzione alla guida. Penso ad Adriana e a quanto sia fortunato suo marito mentre russa sui sedili posteriori tra il traffico della tangenziali all’ora del rientro. Penso anche ai numerosi modi che esistono per riparare la stampa di Luzzati e mi chiedo perché non abbiano ancora provveduto.

inserisci tabella

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La maggior parte della gente è all’oscuro del fatto che con le tabelle di Word si possa fare qualsiasi cosa. Grazie a una tabella estesa quanto la dimensione del documento, vi faccio un esempio, è possibile mettere a punto impaginazioni anche piuttosto elaborate e più è fitta la griglia e più il lavoro viene preciso. Potete dimenticarvi le caselle di testo e tutti gli escamotage che ci fanno impazzire ogni volta che occorre inserire le immagini o le scritte in un determinato punto del foglio. Una volta che avete ultimato il vostro elaborato è sufficiente rendere invisibili i bordi delle celle e il gioco è fatto. Certo, se siete abituati ad arrendervi alle difficoltà come capita anche a me lasciate perdere e fate come avete sempre fatto. Se siete disfattisti, però, vi invito a considerare se tra il 43 e il 45 avesse prevalso la sfiducia e nessuno si fosse preso la briga di organizzare una reazione all’occupazione nazifascista. Per questo, in questi giorni a cavallo del 25 aprile, ho riflettuto sul fatto che ci starebbe molto bene, nel palinsesto delle tv on demand, una serie dedicata ai Partigiani. Una serie di quelle che piacciono a me, però, senza tanti dubbi o revisionismi come i programmi che davano a Tele Capodistria, che, come dice Max Collini, era “un vulcano di emozioni. Film partigiani dove i tedeschi erano cattivi e i partigiani buonissimi e intelligentissimi. Un paradiso socialista”. Non intendo quindi la solita visione distopica, anche se non mi dispiacerebbe un riadattamento di “The man in the high castle” ambientato nell’Italia sotto il patto di Varsavia. Ma, nel caso, mi accontenterei di una trama più banale. Alla fine della guerra civile tutti i sostenitori e militanti della RSI vengono processati per le loro responsabilità, a nessuno viene in mente di promulgare un’amnistia per chicchessia, non ci sono servizi segreti o americani che aiutano i colpevoli a trasferirsi in Sud America e cose di questo tipo. Nel dubbio, però, preferirei una vicenda vera, magari tratta da un libro di Fenoglio o anche “Senza tregua” di Giovanni Pesce ambientato tra i GAP milanesi, con attori non italiani o, comunque, doppiati. Ne ho parlato con mia figlia e alcune delle idee più interessanti sono venute da lei. Mentre condivideva il suo punto di vista, eravamo a tavola tutti e tre, ho commentato la conversazione sottolineando a mia moglie l’effetto strano che fa trovarsi di colpo un’adulta in casa. Mia moglie si è commossa e, vedendola in lacrime, ho capito bene quello che avevo appena detto.

vhs

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Sono capitato per caso su uno di quei canali Youtube che danno un senso a Youtube, ovvero quello di rendere disponibile su Internet la tv del passato registrata sulle videocassette e digitalizzata dagli utenti. Ci vuole tempo e perizia per avere un risultato di qualità, e sotto questo profilo il canale in questione è superlativo. L’ho trovato cercando dei live degli Almamegretta negli anni 90 e, tra i vari risultati, c’era pure questo. Ma, se vi capita, date un’occhiata al suo archivio, è pieno di vestigia del passato più recente della tv.

economia della morte in tempo di pace

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Non raccontiamoci quindi favole: allo stato attuale del progresso scientifico e tecnologico – lo abbiamo visto quest’anno – lasciare indietro qualcuno è una precisa scelta politica. Carla Capponi disse, dopo la guerra, che il disastro che le era accaduto dentro in quegli anni era forse dovuto al fatto che togliere la vita è «contro natura». La verità dei fascisti era diversa: voleva che nulla fosse più naturale dell’uccidere o del lasciare morire perché a prevalere fossero il giovane e il forte. In quell’epoca lontana io vedo scelte, contrapposizioni e valutazioni che capisco, tanto più nel caso di militanti gappisti che facevano propria un’idea contraria al capitalismo. Vedo anche una coerenza nell’affermazione dei fascisti di ieri e di oggi: chi ha un certo sistema immunitario non deve essere rallentato da chi ne ha uno diverso. Il rischio ragionato è economia della morte in tempo di pace. È una violenza «naturale», circolazione di un virus e stato ipotetico «di natura» dove alcuni (non) guardano altri morire.

Davide Grasso, FASCISTI, LIBERAZIONE, GIOVENTÙ E PANDEMIA: DAL 25 APRILE AL RISCHIO RAGIONATO.

zona rossa

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Di tutte le grandi interpreti della canzone italiana a cavallo tra gli anni 60 e 70, e mi riferisco a Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo, Iva Zanicchi e Oretta Berti e a qualche altra che al momento non mi viene in mente e non me ne vogliate (anzi ricordatemelo qui sotto), Milva era di certo la meno banale di tutte. Era soprannominata “la rossa”, e se pensate che a Canzonissima 71 presentò “Bella ciao” e che ci a lasciato a ridosso dell’anniversario della Liberazione, si tratta di una qualità dalle numerose interpretazioni.

nel solco

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Il giorno in cui Anna mi ha portato a casa del padre per conoscerlo – i genitori erano separati – lo abbiamo trovato nell’orto, chinato ad accudire non so quale coltivazione di verdure con i calzoni che gli erano scesi a metà sedere e da lì mi sono chiesto come sia possibile che ad ogni essere umano di genere maschile, giunto a una certa fase della sua vita, inizino a cadere i pantaloni dietro mostrando il peggio di sé. Ci ho pensato proprio ieri: ero accucciato a giocare a tris con Erik sul cemento del campetto di basket che abbiamo in giardino usando dei sassi come gessetti e Anna e Sofia, che erano sedute sulla panchina dietro di noi, mi anno avvertito. “Maestro ti si abbassano i jeans”. Non so se sia una questione di età o della moda che è cambiata rivoluzionando il taglio dei vestiti perché vi assicuro che non mi era mai successo prima d’ora. Mi ricordo benissimo di aver avuto più volte in passato la necessità di piegarmi verso il basso senza mai offrire alcuno scorcio delle mie nudità posteriori. Cos’è cambiato da allora? Spero che non si tratti di una prima avvisaglia di una terza età all’insegna della scarsa attenzione al comportamento verso il prossimo, come quegli individui – ancora di sesso maschile – che si fermano per strada ovunque ci sia una corsia di emergenza per abbassarsi la zip e pisciare davanti a tutti. Possibile che non si riesca a capire la bruttezza del gesto? Possibile che l’urgenza sia tale da non poter attendere un autogrill o una qualsiasi struttura attrezzata con il bagno? Ne ho incrociato uno anche stamattina, venendo a scuola, e nella foga di strombazzargli con il clacson ho persino urtato l’accrocco porta-smartphone che ho sul bocchettone dell’aria condizionata, facendolo cadere. Malgrado la qualità (e il prezzo a cui l’ho acquistato) non si è rotto ed è un vero record in quanto a durata di prodotti made in China di cui mi sono provvisto nel tempo, complice il fatto che c’è stato il lockdown e l’auto l’ho usata molto meno rispetto agli altri anni nello stesso periodo. Sono queste le cose principali che mi fanno distrarre quando guido e infatti cerco di trattenermi e controllarmi. Mi viene in mente il meme del tipo che si volta a guardare il sedere della ragazza che passa mentre cammina insieme alla fidanzata. Potrei realizzarne uno per mettere nero su bianco la prontezza con cui mi lascio sviare dall’attenzione che pongo alle nuove uscite della musica alternativa contemporanea ogni volta in cui mi capita sottomano un video restaurato dei Genesis dal vivo con Peter Gabriel. Da qualche settimana è online quello che vedete qui sotto, una registrazione che, come dice un mio amico, sembra davvero fatta ieri.