unicorno arcobaleno

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Salgo a Savona su un Intercity per Milano e la lotteria delle prenotazioni e dei compagni di viaggio random mi abbina a due mamme con due figlie a testa. Due piccole che sonnecchiano sulle loro ginocchia e due più grandi, otto o nove anni, l’età dei miei alunni, che occupano il mio posto e quello accanto al mio e seguono un film animato a tutto volume su un tablet.

Il treno non è pieno ma non ho voglia delle reazioni a catena che si susseguono quando sale qualcuno che deve sedersi dove ci si sposta in questi casi. Non so perché mi sento stronzo, forse sono stanco. Chiedo alle bambine di spostarsi e le mamme si guardano come se avessi bestemmiato. Percepiscono che sto parlando sul serio, i loro sguardi sono eloquenti e si chiedono perché non cambi sedile io. Così un po’ scocciate sistemano le figlie con il loro tablet nei posti di fronte.

Poi mi siedo, prendo il libro e, sempre rivolgendomi direttamente alle bambine, chiedo se non hanno un auricolare. Voglio leggere e il sonoro del film che stanno seguendo mi dà fastidio. Le mamme obiettano la mia richiesta. Provo figurare loro lo scenario che si presenterebbe se tutti i passeggeri della carrozza si mettessero a seguire un film senza cuffie. Ribattono che si tratta di bambine e che sono troppo rigido. Insisto sul problema e minaccio di mettermi ad ascoltare heavy metal a tutto volume con il rischio che si sveglino le altre due piccoline che dormono. C’è persino un passeggero che critica la mia posizione. Alla fine le due mamme, visibilmente alterate, forniscono di un auricolare le loro figlie – un orecchio per uno – e la cosa finisce lì.

Mi metto a leggere ma mi sono innervosito e faccio fatica a seguire la storia. Mi agito quando mi arrabbio perché non mi arrabbio mai. Stavo persino per dire alle mamme che ho a che fare ogni giorno con i bambini, e quello che è accaduto non c’entra. Non capisco perché non hanno capito, eppure mi sembra piuttosto evidente, l’aver ragione.

Le bambine hanno fame e le mamme forniscono loro panini e succhi di frutta. Mangiare e bere con un auricolare condiviso a metà non è facile. Quella di fronte a me deve gettare la cartaccia ma non riesce a sollevare lo sportello del cestino di cui è provvisto il tavolino, così l’aiuto, lei mi ringrazia e io rispondo prego. Ma non è solo quel gesto di distensione a farmi accorgere che mi spiace per il mio comportamento. Così dopo mezz’ora, anche se mi mancano una decina di pagine per finire il romanzo, ho fretta di chiarire la cosa. Chiudo il libro e, riponendolo nello zaino, dico alle bambine che ho finito di leggere e possono rimettere l’audio del tablet. Quindi mi rivolgo alle mamme, abbasso la mascherina per sembrare più convincente, e porgo le mie scuse, aggiungendo che sono stato molto sgarbato. Ci sorridiamo, rispondono di nulla, suggeriscono alle bambine di abbassare comunque un po’ il volume del film e vissero tutti felici e contenti fino a quando le due sorelline sulle ginocchia si svegliano.

Senza che nessuno chieda nulla una delle mamme estrae lo smartphone dalla borsa e mette in loop il video di una festa di compleanno in cui ci sono decine di bambini piccoli che cantano, urlano, fanno il girotondo, piangono, adulti che applaudono, bimbi che ridono sguaiatamente. La piccola insiste per rivedere a ripetizione un passaggio particolarmente esilarante in cui qualcuno nel video fa un verso che fa ridere tutti. La mamma ferma il film e torna indietro, e poi ancora e ancora, questo per decine di volte. Segue un repertorio di canzoni dello zecchino d’oro e tutto il repertorio per gli under 4.

Poi succede che il treno si ferma alle porte di una stazione intermedia, c’è un guasto sulla linea, 80 minuti di ritardo oltre all’ora che mi separa dalla fine del viaggio. Le due sorelline grandi, davanti a me, nel frattempo hanno finito il film e si mettono a fare un gioco in cui c’è un cazzo di unicorno di merda da colorare sul tablet. Si azzuffano per giocare, mi riempiono di calci, mi pestano più volte i piedi, mi fanno persino cadere l’orologio che avevo sfilato per i polsi gonfi ma ormai sono diventato un anziano signore gentile e non posso più tornare indietro.

nessuno ha dormito

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Avrete letto tutti che oggi Alfredo inizia la sua avventura, proprio come la nazionale di calcio di cui è tifoso. C’è stata una cerimonia di inaugurazione della competizione internazionale di cui è data tra le favorite, ma prima la retorica dei giornalisti è permeata sino ai circuiti danneggiandoli, un po’ come certi topi che rosicchiano i cavi elettrici delle automobili. Poi hanno chiamato Bocelli in mezzo al campo e la TV è esplosa insieme ai fuochi tricolori che si elevavano dallo stadio a botte di vincerò, come da copione. Giusto in tempo per non assistere a un inno del campionato che da un po’ passa ogni due per tre in radio, una canzone che sembra un pezzo degli U2 con la chitarra degli U2 ma che non è degli U2 e, negli stacchi pubblicitari durante la partita, ricorda tantissimo “Ringo Starr” dei Pinguini Tattici Nucleari. Per questo la prima missione di Alfredo è quella di recuperare un nuovo apparecchio televisivo, una cosa tutt’altro che banale considerando che è sabato, è giugno, la città è deserta e molti negozi sono chiusi. E poi ogni cosa sembra cambiata, rispetto a ieri. La vittoria della nazionale ha già parzialmente trasformato il nostro modo di vedere la realtà. Ma Alfredo conosce quei posti come le sue tasche e non si lascia certo trarre in inganno. Anzi. Ogni posto meriterebbe una guida esperta. Alfredo sfoggia il suo badge e si mette al lavoro, a disposizione dei suoi concittadini.

blasfemia

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Nel video di “7 miliardi”, un brano da 17milioni di visualizzazioni, il cantante Massimo Pericolo, nell’ordine:

  • brucia la sua tessera elettorale
  • fa un riferimento esplicito al consumo di droga
  • fa un secondo riferimento esplicito al consumo di droga
  • esprime un concetto ampiamente offensivo per il genere femminile, a parole e con un gesto eloquente
  • insulta le forze dell’ordine
  • istiga all’abuso di alcolici
  • esprime un secondo concetto ampiamente offensivo per il genere femminile
  • fa un terzo riferimento esplicito al consumo di droga
  • parla di suicidio
  • bestemmia
  • dice fanculo accompagnato da un gesto dal significato analogo
  • fa un quarto riferimento esplicito al consumo di droga
  • mostra nel video un quinto riferimento esplicito al consumo di droga
  • fa un sesto riferimento esplicito al consumo di droga
  • esprime a parole e a gesti un terzo concetto ampiamente offensivo per il genere femminile
  • incita all’antipolitica

Di tutto questo, l’unica cosa occultata e censurata nel video è la bestemmia. Ma anche se cercate il testo su Google.

adempimenti di fine anno

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Il problema della dematerializzazione e della digitalizzazione dei processi nella pubblica amministrazione è molto più grande di quanto si possa pensare e la scuola, in una competizione mondiale, potrebbe ricoprire il ruolo di portabandiera per i nostri colori. C’è un aspetto di fondo indotto dalla forma mentis degli operatori del settore e va ricondotto alla deferenza che incute la modulistica. I siti web degli istituti scolastici sono zeppi di modulistica da scaricare, compilare e, se la circostanza lo richiede, restituire firmata in digitale dopo averla acquisita allo scanner. Una circumnavigazione di una procedura elementare che potrebbe essere evasa in un paio di clic senza sprecare una goccia di toner. Il fatto è che non c’è nulla di più volatile di un modulo in Word, anche se poi trasformato in PDF. I moduli per il personale scolastico sono stati realizzati da chi lavora in segreteria, non vedo perché non ci si possa sentire liberi di adattarli a seconda dei contenuti con cui dobbiamo riempirli. La modifica della struttura di un modulo ne depotenzia la validità? Eliminare le righe superflue di una tabella, correggere i doppi spazi, cancellare l’articolo che non occorre nelle formule ereditate da quando si stampava tutto e occorreva scegliere il/la sottoscritt__, oppure DATA e poi scrivere la data cancellando la dicitura DATA tanto si capisce che, quello che ho scritto, è la data, sono azioni di hackeraggio che mettono a rischio il posto di lavoro del docente? Il modello va preso per quello che è, cioè una linea guida che poi ognuno fa sua. Paradossalmente posso anche scegliere di sostituire il font, oppure rifarlo tutto da capo se – come spesso accade – l’impaginazione è resa spostando parole e righe con la spaziatura e non utilizzando margini o tabelle e ci si vergogna di restituire un documento personale impostato a cazzo da un impiegato all’oscuro dei principi cardine dell’editoria. Nessuno muoverà accuse di falsificazione di documenti ufficiali. Le relazioni di fine anno, le ore extra da retribuire con i fondi di istituto e tutti gli adempimenti da portare a termine prima del liberi tutti estivo comportano almeno uno di questi moduli per circostanza da riempire e lasciano gli insegnanti in balia di inutili e anacronistici orpelli burocratici. Colleghi docenti, non abbiate timore della modulistica, nemmeno quando è in pdf. Usate un qualsiasi tool gratuito, convertitela in Word e divertitevi a pasticciarla come volete. Non spezzerete nessun incantesimo.

voce del verbo rockare

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Chissà se Renato Serio e Romolo Siena, autori di “Ti rockerò”, successo di Heather Parisi pubblicato nel 1981 e classificatosi al settimo posto dei singoli più venduti dell’anno, sono consapevoli di aver composto l’unica vera risposta plausibile a “We Will Rock You” dei Queen. La questione sembrava averla già chiusa Eugenio Finardi con l’album “Roccando Rollando” nel 1979, anche perché il film “Rocco e i suoi fratelli” del 1960 giocava un altro campionato, ma è evidente che coniugare il verbo rockare con la sua coniugazione non è cosa semplice.

cuori in affitto

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Il signor Risso ha solo una cosa in comune con il signor Garaventa: lo stesso inquilino per i rispettivi appartamenti in affitto, in tempi diversi ma so che con i miei lettori non è il caso di specificarlo. L’individuo in questione ha dapprima abitato nel monolocale di Risso e poi, mosso dall’esigenza di poter disporre di più spazio, si è trasferito nella casa che fa parte dei possedimenti del secondo. Un quinto piano con due camere da letto, cucina abitabile e una bella sala. Per il resto sono due proprietari di immobili completamente diversi, soprattutto per le posizioni sul matrimonio. Risso non perde occasione di consigliare al suo locatario di non sposarsi mai. Vive con la moglie ma ha una figlia adulta, la suocera e una cognata rimasta vedova in accollo, e possiamo capirlo. Garaventa invece ha qualche problema con la prostata e quando deve soprintendere ai lavori di ordinaria manutenzione del monolocale – ogni volta ce n’è una nuova, ma non si può pretendere troppo da un edificio di epoca medievale se non risolvere alla fonte il problema e cioè spianarlo per far posto a una palazzina con tutti i crismi della modernità alla faccia delle belle arti – approfitta del bagno, lo vede conciato come la latrina di un centro sociale e chiede al suo inquilino che cosa aspetti a dotarsi di una moglie a disposizione, immagino sottintenda per pulire il cesso. Una trama che si risolve ventitré anni dopo, come nel film “Interstellar”. Il nostro cuore in affitto ha comprato casa e ha imparato a fare pipì seduto sull’asse come fanno le ragazze, così non rischia di sporcare e che moglie e figlia giustamente si incazzino per la mancanza di rispetto. Quella sera d’estate danno “Interstellar” su Italia 1 ma dentro al televisore, al posto di Matthew McConaughey e Matt Damon, ci sono il signor Risso e il signor Garaventa che vogliono che qualcuno che sta guardando il film decodifichi un messaggio, una serie di coordinate che confermano che è fuori dal tempo e da qualunque dimensione seguire un qualsiasi film, nel 2021, su Italia 1, con tutte le piattaforme di streaming che ci sono al mondo. Perché si ostinano a trasmettere film? Ogni cinque minuti parte un’interruzione pubblicitaria e se già di “Interstellar” non si capisce un cazzo di certo, tutto questo tira e molla, non aiuta.

non toccarsi occhi naso e bocca con le mani

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Che le cose vanno meglio lo si capisce dal fatto che sono tornati gli spot in cui consigliano di leccarsi le dita.

the waiting room – S1E1

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In un presente distopico che non ha nulla da invidiare a un futuro ucronico ci troviamo nella città di Watts, Massachusetts, nella quale, durante il Covid, sono triplicati i casi di specchietti retrovisori per automobili in cui ciò che si vede durante la guida non corrisponde affatto alla verità. Il rischio è evidente: abbandonando un parcheggio non è detto che quando sembra via libera si possa davvero occupare la corsia o la carreggiata di marcia. Una formazione di terroristi informatici russi al soldo dell’ormai dilagante asse ispirato ai movimenti nazionalisti europei ha hackerato il sistema di controllo elettronico delle automobili più vendute in occidente, lo stesso che, nei casi più estremi e sofisticati, consente la guida automatica del veicolo senza pilota. Lo scenario che ne risulta è a dir poco apocalittico. Un virus consente infatti di proiettare negli specchietti il risultato della ripresa della stessa porzione di spazio di qualche ora dopo il passaggio dell’autovettura, con l’aggiunta di inserti di realtà aumentata. La sicurezza dei cittadini è in pericolo, per non parlare dell’economia mondiale. Ted Crowner, programmatore informatico in una multinazionale del settore delle assicurazioni, si sta aggiornando sulla trama di questa nuova serie in attesa del suo turno dall’ortopedico dando un’occhiata alla pagina culturale di una rivista di gossip che comprende, come tutte, una rubrica dedicata ai programmi tv della settimana ricca di anticipazioni. Da nessuna parte c’è scritto però che il dottore presso il quale ha prenotato una visita è uno dei più richiesti a causa della sua straordinaria somiglianza con David Bowie anche se è evidente che, nel caso questo plot twist riesca a diventare il momento topico della nuova stagione della serie sugli specchietti retrovisori grazie a un post di uno dei più letti blogger italiani di trame inventate, sarà difficile individuare un attore all’altezza, almeno così si legge sulla rivista. Ted si trova lì per un problema ai piedi da risolvere e il dottor Bowie, chiamiamolo così, sta attraversando la fase della sua vita che lo farà diventare il luminare che conosciamo tutti. Il suo specchietto funziona bene, al momento, e si è appena iscritto al corso di specializzazione a Berlino, quello grazie al quale pubblicherà i tre saggi più importanti della sua carriera. Ora ha i capelli rosso mogano e sta lavorando alla sua tesi che, purtroppo per Ted, non riguarda le malformazioni degli arti inferiori tantomeno un sistema di protezione informatica per le automobili. Non c’è dubbio che il dottor Bowie ha qualcosa a che fare con la serie e che Ted, in qualche modo, ne sarà il protagonista. Il nostro eroe in potenza si appresta a saperne di più ma è arrivato il suo turno ed è un peccato perché, per come è iniziata, chissà cosa può succedere dopo.

la maglietta dei Guns e altre storie

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Marta ha esordito nella storia del rock indossando una t-shirt dei Guns N’ Roses al saggio finale di musica della secondaria. Era l’anno del Covid ma maggio era già agli sgoccioli, come la pandemia, e grazie alle vaccinazioni si intravedeva la salvezza a partire da lì, una specie di aula magna pensata per gli spettacoli e i collegi docenti con una classe per volta sul palco e un genitore a testa per alunno seduto nei banchi a rotelle passati alla storia per esser stati un vero e proprio fenomeno di costume. Meglio di niente. L’anno precedente era stato impossibile, dicono i libri. Quella volta, invece, era stato deciso persino l’outfit a garantire uniformità tra i ragazzi e consisteva in una maglietta bianca, jeans e calzature sportive. Che poi, sulla t-shirt, ci fosse un’illustrazione dozzinale da fast fashion o il logo di un gruppo rock, probabilmente quello preferito da papà e mamma, non avrebbe cambiato granché. Anch’io avrei fatto così, di certo non con un band così tamarra ma magari con la copertina di “Substance” dei New Order, che poi alla fine non metto mai perché di base non mi piacciono le magliette bianche. Ma nemmeno le camicie.

Sembra l’inizio di un romanzo ma in realtà è un evento che hanno organizzato nella mia scuola. Ho fatto la mia parte occupandomi delle riprese video, anche se con attrezzatura giocattolo. Ho piazzato una Legria – della cui esistenza nessuno era a conoscenza, l’ho trovata ancora imballata in magazzino – su un piedistallo per avere un’inquadratura fissa e poi mi sono mosso con il telefono per cercare di riprendere tutti. Potete immaginare come fosse stipato il palco: più di venti studenti, ciascuno con un metallofono, un vibrafono, una marimba o una tastiera. A quelli meno portati per la musica il prof ha messo in mano uno strumento a percussione e così gli è stato possibile contribuire con il loro apporto grazie a un insegnante di sostegno dedicato. Nel montaggio cercherò di farli sembrare a tempo con il pezzo. Sono riuscito a cogliere persino un close-up di uno di questi che doveva suonare solo un colpo di gong a fine del brano, spero che la scena sia rimasta bene.

Il repertorio ha compreso alcune canzoni conosciute in una riduzione strumentale. Sopra una base resa da una di quelle tastiere con l’arranger (il collega è diplomato in percussioni ma vanta come me una carriera nel pianobar) i ragazzi riproducevano la melodia con quanto avevano a disposizione. Anna, una delle collaboratrici, l’ho sorpresa a ballare “Sarà perché ti amo” e a piangere sulla musica di Titanic. Anche io mi sono commosso, in qualche frangente. C’era anche Davide, che è alle medie ormai da cinque anni avendo ripetuto due volte prima e seconda. Davide è più alto di me e sembra un ventenne, ma lo scambieresti per un adulto anche se non si trovasse in mezzo a ragazzini come quelli. Sentivo i colleghi che discutevano sul fatto di non ammetterlo all’esame, anche quest’anno non è stato all’altezza delle richieste. Ringrazio il cielo di insegnare alla primaria, dove fermare i bambini è pura follia. Secondo me lo è anche per la secondaria e per le superiori, tanto poi ci saranno già il lavoro, la fortuna e le persone a fare tutte le selezioni del caso. La famosa università della vita. Comunque non ho risparmiato inquadrature a Marta, la ragazza con la maglietta dei Guns. Indossarla in una situazione come quella ha un significato che spero abbiate colto anche voi.

disimparare

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Non metto più le mani con assiduità su uno strumento musicale a tastiera da dieci anni. Così succede che quando me ne trovo uno in prossimità scoperchiato, acceso o collegato a un impianto mi viene da posizionare le dita pronte a suonare un accordo complesso con settima, nona, undicesima e via dicendo distribuito insieme alle altre note tra le due mani, proprio come mi insegnava il mio maestro di jazz, e vedere l’effetto che genera. Se il suono che ne esce ricorda il pianoforte mi precipito con la mano sinistra a riprodurre la parte di basso di “So What?” di Miles Davis e la relativa risposta corale con entrambe le mani. Ultimamente però faccio sempre più fatica a eseguire questa manciata di note in modo corretto. La stessa pressione sui tasti varia da dito a dito, per non parlare della precisione e la difficoltà ad arrivare alla sedicesima battuta senza nemmeno aver urtato una nota che non c’entra. Suonare non è come andare in bici o nuotare. Purtroppo è una pratica che, appunto senza praticarla, si disimpara. Somiglia di più allo sport, al latino, al sesso. La tastiera di un pianoforte è lunghissima ed esercita un fascino indescrivibile, ma la consapevolezza di non essere più in grado di controllarla è frustrante. E non è facile rimettersi in sesto. Anche le dita, come la testa, arrugginiscono.