rimborsa gli amici per la cena in pochi secondi

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Ho visto questa pubblicità su Facebook ed è un peccato che PayPal non esistesse prima, quando crescevo in Liguria e pagare alla romana era il male assoluto.

in cattedra

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Avete presente quelli che hanno figli e dicono a quelli che non hanno figli che non possono capire perché non sono genitori? Non c’è preambolo migliore a sostegno della mia tesi, e cioè che non c’è nulla che riempia più la vita della scuola e, ve lo assicuro, se non siete insegnanti non potete capire. Questo non vuol dire che un docente non abbia la sua famiglia, la sua vita privata, la sua collezione di dischi in vinile e il suo gatto, rigorosamente in ordine di priorità. Però farsi carico della serenità di tutti quei bambini per mesi e mesi che poi d’improvviso puff, spariscono tutti nelle loro seconde case al mare o in montagna, è un’esperienza un po’ così così. Anzi, per certi versi ingiusta. Quest’anno, per rendermi conto se un po’ di continuità emotiva possa essere la soluzione di questo rapporto sentimentale a singhiozzo, ho dato la disponibilità per il Piano Estate, che è quella cosa a cui un insegnante come si deve non avrebbe mai dovuto dare il suo consenso perché le scuole cadono a pezzi, c’è carenza di organico, ero rimasto senza benzina, avevo una gomma a terra, non avevo i soldi per prendere il taxi, la tintoria non mi aveva portato il tight, c’era il funerale di mia madre, era crollata la casa, c’è stato un terremoto, una tremenda inondazione, le cavallette!

A parte le battute, il Piano Estate sta alla scuola come la scappatella agostana sta a quando la moglie è in vacanza. Scaturisce un flirt didattico con classi eterogenee che non sono le tue, da cui ci si può lasciar sedurre e abbandonare al termine di quest’iniziativa così raffazzonata che poi alla fine, guarda un po’, si è rivelata una figata senza precedenti. Insegnare quello che ci pare e nel modo che ci pare a ragazze e ragazzi che partecipano per scelta senza l’assillo del programma e della valutazione. Ma che razza di scuola è, diranno i puristi e quelli dei compiti delle vacanze a sentire la brezza marina. Certo, le aule non hanno l’aria condizionata e spaccarsi di eritemi sul bagnasciuga non ha eguali. Chissà che cosa resterà di questi corsi di teatro, di musica leggera, di WordPress, di comunicazione ai ragazzi. Io sono fiducioso e poi, si sa, chiodo scaccia chiodo. A settembre tornerò fedele ai miei bambini, ve lo giuro.

al momento solo il marito

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In questi giorni, 35 anni fa, i The Smiths – o gli Smiths, come diciamo noi anche se qualcuno sostiene che non sia corretto – pubblicavano “The Queen Is Dead”. Stavo sveglio per ascoltare Rai Stereonotte e così, proprio in una notte di quelle notti folli, giovani e in stereofonia, mi piace pensare proprio in quella del 16 giugno dell’86, hanno messo la title track che è un pezzo straordinario, forse il più bello di tutto il disco. Ma no, è molto meglio “Bigmouth Strikes Again”, quante volte l’abbiamo ballato nella nostra vita? A pensarci bene, forse il brano più significativo è “There Is a Light That Never Goes Out”, che poi è la canzone di sicuro più conosciuta della band di Morrissey. Ma vogliamo parlare di “The Boy with the Thorn in His Side” o della poesia di “I Know It’s Over”, anche se in realtà è molto più iconica l’irriverente “Vicar in a tutu”? E allora “Cemetry Gates”? Sono sicuro che sia quella la traccia più ascoltata del disco e fa a gara con “Frankly, Mr. Shankly”. No, ragazzi, non c’è storia: la struggente “Never Had No One Ever” le batte tutte. Eppure, c’è chi non smetterebbe mai di mettere “Some Girls Are Bigger Than Others”. Aspetta, vuoi forse dire che è tutto il disco a essere pazzesco?

sballo

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Ci sono spot televisivi in cui si vedono persone che ballano l’esperienza che il prodotto o il servizio che commercializzano è in grado di suscitare al consumatore. Non mi riferisco a jingle cantati e ballati da qualcuno, come il passo del Pinguì o si con riso (ma senza lattosio), piuttosto a trame in cui i protagonisti si muovono dando prova di quello che accade all’acquirente con ciò che viene pubblicizzato. Ne ho visti molti, negli anni, ma al momento mi vengono in mente solo due esempi di quello che intendo. Lo spot di Repower con la parodia degli Snap

e la recente pubblicità di Trovaprezzi

La trovo una forma piuttosto ingenua di marketing ma molto efficace che va dritto al cuore della questione: se mangi/bevi/compri questo, ti succede quest’altro ma non te lo racconto in modo didascalico, come Redbull ti mette le ali e poi c’è qualcuno che si alza in volo, per intenderci. Senza contare che poi c’è qualcuno che, con queste pubblicità, davvero si sente così, come quello di Facile.it

barriera

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In un futuro prossimo, in un bel mix bilanciato tra distopia e ucronia, la gente ne ha due coglioni così del calcio come lo conosciamo noi spettatori degli Europei 2020 e la FIFA, per dare un po’ di brio al gioco e non perdere sponsor a causa della disaffezione dei tifosi, cambia alcune regole. Si riuniscono i più importanti dirigenti, gli allenatori più blasonati, i calciatori più forti e i vertici delle tifoserie e stabiliscono che, da quel momento in poi, l’autogol cambia la prospettiva delle partite e la rete realizzata viene conteggiata a favore della squadra che l’ha subita. In poche parole, i giocatori possono segnare sia nella porta della compagine avversaria che nella propria. Succede così che l’obiettivo dei calciatori è, allo stesso tempo, fare gol come hanno sempre fatto, cercare di realizzare nella propria porta (in questo caso il portiere si fa da parte per lasciare passare la palla), e impedire che la squadra avversaria realizzi un autogol perché, nel caso, aumenterebbe il proprio punteggio. Le azioni possono quindi svilupparsi in un senso o in un altro e i portieri devono prestare attenzione a chi tira: se è un compagno di squadra meglio stare immobili, se è un avversario respingere il pallone in modo da favorire i propri difensori affinché segnino nella propria porta. Lo slancio difensivo per un contropiede altrui può trasformarsi, dopo aver intercettato la palla, in un’azione di autogol. Una seconda regola riguarda invece l’arbitro che è tenuto a usare lo spray per delimitare l’esatta posizione di un calcio piazzato a seguito di un fallo in modo creativo. Sarà compito del VAR valutare la bellezza dell’opera dipinta in bianco sul prato intorno al punto da cui dovrà essere battuto il calcio di punizione e a conferire quanti gol meriti il direttore di gara. L’arbitro assurgerà al ruolo di terza squadra vera e propria e, in caso di punteggio superiore alle due sfidanti, potrà aggiudicarsi l’incontro.

problemi di stagione

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“Signor maestro, che le salta in mente?
Questo problema è un’astruseria,
non ci si capisce niente:
trovate il perimetro dell’allegria,
la superficie della libertà,
il volume della felicità.

Quest’altro poi
è un po’ troppo difficile per noi:
quanto pesa una corsa in mezzo ai prati?
Saremo certo bocciati”.

Ma il maestro che ci vede sconsolati:
“Son semplici problemi di stagione.
Durante le vacanze
troverete la soluzione.

Gianni Rodari

non è un buco plofondo

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Il bullone, dico. Non è un buco plofondo plofondo, come sostiene una di quelle battute che si fanno alle elementari. Il bullone è un essere superiore, un demiurgo, una semi divinità depositaria, come la vite, di un segreto ancestrale quando la meccanica. Da che parte si allenta? E da quale si stringe? Al cospetto del bullone ci devo sempre pensare un po’. E come faccio con tutti i problemi più grandi di me, che poi sono quasi tutti i problemi, provo qualche tentativo correndo il rischio di stringerlo ancora di più nel caso inverta il senso di avvitamento con quello opposto.

Ci sono bulloni che, comunque, non si lasciano mai prendere per il verso giusto e restano lì immobili fino a quando non interviene il loro oracolo certificato, il maschio alfa, con una cerimonia ufficiale. L’oracolo dei bulloni ha gli strumenti giusti e i bulloni, al cospetto dell’autorità, cedono.

I bulloni che siedono nei più alti scranni dell’olimpo della meccanica sono quelli delle ruote dell’auto. La chiave che i produttori di veicoli ti mettono a disposizione con la ruota di scorta è un simulacro dell’attrezzo giusto utile per smollare i bulloni per sostituire il pneumatico con una vite conficcata dentro in una domenica pomeriggio di giugno con 34 gradi. In realtà la chiave è come un’icona sacra, una rappresentazione della divinità. Ti ricorda che solo l’oracolo del bullone maschio alfa custodisce il vero strumento che occorre per montare il ruotino al posto della gomma sgonfia, giusto per il tempo di guidare l’auto dal gommista e spendere altri 140 euro per sostituire entrambe le gomme che avevi appena cambiato per la revisione. Perché non si può circolare con un pneumatico diverso dall’altro, lo sapevate? Ma allora perché al mondo non si produce un solo tipo di texture, passatemi il termine, così da poter risparmiare sui costi e non sprecare la ruota sana della coppia?

L’oracolo maschio alfa officia il rito con quell’avvivatore-svitatore che custodisce in una teca nel box, quello da veri gommisti. Il tempo di premere quattro volte e i quattro bulloni vengono via. Poi estrae la ruota forata con le mani coperte da guanti monouso. Poi incastra il ruotino di scorta. Poi posiziona le quattro divinità bullonesche, preme altre quattro volte l’avvitatore-svitatore, e il miracolo si compie, senza nemmeno un filo di grasso sotto le unghie.

I blasfemi, quelli che si attirano l’ira degli dei, non indossano i guanti monouso e si sporcano le mani – perché non c’è niente di più zozzo di una ruota della macchina – e poi si spaccano la schiena ad allentare i bulloni fino a quando ci salgono sopra con il piede e sfruttano il peso del corpo con eguale rischio, comunque, di farsi male. Oggi ho fatto proprio così. Ma il mio intento non era quello di sfidare le divinità, credetemi. Volevo solo sentirmi un po’ maschio alfa di domenica pomeriggio, quando non c’è nessuno che guarda. Comunque il bullone si allenta ruotando in senso anti-orario e si stringe ruotando in senso orario. Terzo segreto svelato.

re del silenzio

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La collega che sedeva nella postazione proprio accanto alla mia, nell’agenzia di comunicazione in cui lavoravo prima di fare l’insegnante, aveva questa suoneria qui e riceveva diverse telefonate al giorno.

black midi – cavalcade

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Immaginate di approcciare una ragazza. «Ehi ciao, hai sentito il nuovo singolo dei Black Midi? S’intitola Chondromalacia Patella». Se vi va di sfiga e la tipa mastica il latino, avete appena servito su un piatto d’argento la migliore scusa per farvi rilasciare un due di picche da manuale. «Si dice Chondromalacia Patellae, è un genitivo della prima declinazione». Ma anche se siete fuori target per chi ha fatto il liceo o si è laureato in medicina, quale appeal pensate possa avere un tentativo che sottende un non-detto del tipo «Vuoi salire da me a vedere la mia collezione di dischi di prog-jazz»?. «No guarda, non posso, sto andando a sentire un amico che suona in una tribute band dei Måneskin».

Insomma, sembra che nel 2021 ci siano tutti i presupposti affinché ritorni in auge una dinamica antica quanto il rock, in grado di minare la vita sociale dei consumatori di musica leggera. La mia generazione è piena di appassionati di musica considerati da adolescenti degli sfigati perché legati ai retaggi dell’Elektric Band o dei Weather Report mentre tutto il mondo si spostava sotto il palco dei Duran Duran. Corsi e ricorsi storici. E così, oggi, “Cavalcade” è un nuovo esempio di quei dischi da ascoltare da soli, chiusi in casa, e di cui è meglio ometterne il possesso con gli amici per non destare preoccupazioni, per non parlare di chi è riuscito a mettere le mani sulla versione a tiratura limitata comprensiva dei flexi-45 giri con i rifacimenti – alla Black Midi – di canzoni che spaziano da Taylor Swift ai King Crimson.

Il fatto è che è impossibile non mettere a confronto “Cavalcade” con “Schlagenheim”, sarebbe ingiusto verso tutte le band che esplodono con un disco d’esordio epocale e poi si cimentano con il secondo album, universalmente riconosciuto come il più difficile della carriera. Il primo lavoro dei Black Midi poteva infatti essere frainteso come un disco da sfigati di cui sopra, ma la significativa componente post-punk, frutto di un “cantato” (cantato molto tra virgolette) degno di John Lydon con i PIL, riportava l’album in quota musica sì di nicchia ma da alternativi fighi. Non caso, “Schlagenheim” ha fatto piazza pulita della concorrenza nelle classifiche del 2019.

Nel frattempo, il chitarrista Matt Kwasniewski-Kelvin si è preso una pausa per problemi di salute e il suono della band di South London si è arricchito (ma qualcuno dice appesantito) di cose come il sax e violino. In più, il retrogusto no-wave ha lasciato spazio a qualche scelta di maniera alla funky-noise-Primus, per capirci, spostando il baricentro verso la tecnica a scapito dell’estro, il che cambia sicuramente le carte in tavola e obbliga l’acquirente a sintonizzare meglio la predisposizione all’ascolto.

Ma non è solo questo il plot twist di “Cavalcade”, considerando che nel disco trovano spazio anche il mood da Burt Bacharach di “Marlene Dietrich”, la fusion un po’ fighetta di “Slow”, il corpo sinfonico di “Diamond Stuff”, il prog di “Ascending Forth”. Il disco va seguito lungo uno slalom stilistico che, aggiunto alle traiettorie strampalate dovute ai continui stop and go, salti di tempo e cambi di riff, porta l’esperienza a un appagante stremo fino a un epilogo felicemente estenuante. Si fatica ma la sensazione finale è piacevole, come quando si supera a pieni voti un esame laboriosissimo o quando si rientra dopo un allenamento super-intenso e fanno male tutti i muscoli.

Se è vero che, a fare le cose un po’ improvvisate e di pancia come in “Schlagenheim” i Black Midi avrebbero corso il rischio di annoiarsi (lo dicono loro, eh), il proposito di affrontare lo sforzo compositivo con maggior rigore e più testa questa volta di sicuro è stato rispettato. L’indiscutibile varietà di atmosfere di cui si pervade il disco va così a colmare proprio quella lacuna di genuinità che si riscontra sovrapponendo i due primi capitoli della band di Geordie Greep. Nell’insieme, comunque, “Cavalcade” resta un’opera monumentale e lascia l’impressione che sia solo il preludio di qualcosa di ancora più estremo.

mare profumo di mare

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C’era una fabbrica, proprio lì, a coprire la vista del lungomare. Ma c’erano anche delle scalette, un sottopasso, e una rampa finale e dopo finalmente gli scogli e l’acqua e persino la foce di un torrente. Quel passaggio mia mamma l’ha percorso ogni giorno per più volte al giorno, da bambina e da ragazza, per godersi il mare. Poi la fabbrica è stata dismessa e demolita e al suo posto hanno costruito dei giardini, di certo più adatti a un contesto balneare. Nel frattempo mia madre è andata a vivere un po’ più distante, poi ha conosciuto mio papà, siamo nati noi e anche per me, da ragazzo, quello sbocco sul mare, che è rimasto lì ma con una diversa conformazione, è risultato decisamente comodo. Abbastanza vicino per fare un bagno al volo, fumare una sigaretta al sole, asciugarsi e tornare sui libri.

Quella spiaggia aveva perso però tutto il suo fascino che deve aver suscitato a mia mamma quando era ragazza, forse perché quando c’era la fabbrica la gente aveva meno pretese. Una sabbia con la consistenza della terra aveva preso il posto degli scogli e la foce del torrente somigliava sempre più a una discarica. È accaduto lì che ho conosciuto una famiglia che, ogni giorno, partiva da Torino in macchina per recarsi al mare. Ogni giorno d’estate sempre lì con ombrellone, pranzi al sacco, teli da mare, tavolino e sedie da spiaggia. Una madre con due ragazzini e una bimba più piccola. Ricordo di aver acceso una sigaretta, uscito dall’acqua, e di aver fatto due conti. Autostrada, benzina e consumi per i viaggi di andata e di ritorno costano meno di una mezza pensione per quattro persone. Ma non mi tornava il motivo per cui fare tutta quella fatica quotidiana per trascorrere del tempo in un posto così brutto. Sarebbe bastato qualche chilometro in più per godersi degli scorci incantevoli.

Quella spiaggia era frequentata anche da bagnanti provenienti dalla campagna circostante. Era facile riconoscerli dopo, in attesa del treno a fine giornata. Le facce scottate dal sole e dalla vita. Gli occhi che dicevano che avrebbero preferito nascere lì, in quella città con i passaggi che portano sulla spiaggia, senza dover prendere il treno in estate da una località di mare per fare rientro, alla sera, in un paese dell’entroterra.