Ci sono due o tre cose che dovete sapere della scuola in cui insegno. La prima è che la nuova coordinatrice di plesso abita nella casa che ha l’ingresso di fronte al cancello principale, ride sempre quando le chiedo se ha trovato coda per recarsi al lavoro e sono certo che apprezzi la boutade da vecchio rincoglionito boomer anche se non fossi il vicepreside, non sono uno di quei tipi con la tempra del capo che bisogna ingraziarseli con il consenso. Semmai con il cibo. Oggi era il primo giorno di scuola e ci ha fatto trovare una torta spaziale in sala docenti, già tagliata a quadrotti e accompagnata da un augurio di buon inizio, scritto a mano. Sotto il messaggio si è premurata di aggiungere persino gli ingredienti e, se non ho letto male, ha seguito una ricetta inclusiva per i colleghi affetti dalle più comuni allergie alimentari.
Una nota di merito anche per il giovane maestro a cui scrocco le sigarette nei momenti di tensione ed è per questo che ho appena comprato due pacchetti per non sentirmi in colpa, di cui gli farò dono domattina. Non sono un fumatore, lo sono stato, ma ogni tanto sento il bisogno di fare due tiri perché mi rilassa. Questa mattina, per dire, ho accolto la mia nuova prima, un nuovo primo giorno di scuola che mi ha ispirato una considerazione. Converrete con me che la vita è un susseguirsi di momenti che affrontiamo da soli o accompagnati e/o circondati da persone che abbiamo o non abbiamo scelto noi. Avete capito cosa intendo. Non possiamo scegliere i genitori e le sorelle perché qualcuno o qualcosa, ad un certo punto dei miliardi di miliardi di anni lungo i quali si protrae la storia dell’universo, decide di proiettarci in un nucleo famigliare a cui, fino a una certa età, diamo per scontato di appartenere, fino a quando diventa lecito mettere in dubbio l’opportunità (che non è proprio il termine che intendo ma al momento è il più vicino al concetto che voglio passarvi) di sentirsene membro. Ci sono poi le situazioni di cui siamo responsabili a partire dalla propria, di famiglia, anche se per i figli vale in parte lo stesso discorso di prima, a cui si aggiungono una moltitudine di agglomerati umani provvisori, passatemi il termine, di cui in qualche modo e almeno in piccola parte costituiamo una componente strutturale, altrimenti ce ne saremmo già liberati senza pensarci tanto su. Infine, ecco la maggior parte dei casi in cui siamo costretti tra gente che non abbiamo potuto scegliere. Pensate al condominio, ai lunghi viaggi sui mezzi pubblici, ai colleghi in ufficio e, per chi lavora nella scuola primaria, alle classi a cui veniamo abbinati a ogni inizio di ciclo.
Le schede di raccordo che ci sottopongono le colleghe della scuola dell’infanzia non sono di aiuto. Io le ho lette e rilette decine di volte, nei pochi giorni di preparazione al nuovo inizio, ma oggi, al cospetto dei bambini che vi sono descritti e che vedrò quotidianamente per i prossimi cinque anni, tutte le informazioni puf, si sono volatilizzate come un control-c e un blackout prima di un control-v qualunque in un pc senza batteria, poco dopo il primo intervallo.
Le classi difficili costituiscono le vere sfide per gli insegnanti quelli veri, ed è forse per questo che la prima cosa che ho detto, quando all’uscita il mio collega mi ha offerto l’ennesima sigaretta, è stata “richiesta di trasferimento”. Ho trascorso la seconda metà della mattina a mettere in piedi un moccioso che ha continuato a manifestare il suo dissenso alla scuola borghese e gentiliana gettandosi sul pavimento per poi, una volta costretto alla posizione riconducibile a quella eretta, precipitarsi fuori dall’aula.
A un’altra, stiamo parlando di nanetti di sei anni, la mamma ha riempito lo zaino di tutto il materiale necessario per i prossimi mesi di tutte le materie – otto quaderni, due astucci, la cartelletta per i disegni – ma senza lasciarle la merenda. Fortunatamente nessuno della classe ha pianto ma, per esperienza, so che il vero choc da distacco si presenza dopo una decina giorni, quando risulta inconfutabile che la scuola, quella vera, quella in cui non si gioca e non si fa il pisolino dopo pranzo, è cominciata e si protrarrà fino a quando quello che si getta in terra e quella che è costretta a portare venti kg di materiale scolastico per disattenzione dei genitori sulla schiena, non prenderanno la patente di guida. Buon lavoro, lo auguro a me stesso e a tutti i colleghi che iniziano un nuovo ciclo. Buon lavoro.