A scuola da me ci sono due sorelle senegalesi che sono spettacolari. La grande frequenta la quinta ed è una delle ragazzine più solari e belle che abbia mai visto. La piccola è una mia alunna ed è tenerissima. Non so se è a causa dei suoi lineamenti ma quando mi guarda è come se dovesse farmi una di quelle domande che mettono in difficoltà gli insegnanti. Ha un modo di esprimere la gioia indecifrabile. Tiene lo sguardo basso e non riesco a capire se sia soddisfatta oppure se sta smaltendo un torto. Ha anche un senso della scansione del tempo tutto suo. Se mi chiede “maestro, quando ascoltiamo le nostre canzoni preferite?” devo risponderle con esattezza, i giorno, l’ora e il minuto. Perché se sto sul vago e dico cose tipo “più avanti, quando abbiamo un po’ di tempo tra un’attività e l’altra” lei, poco prima che suoni la campanella, mi rimprovera amorevolmente dicendo “ma maestro avevi detto che più avanti avremmo ascoltato le nostre canzoni preferite”, e a quel punto aggiustare una situazione così compromessa è impossibile. Scrive i numeri esondando abbondantemente dagli argini dei quadretti grandi ma io la lascio fare perché la sua grafia riflette in pieno la sua personalità. Ho fatto qualche supplenza alla sorella grande lo scorso anno, e sono stato molto felice di esser stato assegnato alla classe della più piccola. I suoi racconti sono originalissimi. Gioca a calcio, ha chiesto in regalo una specie di pistola giocattolo che è di moda in questo periodo tra i bambini, e dice di esser stata in uno di quei posti dove paghi per spaccare tutto. Mi ha anche raccontato che la sorella grande dice che io sono un genio. Il genio della scuola, mi chiama. Forse perché faccio sempre ripartire i computer delle classi quando le colleghe non sanno che pesci pigliare. Ecco, devo ammettere che genio proprio non me l’aveva detto mai nessuno.
questione primaria
scuola tropicale
StandardCi sono certe scuole che sono un inferno. La mia sembra più una serra e sono convinto che se facessimo gli esperimenti di scienze con i semi nel cotone l’istituto si trasformerebbe in un’enclave amazzonica. La temperatura in classe ha dell’assurdo, considerando che fuori in questi giorni la massima non supera i due gradi e, la mattina, sulle auto ci sono certi lastroni di ghiaccio che al posto del grattino ci vorrebbe il lanciafiamme. Risulta persino difficile insegnare la differenza tra le stagioni, almeno quelle che abbiamo conosciuto noi prima che il clima precipitasse. Questo perché già da un paio di giorni prima che si potessero accendere i caloriferi si vedeva in giardino la caldaia fumare e da lì abbiamo subito un’escalation di caldo che, in natura, esiste ma solo a latitudini piuttosto distanti dalla nostra, anche oggi in cui siamo in pieno global warming. I bambini stanno in maglietta e anche io, che sudo come un maiale, ammesso che i maiali sudino, sono ridotto a rinunciare al cambio degli armadi, anche se possiedo quattro stracci. Da quando faccio l’insegnante non ho messo più un maglione di lana. Anche le calze che indosso sono le stesse che metto in estate sotto le sneakers. Addio velluto, addio cashmere, addio camicie di flanella. L’outfit per questo luglio indoor perenne è t-shirt, al massimo maglia di cotone, jeans o pantalone cargo leggero, scarpa primaverile. Il problema sono quei cinquanta metri all’aperto che separano l’ingresso della scuola dal parcheggio, ma con un buon giaccone pesante si ovviano tutti i rischi del mancato acclimatamento. Peccato che il personale ATA, nelle ore in cui siede in corridoio a controllare Facebook, lamenta di provare freddo a stare fermo e, malgrado il clima tropicale, sfoggia diversi strati di pile e scaldacollo multicolore. I bambini sono i primi a soffrire il disagio dell’eccessiva temperatura. A metà pomeriggio sono paonazzi ed è tutto un “maestro ho mal di testa”. Anche con le famigerate termovalvole a zero la cosa non cambia. Aprire le finestre è sconsigliato perché il contrasto dentro-fuori potrebbe generare uragani atlantici o colpi d’aria letali. Non ho ancora compreso da dove nasca questa falsa credenza per cui a scuola debbano esserci più di venticinque gradi in inverno. I bambini si ammalano in centomila modi diversi e tenerli nel forno non serve a nulla. Semmai, è il freddo che preserva.
che cosa avete fatto nelle vacanze di natale
StandardOgni lunedì mattina, una volta confermato chi c’è e chi non c’è e annotato gli assenti sul registro elettronico, ritirati i buoni mensa, verificato chi non si ferma a pranzo, lette e firmate le eventuali comunicazioni dei genitori sul diario, mi siedo sulla cattedra come fanno gli insegnanti nei film americani, dico buongiorno a tutti e chiedo se qualcuno ha voglia di raccontare ai compagni e a me qualche particolare esperienza provata durante il weekend. Si tratta di un soggetto che meriterebbe un blog a sé, considerando che spesso a sei anni i bambini non hanno un senso della scansione cronologica in linea con gli standard di noi adulti, quando ce l’hanno è facile che non abbiano un vocabolario individuale tale da formulare aneddoti di senso compiuto, quando ci riescono non è detto che i coetanei ma anche gli insegnanti capiscano e quando riescono a spiegarsi talvolta la realtà si mescola alla fervida fantasia con un pizzico di voglia di non sfigurare rispetto alle narrazioni che hanno preceduto la loro. La gamma dei racconti comprende vette irraggiungibili come “ieri sono andato in Canada”, si snoda lungo i vari centri commerciali dell’hinterland per i più disparati acquisti fino a quello che diventerà nel giro di qualche secondo l’argomento più ambito, un’esperienza che parte dal fortunato che l’ha vissuta o se l’è inventata e, di bocca in bocca e di banco in banco, si ingigantisce di dimensioni, particolari, quantità, qualità, familiari e amici coinvolti, durata, spessore, follia, costo, rendita, visibilità e quant’altro tanto che, dopo una decina di varianti, è meglio darci un taglio e imporre l’inizio della lezione.
Domani ricomincia la scuola e riabbraccerò i miei bambini. Ci saranno le decorazioni natalizie da smantellare, il nome del mese sulla bacheca da sostituire e tante altre nuove routine da inizializzare. Il fatto è che il primo giorno dopo le vacanze di natale è la madre di tutti i lunedì, anche quando non è lunedì. Per rendere meno traumatica la ripresa della scuola mi siederò sulla cattedra e chiederò, sperando di non pentirmene, come sono andate queste vacanze. Con chi e dove le hanno trascorse. Che cosa hanno trovato sotto l’albero. Se hanno atteso la mezzanotte per vedere i fuochi d’artificio. Se la calza della befana era colma di dolci. Se hanno provato un po’ di nostalgia del nostro piccolo villaggio della prima B oppure se il loro cuore e la loro testa sono stati un’esclusiva della famiglia e delle gioie che le feste – e il trascorrerle a casa – hanno recato. Ascolterò le loro testimonianze strampalate e mi terrò pronta la mia risposta, qualora fossero così scaltri da girare a me la stessa domanda. Ho visto molti film, letto un paio di bei romanzi, mangiato e bevuto il giusto, il tutto accarezzando lo scorrere del tempo che, quando fai l’insegnante, non ti disperi poi così tanto se passa in fretta perché comunque, dal punto di vista emotivo, anche quando sei al lavoro un po’ è sempre una festa.
friday i’m in ferie
StandardNon importa il lavoro che fai. L’ultimo giorno prima di una pausa più lunga del solito ti lasci la sede in cui eserciti il tuo mestiere alla spalle consapevole che, nella foga di fuggire per rientrare al più presto dalla tua famiglia, hai dimenticato qualcosa. Il caricatore del telefono o l’alimentatore del pc. L’hard disk con dentro tutta la tua vita. Il libro di cui ti mancano cinque pagine per finirlo. Le chiavi di casa perché il mazzo contiene anche la chiavetta del distributore automatico e, preso da mille cose, dopo il caffè delle 10.30 non le hai rimesse al loro posto. Di certo non hai fatto gli auguri a tutti. A scuola, le colleghe più metodiche si fanno il giro delle classi per non dimenticarsi di nessuno anche se, a essere pignoli, in un ambiente professionale basato sui turni qualcuno di chi fa il pomeriggio e tu hai finito la mattina ti scapperà per forza. Io mi sono studiato la sequenza prima, proprio per non fare brutta figura. Mi sono accomiatato dalla prima in cui faccio poche ore con un augurio a pioggia rivolto a tutta la classe e ho baciato la collega che si accingeva a prendere il mio posto per le ore del pomeriggio. Quindi sono entrato nella mia classe dove ho raccolto con calma e sangue freddo tutte le mie cose, poi ho baciato la mia più stretta collaboratrice, ho raccomandato ai bambini di portare i miei auguri alle loro famiglie e di godersi il Natale il più possibile, poi ho baciato una bidella e una collega incontrata per caso nel corridoio, ho salito le scale fino al primo piano per baciare un’altra bidella, ho dato un’occhiata per accertarmi che non ci fosse nessun’altra a cui dire buone feste e ho attraversato il cancello dell’ingresso. In macchina c’era il solito silenzio, rotto dal ronzio che fiacca le mie orecchie sin dai tempi in cui suonavo punk industriale, e pioveva sul parabrezza. Ho pensato che sicuramente avevo dimenticato qualcosa ma ormai i giochi erano fatti. Non si torna più indietro, dopo aver fatto gli auguri a tutti. Si rompe un incantesimo ed è meglio lasciare le cose così.
buon natale in arabo egiziano
StandardQuando mi sento come se mi avessero messo le ganasce per auto alle gambe e non riesco più a camminare è perché S. mi si è abbarbicata addosso per abbracciarmi ma, essendo il divario di altezza incolmabile, al massimo riesce ad attaccarsi alla coscia. S. è egiziana e ha detto alla mamma che vuole più bene al maestro che a suo papà. Come biasimarla. Me lo ha detto la mamma stessa all’ultimo colloquio quindi posso assicurarvi che non rischio nulla. Mi segue come un’ombra quando non c’è da stare seduti al proprio posto e io mi muovo per la classe per fare quelle mille operazioni di manutenzione ordinaria e quotidiana dell’ambiente in cui i miei bambini sono costretti a trascorrere così tanto tempo. I nomi plastificati degli incaricati alla distribuzione dei libri da appiccicare con le puntine alla bacheca, le graffette nella pinzatrice che finisce sempre la carica quando manca solo una scheda da fissare, il disegno di una delle decine di casette colorate che si è staccato dalla finestra. Se non sto attento corro il rischio di calpestarla perché potete stare sicuri che mi sta dietro costantemente. Oggi ha portato un biglietto di auguri che ha preparato con la mamma, che è cara quanto lei. Un cartoncino verde piegato a metà con sopra incollata una delle creazioni a cui S. si dedica ogni giorno. Prende i fogli da stampante usati, li piega in mille modi e poi ritaglia dei buchi. Nella sua immaginazione sono maschere di mostri ma sembrano più schede perforate IBM. Ho aperto il biglietto e dentro c’era un Babbo Natale disegnato che tiene in mano una specie di pop-up che si apre, allargando il cartoncino, con il messaggio “Auguri”. Sotto c’era scritto che “anche se non festeggiamo il Natale vi facciamo tanti auguri di buone feste”. Un po’ mi è spiaciuto che il biglietto di S. fosse per tutto il team della mia prima perché avrei voluto portarmelo a casa. Anzi, domani faccio finta di niente e me lo metto nella mia borsa in cuoio da maestro vintage e lo tengo tra i miei cimeli di scuola, quelli che quando sarò vecchio mi faranno piangere. Ho pensato che la religione è una sola ed è quella che ci insegna la gentilezza. A Natale ma anche il 13 marzo o il 25 aprile o a ferragosto o durante qualsiasi ricorrenza di qualsiasi cosa in cui la gente creda. E poi chi se ne importa di che razza di festa è, per me la vera festeggiata è S. e domani, quando mi abbraccerà la coscia, la porterò a spasso per la classe così aggrappata, sono certo che si divertirà un mondo.
la terza famiglia
StandardA settembre Franca andrà in pensione. Ha iniziato a lavorare nella mia scuola nel 77 e, nonostante ciò, sembra non aver perso l’entusiasmo dei primi tempi in ciò che fa. Lo vedo nel modo in cui assembla ritagli di libri e fogli per mettere insieme una verifica di scienze, nemmeno fosse un’addetta alla fotocomposizione. Li dispone su un A4 bianco usando il nastro biadesivo e poi avvia la fotocopiatrice. Riesce a controllare il risultato parlando di aspetti molto toccanti del mestiere dell’insegnante. Dice che la scuola è una terza famiglia, immaginando una classifica ideale in cui al primo posto c’è la famiglia che ti fai e, al secondo, quella che ti ha dato i natali. Possiamo discutere sull’ordine in cui i gradini del podio sono occupati ma la sostanza, comunque, è quella. Sul tavolo della sala docenti ho i regalini che ci siamo scambiati insieme agli auguri di rito con i colleghi dell’interclasse. Una confezione di riso arborio impacchettata da una onlus, uno stappabottiglie, una saponetta, un pandorino, un piatto decorato. Io sono lì con il portatile acceso e un lettore di codici a barre a pistola in mano. Il venti dicembre scade il termine per la richiesta dei premi della campagna “Amici di scuola” dell’Esselunga e a gennaio l’omologa iniziativa della Coop grazie alle quali, lo scorso anno, ci siamo dotati di quattro nuovi portatili e cinque tablet. In pochi giorni ho caricato migliaia di punti nel sistema. Visto da fuori sembra proprio un quadretto domestico, una scena gremita di gente che si dà da fare spesso oltre i tempi stabiliti dal contratto. La terza famiglia è la più povera delle tre (considerando anche tutti i figli che ha in gestione) ma non per questo è meno foriera di soddisfazioni.
prendila con filosofia
StandardLa nuova prof di italiano e latino di mia figlia sembra essere un’insegnante molto esigente e, come dicono i ragazzi, stretta di voti. Il terzo anno del liceo classico – quello che una volta era il primo dopo il biennio ginnasiale – comporta un salto di qualità e, soprattutto, di quantità nella richiesta agli studenti. A questo corrisponde un’offerta didattica di altro livello rispetto al ciclo precedente.
Il docente di filosofia e storia, al contrario, sembra essere molto più accomodante e, per dirla con un termine di moda fuori e dentro i corridoi scolastici, inclusivo. Sfoggia un metodo innovativo basato sul confronto tra passato e presente volto a contestualizzare la filosofia antica alla modernità, applica la metodologia della classe capovolta e riconosce aspetti quali impegno, cultura generale, lessico, competenze di orientamento nello spazio e nel tempo storico con voti anche alti. Non che con lui non volino i due, eh. Siamo comunque sempre in una cattedrale della civiltà che ci ha dato i natali. Però riconosce l’esito positivo delle interrogazioni applicando la scala dei valori di valutazione nella sua quasi estensione. Se i voti vanno da zero a dieci, d’altronde, perché non usarli?
Ma non è questo il punto. Questo duplice – per non dire schizofrenico – aspetto della stessa offerta didattica in una sola classe mi ha fatto riflettere su un fatto. Se lavorate nella scuola o avete a che fare con l’istruzione sarete a conoscenza della mole di documentazione che i docenti sono chiamati a produrre. Da quando qualcuno ha deciso che la scuola doveva somigliare il più possibile a una qualsiasi altra organizzazione finalizzata alla produzione – nel nostro caso il sapere e il suo innesto nella scatola cranica dei ragazzi che la frequentano – gli operatori del settore producono un quantitativo di reportistica e documentazione che, in confronto, la certificazione della qualità di tutte le fasi di un processo industriale qualunque è un block notes con qualche pagina a quadretti scarabocchiata.
In realtà la reportistica e la documentazione che produciamo a scuola – sia in backend che in frontend – è tutta fuffa. Fingiamo di compilare pagine su pagine per descrivere quello che facciamo e le motivazioni per cui lo facciamo. In realtà non facciamo altro che copiare frasi fatte da modelli compilati su frasi fatte uscite da qualche commissione ministeriale che ha dato delle linee guida per avviare un processo di industrializzazione dell’attività di chi va in classe a insegnare. Avete mai letto i giudizi che scriviamo sulle pagelle dei vostri figli alla scuola primaria? Abbiamo dei file in Word con tutto pronto e dobbiamo solo scegliere le frasi più adatte per ogni nostro studente. Per farlo ci mettiamo molto più tempo che se dovessimo personalizzare i giudizi individualmente scrivendo cose sicuramente più sentite e interessanti per i genitori, ma questo metterebbe a rischio la nostra posizione perché comporterebbe il pericolo di allontanarsi dalle linee guida ministeriali e dal lessico tecnico del settore.
E il bello è che ci si vede ogni settimana, ci si confronta, si programmano persino le verifiche uguali per tutte le classi ma poi, e ne sono più che sicuro, ogni insegnante, suonata la campanella, fa quel che vuole. Con il risultato che non solo nello stesso liceo, ma nello stesso team della classe di mia figlia ci sono due prof che applicano metodi e criteri differenti, per non dire opposti. Pensate se in una fabbrica manifatturiera ogni operaio fosse libero di seguire il processo più consono alla sua indole. E non sono così sicuro che se a scuola ci fosse un responsabile didattico per ogni classe, o per ogni sezione, uno che deve assicurarsi che tutti seguano la stessa linea altrimenti è lui il primo a rischiare il posto – come un qualsiasi project manager di una qualunque azienda manifatturiera – si minerebbe la libertà di insegnamento e altre cose che tiriamo in ballo quando si cerca di fare un po’ di ordine nella scuola italiana. Che se, davvero, fosse la migliore del mondo, come si spiegherebbe che gli italiani sono messi così male?
strenne
StandardSono tutto elettrizzato perché, alla guida di una prima, riesco a propagare nell’atmosfera che mi circonda tutto l’entusiasmo per l’attesa del Natale che in casa mi tocca comprimere. So che potete capirmi perché sapete come funziona con figli ex-bambini che una strega cattiva ha condannato a un incantesimo trasformandoli in presuntuosi e antipatici quindicenni. I miei alunni, che a sei anni vivono nel pieno delle saghe infantili della slitta trainata dalle renne su cui viaggia Amazon Prime travestito da Santa Klaus, mi chiedono quanto manca a Natale da qualche settimana e ieri, a un mese esatto dal giorno più breve dell’anno (non è l’attesa del Natale essa stessa il Natale e meno male che è così perché, quando sei al grappino del pranzo con i parenti oramai il Natale è bello che finito), sono definitivamente entrati in modalità “It’s Christmas Time and there’s no need to be afraid”. Stavo pensando di comprare una specie di calendario dell’avvento che ho visto all’Esselunga a forma di albero con i numeri da 1 a 24 pinzati con delle mollettine e, considerando che siamo giusto arrivati al venti, in matematica, potrebbe essere in linea con il programma. La collega dell’altra prima andrà a fare incetta di stronzatine da Tiger per addobbare la classe e così, per non sentirmi da meno, e considerando che non mi era nemmeno passato per l’anticamera del cervello, ho deciso di copiarla di nascosto. Potrei osare una doppietta: sabato da Tiger e domenica all’Ikea. Il guaio è che non posso prendere lunedì di ferie per riprendermi, però potrei guadagnare almeno diecimila punti-marito da spendere andando a correre negli orari di punta del tempo-famiglia (la fascia da trascorrere obbligatoriamente insieme che va dalle sette del mattino alle dieci di sera) oppure passare un pomeriggio ad aggiornare il blog durante la visione della maratona “Grey’s Anatomy” alla tele.
Comincia anche il tempo dei presentini. Elisa mi ha regalato un braccialetto fatto da lei con quegli anellini di gomma che non so come si chiamano. La cosa mi ha fatto un piacere enorme perché Elisa, dopo le prime settimane sempre con il sorriso sdentato sulle labbra, è piombata in un’espressione da mestizia standard e non so davvero che pesci pigliare perché è davvero brava e ha dei genitori molto presenti. Temevo non sopportasse più le mie lezioni di matematica ma il braccialetto giocattolo mi ha fatto ricredere. Alissa invece mi ha portato un quadro. Una vera e propria tela, di quelle con intelaiatura in legno, tutta pitturata con disegni e scritte. Le ho chiesto se preferisse appenderlo in classe o se potevo portarlo a casa e ha scelto la prima opzione. La generosità dei miei bambini mi sorprende anche quando mi offrono parte della loro merenda senza che io gli faccia intendere che alle dieci e mezza, a quattro ore dalla prima colazione, sto svenendo dalla fame e non ho nemmeno un centesimo in moneta per ricaricare la chiavetta del distributore automatico. Qualcuno mi regala un tarallo, qualcun altro mi dà uno di quei biscotti ricoperti di cioccolato. Io faccio finta di niente e accetto ma lo faccio solo per non offenderli. E se c’è qualcuno con la merendina nell’involucro da scoppiare lo lascio fare e ridiamo tutti, anche perché il primo a dare il cattivo esempio sono stato io quella volta che Sofia aveva il plum-cake e mi ha chiesto di aiutarla. A casa lo faccio sempre e in classe mi è scappato. Quando succede a loro, dapprima lancio uno dei mie sguardi severi, poi mi ricordo che la colpa e mia e allora, mettendola sullo scherzo, gli dico che questa dei botti con le merendine deve rimanere un segreto tra alunni e maestro. E anche voi, vi prego, non ditelo a nessuno.
la seconda famiglia
StandardMia cognata fa la prof alle medie e mi redarguisce – giustamente – se faccio dell’ironia sui socialcosi riguardo alle vacanze di noi docenti. Per esempio quando ho cambiato il mio status in “quando ti sta per prendere la tristezza della domenica sera ma poi ti ricordi che è luglio e che fai l’insegnante” mi ha commentato dicendo “Piantala. Siamo già abbastanza denigrati. Non abbiamo bisogno di insider spiritosi”. Il fatto è che se non sei del mestiere non puoi capire il modo in cui è usurante stare in classe. Non è una questione di quantità, perché ad asfaltare autostrade in pieno agosto sicuramente si fa più fatica. Però sei ore di fila con una classe di bambini ti fa rimpiangere certe gesta bibliche di Erode. Scherzo, eh. Diciamo che però se non mi stendo mezz’ora sul divano, dopo i miei tre quarti di giornata lavorativa, non riesco a fare altro. Comunque mi reco volentierissimo al lavoro, ogni mattina. E quella cosa che ho scritto posso mutuarla per un altro aspetto: il lunedì a scuola è molto meno traumatico di tutti gli altri lavori perché i bambini della classe sono una sorta di seconda famiglia che un maestro rivede con piacere. Ci raccontiamo come abbiamo trascorso il weekend, ci facciamo un po’ di coccole e l’inizio di una nuova settimana è davvero piacevole. Da questo punto di vista mi ritengo fortunato, e sono convinto che sia solo una piccola parte delle sorprese che questo mestiere ha in serbo per chi lo approccia con serenità e umiltà.
uno due tre contatto
StandardQuando ho preso in braccio Francesco si sono manifestate due cose a cui non mi sarei mai aspettato di assistere. Alcuni bambini, i più duri, si sono messi a ridere perché non era mai successo che un loro compagno maschio avesse bisogno di coccole. Sono riuscito a fulminarli con uno sguardo che ha gelato la loro ilarità e ho ribadito, un po’ seccato, che non ci fosse nulla di strano in quello che stava accadendo. Sarebbe potuto capitare a tutti, anche ai più cinici. Ma la cosa sorprendente è stata che Francesco, tutto preso a dimostrare il suo disagio strisciando e rotolando per terra come un indemoniato e facendo versi animaleschi – roba da far temere un attacco di qualcosa – appena l’ho tirato si è su letteralmente spento. Si è abbandonato completamente al mio abbraccio e si è lasciato permeare dalla calma che ho cercato di trasmettergli. Che poi non è che fossi così rilassato. Anzi. Non sapevo più che pesci prendere e stavo addirittura per chiamare rinforzi. La classe era abbandonata a sé e osservava la scena senza particolare partecipazione, oramai abituata a un compagno così poco accomodante. Ho giocato così la carta del contatto fisico, un modo di tentare il tutto per tutto più che una strategia ma che ho già provato con successo sul campo. Anzi, quando Francesco mi ha risposto di sì e si è sorpreso della mia proposta anch’io sono rimasto stupito. L’ho preso in braccio e tutto è finito. Poi è stato un po’ a guardare la mia faccia da vicino e io la sua. Sono ancora più vulnerabili i bambini di difficile approccio quando li osservi così, quasi guancia a guancia. Abbiamo addirittura scambiato quattro chiacchiere a cui ha partecipato con un tono ben diverso dal suo solito. Ho pensato che la vita, in sé, dovrebbe essere sempre così. La stringi un po’, lei si calma, si crea un contatto e una vicinanza che poi nessuno potrà scindere mai più.