pubblicità alluci-nante

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La battuta nel titolo è bella, ammettetelo, invece lo spot di Exoderil Nailer tratta&colora fa ribrezzo ma, dal punto di vista dell’advertising, è sicuramente efficace. Non so da cosa derivi questo boom di pubblicità e spam che si vede in giro dedicata alla micosi, nemmeno fosse il male del secolo. A me le unghie dei piedi antropomorfe in tv all’ora di cena fanno quasi più schifo degli spot dei batteri nella bocca e delle emorroidi. Vedete voi.

pessimismo e serramentismo

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Si dice, vero, guardare dalla finestra? Da oggi l’azione più comune sarà guardare LA finestra. Dopo i maestri del futurismo e del cubismo, è il momento del serramentismo. E non lo dico io. Ci sono questi burloni dei neologismi pubblicitari che le provano tutte per stupire all’ora del telegiornale. Ho appena visto questo spot in prima serata su La7 e mi sono chiesto quanto costi la pubblicità a quell’ora e su quella rete se anche le piccole e medie imprese possono accaparrarsi gli spazi nemmeno fossero una BMW qualunque. Comunque è bello provarci perché se uno non ci prova non ci riesce. Quindi largo alla creatività, largo ai copy e largo all’arte degli infissi. Se vi occorre, conosco un paio di maestri bergamaschi che in quattro e quattr’otto vi montano finestre e zanzariere anche se i muri non sono perfettamente in linea. Se non ci credete, vi aspetto a casa mia. Altro che capolavori. Questi sono veri geni del razionalismo, mica serramentisti.

zymil supera il concetto di mamme antirock

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Se lasciate stare i gruppi al 100% femminili, e mi riferisco ai vari Bangles, Go Go’s, le Holes e – più recentemente – le Goat Girl o quel gruppo francese che canta in inglese di cui, in questo momento, mi sfugge il nome (anzi se mi aiutate vincete un premio), una ventata di quote rosa nel rock (cantanti a parte) è stata portata inizialmente dai Talking Heads e, in Italia, da un gruppo in auge da una ventina d’anni (che non nomino nemmeno da tanto mi è particolarmente inviso) che ha il ruolo di bassista ricoperto da una femmina. Sì, lo so che ci sono anche quelli di Xfactor ma qui stiamo parlando di musica, mica di sfortunati perditempo. Eppure noi della nostra generazione avevamo avuto esempi illustri. Nella Famiglia Partridge, per esempio, la tastierista della band di famiglia è, appunto, una tastierista. Sì, lo so che anche un altro gruppo italiano che detesto ha alle tastiere una donna ma, ripeto, lasciatemi nella mia confort zone in cui i Baustelle non esistono. Comunque l’uguaglianza di genere, che è poco praticata nel nostro costume occidentale malgrado le apparenti condizioni di emancipazione, sembra per lo meno essere messa in scena in quella versione semplificata e assurta a modello della nostra società che è la pubblicità. Sarà per questo – e non perché sarebbe stato troppo complesso, da un punto di vista di immagine, utilizzare una famiglia composta da soli uomini – che alle tastiere della band di famiglia protagonista della pubblicità del latte Zymil c’è una donna, per di più la mamma.

La cosa, a un tastierista come me, non può fare che piacere. Le mamme dietro ai synth sono finalmente la liberazione della rappresentazione delle donne dietro i fornelli. Manopole e potenziometri al posto dei comandi del ferro da stiro. Tasti bianchi e neri su cui sfogare la propria vena artistica invece delle noiose periferiche da data entry o da segretaria. Oscillatori e filtri che sostituiscono detersivi e ammorbidenti. Finalmente le cose cambiano sul serio.

promoinnova

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Quello che leggete nel titolo è la ragione sociale vincitrice del contest lanciato dalla “Cassa Depositi e Prestiti” con l’obiettivo di dare un nome da ventunesimo secolo a un’istituzione pubblica che sembrava uscita da un romanzo dell’ottocento. “Non è stato difficile pensare a un’idea efficace”, ha dichiarato R. B., il copywriter milanese che si è aggiudicato la gara, “considerando che qualunque cosa sarebbe stata meglio e che al massimo la creatività concorrente si sarebbe limitata ad acronimi dozzinali o a funamboleschi giochi enigmistici del calibro di de.pre.ca”. La posta in gioco, in effetti, era alta e la sfida tutt’altro che banale. L’impegno della Cassa Depositi e Prestiti, come si legge dalla mission aziendale presente sul sito di pertinenza (che tutti noi ci auguriamo verrà svecchiato non appena entrata in auge la nuova denominazione accompagnata, speriamo, da una nuova immagine corporate) è infatti quelli di promuovere “il futuro dell’Italia contribuendo allo sviluppo economico e investendo per la competitività”. L’esigenza era quindi di trovare un concept in grado di fornire una sintesi di valori così alti e fondamentali per la nostra economia e per il sistema paese, superando la vecchia indicazione che, al contrario, riconduceva a un’istituzione da film western in cui un manipolo di retrogradi contabili custodisce asetticamente le risorse della scarna percentuale di popolazione benestante di una cittadina rurale. Come avevano fatto notare alcuni zelanti investitori stranieri, gli enti centrali di una nazione dovrebbero trasmettere voglia di crescita e di futuro a partire da come si chiamano, come ci insegnano le aziende che spendono e spandono in marketing e pubblicità proprio per colpire i consumatori con strategie di comunicazione adeguate. Che poi ci sia sostanza, oltre alla forma – è proprio il caso della Cassa Depositi e Prestiti – è a tutto nostro vantaggio. Questo ha indotto il ministero competente all’azione per dare una nuova pelle a un’organizzazione che già funziona da sé. D’ora in poi si sentirà sempre più parlare di PromoInnova, in Italia e all’estero, e finalmente anche fuori dai nostri confini si potrà guardare con interesse e curiosità alla nostra voglia di rimboccarci le maniche e di trasformare il nostro paese in un posto moderno, a partire proprio dai nomi, indipendentemente dal fatto che questa sia una fake news però avrete capito che cosa volevo dire.

non hai più scuse

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Lo spot televisivo del Prostamol mi ha colpito sin dalla prima volta che l’ho visto perché è efficace, i due attori sono molto distinti e bravi e, soprattutto, mi ritengo in target anche se, per fortuna, al momento funziona tutto come si deve. Avete presente lo storytelling? Lui si alza durante la notte per andare in bagno, la moglie si sveglia ogni volta, lui si sente costretto ad accampare le scuse più strampalate per giustificare la cosa. Si tratta di uno spot che conosco a memoria, ma solo ieri sera ho notato qualcosa di diverso. Ogni volta che il marito si sveglia per fare pipì compare in alto a sinistra un calendario con delle date diverse, per sottolineare che quelle tre sortite non devono essere intese nella stessa notte. La cosa mi ha sorpreso, possibile che non me ne fossi mai accorto prima? Eppure la sceneggiatura non lascia adito a equivoci perché, se ci fate caso, la sveglia nei momenti topici è sempre ben in primo piano proprio per evidenziare la continuità temporale della scena. Su Youtube la versione in italiano presenta il calendario che forza la storia lungo giorni, anzi, notti diverse. Però si trova ancora una versione in una lingua dell’est di come, secondo me, era anche in italiano fino a qualche tempo fa (ma potrei sbagliarmi). Ecco il momento del primo stimolo:

Quindi il secondo:

e infine il terzo:

Vedete? Tutto sembra pensato per supporre che la notte sia la stessa.

Ecco invece la nuova versione:

 

Avete visto? Il calendario con la data differente è fuorviante, per chi conosce bene il vecchio spot.

E quindi? Niente, il messaggio probabilmente è che per casi di funzionalità della prostata con problemi così frequenti è meglio abbassare le aspettative dei consumatori. Se invece ti svegli di notte due o tre volte al mese sei ancora nella media e puoi provare a risolvere il fastidio comprando una medicina. Almeno qui in Italia. Nei paesi dell’est sono di manica più larga. Io, nel dubbio, andrei a fare qualche esame specifico.

vietato picchiare il conducente

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La scorsa estate ho notato nelle stazioni della metropolitana di Londra una campagna di sensibilizzazione sulle aggressioni ai danni del personale che opera nel trasporto pubblico, principalmente i controllori e chi si occupa in genere della sicurezza. I manifesti erano molto efficaci perché ritraevano dei bambini che impersonavano i figli dei dipendenti della compagnia di trasporto pubblico che, con frasi e giochi di parole divertenti, manifestavano il loro disappunto sui viaggiatori poco educati, per non dire violenti, che quotidianamente mettono a rischio la vita delle loro mamme e dei loro papà.

Da qualche settimana, questa sorta di pubblicità progresso è comparsa anche nelle stazioni del passante ferroviario di Milano, suppongo la si possa vedere altrove. I messaggi sono identici a quelli dei manifesti che ho visto a Londra, tradotti in italiano. La mia preferita è quella con il bambino che dice una cosa tipo “mio papà controlla i biglietti, tu pensa a controllarti” o qualcosa del genere. Mi spiace, non ho foto a testimoniare né l’uno né l’altra, ma fidatevi lo stesso. Naturalmente non ho nulla in contrario al fatto che l’idea sia stata scopiazzata di sana pianta, anzi magari a crearla è stata la stessa agenzia di comunicazione. Comunque il concept è carino, il fine encomiabile, l’efficacia fuori discussione.

far partorire cavalli con l’amaro montenegro non ci basta più

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Far partorire cavalli con l’Amaro Montenegro non ci basta più. La versione due punto zero dei veterinari sono i dottori che oggi, diretti da Pupi Avati, assistono puerpere tra gli scaffali della Conad. D’altronde ogni società ha il racconto di Natale che si merita. Il problema è che far inventare le storie alle aziende è il male: non paghe della finzione palesemente finta della réclame, le imprese si sono date alla finzione palesemente finta dello storytelling. Pagano profumatamente registi di grido per diluire in un’astrazione assoluta le cose che vendono e, attraverso delle storie inventate, cercano di portare le cose che vendono alla gente in un modo tale per cui la gente non se ne accorga. Mescolano i loro prodotti in un minestrone di buoni sentimenti così la gente pensa di comprare i buoni sentimenti ma poi, nell’ordinarietà delle loro vite, i buoni sentimenti finiscono nella spazzatura differenziata insieme al packaging e sulla tavola della gente rimangono i prodotti e la loro qualità ampiamente migliorabile. Non sono certo io il primo a dirlo ma queste cose sono i fondamentali della comunicazione pubblicitaria da sempre. L’obiettivo delle grandi storie della pubblicità è far provare esperienze di qualcosa. L’esperienza di acquistare la marca più adatta di fagioli in scatola o di surgelati, portata all’estremo, diventa il tentativo di rendere protagonisti gli utenti finali nei ruoli principali del racconto. Un uomo e una donna, la spesa di Natale, le contrazioni ravvicinate, un dottore casualmente in coda alla cassa, il bambino che viene al mondo come un prodotto fresco di marketing. Secondo me, con lo storytelling la Conad ci è andata giù pesante questa volta. Un po’ troppo.

lo strano caso dello spot Sperlari in 7/8

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Noi musicisti – ma immagino anche voi persone normali – ogni tanto soffriamo di anomali fenomeni di percezione dovuti all’attenzione compulsiva con cui sezioniamo gli ascolti nel dettaglio. Seguiamo linee di basso per evitare di perderle sotto gli strati sonori degli arrangiamenti, curiamo maniacalmente la eco di un suono finché non sparisce del tutto, teniamo il tempo con qualunque parte del nostro corpo (va be’ non proprio tutte) e armonizziamo con tutti gli intervalli possibili anche la sirena dell’ambulanza. Questa attitudine ci permette di cogliere, riconoscere e catalogare ogni forma di musica in qualunque situazione. A quale musicista non è mai capitato di addormentarsi durante una canzone e, destandosi pochi istanti dopo, avere l’impressione che il pezzo abbia saltato qualche beat allo stesso modo in cui, quando entriamo in galleria con l’autoradio accesa, facciamo quel gioco di continuare a cantare la canzone quando il segnale sparisce per vedere se andiamo perfettamente a tempo, in modo da riprenderla all’uscita dal tunnel? Come dite? Sono solo io a farlo?

Comunque il punto è che il nostro orecchio spropositato ci fa cogliere sempre e ovunque le cose belle e quelle brutte, le tracce regolari e quelle anomale. Vi dico tutto questo perché stamattina, mentre ascoltavo Radio Popolare andando in stazione, è partito lo spot natalizio della Sperlari. Ve lo ricordate il celebre cofanetto e Gianrico Tedeschi che lo pubblicizzava alla tele negli anni 70? Lo spot radiofonico del 2017 invece dice che “non c’è Natale senza Sperlari” ed è uno spot molto efficace e piuttosto in linea con gli standard della pubblicità radiofonica se non fosse che stamattina vi giuro che l’ho sentito in un edit in 7/8.

L’ho cercato in lungo e in largo nella rete, ho anche chiesto su Facebook informazioni al’agenzia di comunicazione che lo ha prodotto, ma non c’è traccia. La cosa mi sta facendo impazzire. Ho avuto forse un’allucinazione?

Ma, a parte questo sconforto, la cosa mi ha sorpreso positivamente: se effettivamente esiste un radio edit in 7/8 significa che finalmente i miei amati tempi dispari sono stati sdoganati anche a supporto dei consigli per gli acquisti, il che è molto strano perché non sai mai come la gente può reagire a un 7/8. I tempi dispari, se li prendi per il verso sbagliato, ti destabilizzano, ti fanno perdere l’equilibrio e possono generare insofferenza. Associare un 7/8 a un prodotto può anche indurre il consumatore a cambiare idea per la mancanza di linearità.

Non è il caso mio. Anzi. Se effettivamente esiste una versione dello spot radiofonico della Sperlari in 7/8 sono pronto a diventare il fan numero uno, e voi della Sperlari non preoccupatevi: non c’è nessun rischio che qualcuno, battendo il tempo dispari, si incarti.

(Segue versione in 4/4).

dote sport Regione Lombardia, solo per i figli maschi?

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Quando programmavo giochini matematici in Flash per le scuole elementari – vi parlo di una vita fa, gli anni novanta – una delle più banali ma non per questo secondarie accortezze era quella di mettere risposte e feedback automatici neutri perché l’utenza poteva essere sia maschile che femminile e il genere di appartenenza non era una variabile disponibile. Quindi, in caso di svolgimento corretto, non “Bravo!” perché il merito poteva essere di una bimba, ma, per esempio, “Complimenti!” o “Bel lavoro!”, addirittura gli sviluppatori più entusiasti azzardavano cose tipo “Grande! Dammi un cinque!” e cose così.

Uno dei problemi della lingua italiana, oltre a essere poco praticata dagli italiani stessi, me in primis, è infatti proprio quello della distinzione tra maschile e femminile che, in certi casi, quando si parla di figli o del genere umano in generale mostra le sue lacune nella cosiddetta “political correctness”. Lo sapete meglio di me: se parlo di donne e uomini dico “gli uomini”, se parlo di bambine e bambini dico “i bambini”, se parlo di figlie e figli dico “i figli”. Io sono del partito del buon senso, che include quelli come me che non la fanno tanto lunga per i termini femminili che non finiscono in “a” o se, solo linguisticamente, si manca di riguardo a qualcuna o qualcuno, ma forse è perché sono di sesso maschile e, se fossi una blogger, sarebbe differente.

Comunque la questione dei giochini matematici di cui parlavo prima si è poi manifestata in tutta la sua urgenza quando mi sono messo a fare il copywriter e a scrivere testi di comunicazione e pubblicità. Se devi parlare a un pubblico misto, e il pubblico – fidatevi – è sempre misto, e per fortuna che è misto, l’ABC del mio mestiere impone il dovere di fare attenzione a queste cose. Intanto perché è giusto avere riguardo, perché avere riguardo è indice di rispetto, e poi perché si rischiano rotture di cazzo infinite a partire dai blogger come il sottoscritto che, alla cinquantesima volta che vedono la pubblicità della dote scuola della Regione Lombardia, capiscono finalmente che cosa c’è che non va.

Un creativo deve stare attento a questi aspetti, e stavo per scrivere dettagli ma poi mi sono corretto perché non sono dettagli, questo è poco ma sicuro. Nessuno ci fa caso perché la gente è intelligente ed è in grado di generalizzare, direte voi, o forse perché è una forma mentis radicatissima nel nostro background culturale e sociale. Però allora perché non si è fatto il contrario? Perché non c’è una ragazzina, magari con una divisa di uno sport che non sia danza classica, nella foto?

Ma siccome sono qui per portare soluzioni e non problemi, ecco come avrei fatto io: avrei preso l’immagine di una bambina e un bambino insieme, e avrei anche speso due lire per pensarla ad hoc con un fotografo, anziché attingere alle library online con le foto da tanto al mucchio. Una bambina e un bambino entrambi con le magliette “dote sport” e, se non vogliamo creare precedenti di gender, visto che siamo in Lombardia e su queste cose ci massacrano i Maroni, possiamo anche far posare la bimba in tenuta da volley e il maschietto vestito da calciatore, così non si offende nessuno. La headline, infine, basta metterla al plurale per fugare ogni dubbio: “I tuoi figli fanno sport? La Regione fa il tifo per voi”. Voi inteso come “tutta la famiglia”. Secondo me funziona meglio.

Qui comunque trovate la versione 2017 che si vede in giro, come vedete la sostanza non cambia.

l’energia che lascia la scia

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Il mondo si divide tra chi vorrebbe pubblicità meno esplicite e chi, invece, a sentire parlare di diarrea, ciclo mestruale, schifezze sulle unghie, puzza di piedi, alito marcio, gengive infiammate, ascelle pezzate e altre amenità corporali, soprattutto all’ora di cena, non gli fa né caldo né freddo. Per questo alla prima sottocategoria mi viene da dir loro così imparate a mettervi a tavola con la tv accesa ma è chiaro che il linguaggio che ho utilizzato io è a puro scopo esemplificativo e le case farmaceutiche che si danno da fare per separarci il più possibile dalle bestie, o meglio i pubblicitari che assoldano, a volte ce la mettono tutta per prendere il problema alla lontanissima. Altre volte un po’ meno. Questo però non è il caso dello spot del Codex che, oltre ad avere un naming di prodotto molto azzeccato e che ricorda un album del mai abbastanza compianto (artisticamente, perché è vivo e vegeto anche se non lotta più insieme a noi) Giovanni Lindo Ferretti, ha usato la metafora dei busker per realizzare – con l’artificio della post-produzione – una versione del nostro intestino in bolla di sapone acrobatica. È la giocoliera ad accusare il colpo che corre a rischio di sgonfiare la magia dell’arte di strada antropomorfa (o almeno di una sola parte, molto importante, del corpo umano) e a riportarla poi più rigogliosa di prima consigliando il prodotto fino al “nome della cosa” che, d’altronde, si chiama proprio diarrea. Io avrei detto dissenteria ma, grazie all’Internet, ho scoperto che la sciolta ha varie sfumature che, senza Codex e senza bolle di sapone, potete provare anche voi.

E la sovrapposizione di grafica a riprese video, che io per semplificare chiamo realtà aumentata ma anche qui sbaglio e quindi bambini non ripetete questo esperimento semiotico a casa, più che esser di moda consente alla comunicazione di prodotto di cavar molte castagne dal fuoco nella rappresentazione dei concetti. I produttori del Polase, per esempio, sembrano non aver nessuna paura delle scie chimiche e dei grillisti esasperati dai rischi per l’ambiente:

Il lato positivo è che questo strascico di non si sa bene quale sostanza non è stato utilizzato per la puzza, perché la prima volta che ho visto questo spot avevo la tv sul mute e stavo telefonando e ho equivocato di brutto la comunicazione, pensando a un deodorante. Invece si tratta di ipostasi di energia che tracima dal corpo a beneficio di chi ci sta intorno per cui dico a tutti i consumatori di Polase di farsi vedere più spesso in giro con le vostre scie che così noi affaticati cronici ci mettiamo dietro ad annusarvi un po’ per godere dei vostri effluvi corroboranti a sbafo, che non guasta mai.