sanremo e gli idealisti

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Nel bel mezzo della penultima serata del Festival di Sanremo edizione 2019 lo spot di Idealista, il portale di annunci immobiliari, è stato trasmesso nella versione “fascia protetta”, ovvero con una protezione virtuale realizzata in blur applicata sulle natiche nude del locatario in potenza che si trasforma in atto mentre attraversa l’appartamento inquadrato di (fondo)schiena – dopo un veloce strip – per fare la doccia. Proprio quello spot che sembra l’incipit di un film a luci rosse coi fiocchi perché quando il marcantonio svestito chiede all’attore che interpreta il porno-agente immobiliare se gradisce un “succhino” è facile immaginarne il seguito. Quindi la velatura pixelata a salvaguardia degli spettatori più impressionabili, bacchettoni o omofobi forse sarebbe stata più opportuna sulla battuta finale, anche se sarebbe bastato realizzare una versione della pubblicità senza “succhino” ma con un’altra bevanda liscia qualsiasi ma dal nome libero da qualunque richiamo alle pratiche sessuali.

un vago vago vago sospetto

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“Le donne con la loro smania di trascorrere ogni minuto del loro tempo libero a organizzare vacanze, weekend lunghi, ponti e gite in ogni spiraglio di festività per poi condurre noi uomini come bagagli inespressivi in giro per il mondo costituiscono una rottura di maroni a noi uomini per via di tutto il tempo che, chiedendoci pareri su questa o quella sistemazione, sottraggono alle nostre passioni preferite a partire dagli incontri di calcetto che ci organizziamo settimanalmente e guai a perdere un solo appuntamento perché si sa, noi uomini medi nelle cose a cui ci dedichiamo siamo metodici e ogni partita che sfuma per cause di forza maggiore soprattutto riconducibili a obblighi matrimoniali comporta un duro colpo alla nostra autostima che poi immancabilmente va a riflettersi sulla virilità e, di conseguenza, impatta sul menage famigliare e, manco a dirlo, le donne hanno ancora più tempo da dedicare a tenere sotto controllo la vita degli uomini. Quindi ben venga la tecnologia, ambito in cui le donne non capiscono una mazza, perché anche se ci sarà inizialmente richiesto uno sforzo maggiore nell’impostazione dei parametri degli aggregatori di big data provenienti dalle piattaforme di settore risparmieremo tempo nel fornire risposte alle nostre donne e nessuna delle finestre che dedichiamo alle sfere della nostra esistenza e che hanno importanza superiore a qualunque altra cosa verrà in alcun modo penalizzata”.

(Da “Leggere tra le righe degli spot ad alto contenuto maschilista”, a cura di Phileas Fogg, New Travel edizioni)

lidl bells

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Potete anche dare il via al Whamageddon di quest’anno. Ho già visto le prime decorazioni nei negozi, ci sono già gli sconti strategici sui giocattoli più ambiti nei centri commerciali, si odono qua e là le prime conversazioni sul menu di Natale o sui lavoretti che faranno i bambini delle elementari. Ma c’è chi si è portato più avanti di tutti: alla Lidl ci danno dentro già da qualche giorno con gli spot a tema. Non mi resta che augurarvi buone feste. A proposito, che cosa fate a capodanno?

la migliore ricetta della pizza alla resilienza e pomodorini

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Solo per dire che la resilienza sta agli anni duemiladieci/duemilaventi come la rucola stava agli anni ottanta. Come sono noiose le mode linguistiche, e come è facile cascarci. Anche i migliori. Anche gli intellettuali. Anche tu che mi stai leggendo.

l’arte di abbinare la musica al cibo d’asporto

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In famiglia si ascolta dance, tra i teen la trap, nei convivi improvvisati tra i single trentenni dalla vita precaria l’indie italiano mentre le ragazze, quando sono da sole e ordinano cibo d’asporto, ascoltano pop dozzinale. Quelli di Just Eat, che se non li conoscete sono la versione millennials del ragazzo del pony express, hanno le idee ben chiare sulla categorizzazione e gli abbinamenti tra i target e la musica che si meritano. D’altronde l’industrializzazione, che oggi è il modello di business che va per la maggiore anche nelle consegne a domicilio di vivande, deve attenersi agli standard. Lasciare le maglie aperte alla customizzazione porterebbe al tracollo. Pensate infatti se gli adolescenti preferissero l’heavy metal, le giovani coppie con figli si dilettassero con i Weather Report, se tra i coinquilini bamboccioni spopolassero i gruppi post-punk e se la solitudine portasse le giovani donne a immergersi nelle composizioni minimaliste di Steve Reich. Una confusione che non consentirebbe menu come si deve e modalità innovative per far incontrare domanda e offerta. Senza pensare che alla gente fuori dai canoni passa l’appetito, o anzi magari rompere gli schemi induce a cucinare qualcosa. Ma ai tempi degli chef stellati la grande dicotomia è proprio tra mettersi ai fornelli e sfondarsi al primo all-you-can-eat di qualcosa. Darci dentro con le ricette o con la carta prepagata. Sperimentare sapori o soccombere al marketing enogastronico.

Il problema però è che la modernità induce alla fretta e così i ciclo-corrieri della fame (altrui, che cosa avete capito) possono mettere da parte qualcosa per il futuro cercando di non servire pasti freddi come il jazz che piace agli anziani come me che, guarda caso, negli spot non hanno nessuno che li rappresenti. Mi ci vedo in casa con quel disco del Jimmy Giuffre Trio (Paul Bley al piano e Steve Swallow al basso, oltre al clarino di Giuffre) ristampato su cd dall’ECM, mia moglie che cerca di farmi cambiare musica perché vorrebbe qualcosa di meno cerebrale e io che scorro le proposte sull’app del mio ristorante preferito (cucina piemontese, ça va sans dire) mentre le telecamere ci riprendono sperando che due matusa come noi riescano a portare a termine l’ordine in tempi utili per uno spot commerciale. Ma poi gli occhiali che non si trovano, i gatti che saltano in braccio, la scelta troppo ampia, alla fine anche la pazienza dei creativi delle réclame per la tv ha un limite e così finisce che la troupe sceglie i vicini di casa, una coppia di settantenni che da ottobre a marzo preparano la cassoeula ogni fine settimana impestando il condominio di odore di verza. Che comunque, se Just Eat me la porta, non gli dico certo di no.

il passo del pinguì

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Uno dei motivi per cui il rock italiano risulta patetico paragonato a quello statunitense o a quello made in UK è l’annoso problema della sovrabbondanza nel nostro vocabolario di parole piane, sdrucciole e bisdrucciole rispetto alle tronche che, del rock anglofono, sono la morte sua. D’altronde se il nostro apparato fonatorio non si è spicciato a spostare l’accento sull’ultima sillaba del nostro lessico prima della nascita di Elvis ci sarà un motivo.

Ora ci mangiamo le mani perché, in media, alla seconda strofa delle canzoni che componiamo abbiamo già esaurito tutte le parole utili per il rock: qui, perché, là, su, giù, te, me, caffè, più, città e compagnia bella. Allo stesso modo l’arte della cover in italiano dei pezzi stranieri, un tempo diffusissima e protagonista nel processo di diffusione del rock in Italia, oggi in auge solo per pochi appassionati o per casi particolari come la pubblicità, è gravemente penalizzata dalla nostra lingua per gli stessi motivi.

Mi è capitato di vedere in tv lo spot del Kinder Pinguì con un jingle in italiano che riprende “Walk like an egyptian” delle Bangles.

L’operazione è parzialmente penalizzata, secondo me, dal modo in cui la parodia per fini pubblicitari è stata resa nella nostra lingua. Il testo dice infatti:

Ogni giorno non perdo mai
il buonumore
con il passo del pinguino

dove il passaggio “con il passo del pinguino”, che sta al posto di “Walk like an egyptian”, fa a pugni con la metrica.

Avrei risolto in un altro modo: o troncando la frase utilizzando il nome del prodotto, quindi “con il passo del Pinguì”, soluzione banale a cui immagino i creativi di questa campagna siano facilmente arrivati, scartandola. Oppure, come si fa spesso nelle traduzioni, cambiando la disposizione dei versi senza alterare il testo. Non si perde in efficacia e, nel complesso, mi sembra più fluida:

Il buonumore ritornerà
con il pinguino
cammina come me

tanto si capisce che, nello spot, si imita la camminata del pinguino e ribadirla con il suo nome risulta didascalico.

non faccio testo

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Da quando esistono gli spot i sociologi della comunicazioni e chi studia le nostre reazioni alle sollecitazioni dei mass media caldi sostengono che comunque, anche senza rendercene conto, siamo condizionati da ciò a cui siamo stati esposti durante le pause commerciali dei programmi tv. A me piace pensare invece che, a parte i jingle e il naming dei prodotti sia quando sono efficaci che quando fanno sanguinare occhi e orecchie, il resto scivoli nel dimenticatoio e, quando sono al supermercato, gli unici condizionamenti che subisco sono quelli dell’impianto di climatizzazione e la sfilza dei prodotti in offerta dal 35% in su che finiscono tutti nel mio carrello, spesso in doppio esemplare. Mia moglie sostiene che questo comportamento è proprio ciò che la grande distribuzione vuole, per indurmi a comprare quello di cui vuole liberarsi. Io dico chi se ne importa, di certo non con queste parole perché non è mia intenzione mancarle di rispetto: comunque prendo prodotti di cui ho bisogno, non necessariamente nell’immediato, e di mio gusto. Oppure acquisto articoli che a prezzo pieno non comprerei mai. A volte, più che il brand a cui sono stato sovraesposto nella pubblicità, mi attira la grafica dell’etichetta, parlo soprattutto per vino e birra, o il packaging e il design della confezione. Una bottiglia particolare. Il barattolo hi-tech. Il richiamo a qualche artista contemporaneo. Per il resto seguo le réclame alla tele con l’espressione sulla faccia di chi pensa che la fine del mondo sia vicina per la facilità con cui il linguaggio commerciale può essere smascherato, decodificato e reso innocuo. Questo nel migliore dei casi, perché per il resto c’è da mettersi le mani nei capelli per così tanta ingenuità marketing. Trovo invece efficace quando gli spot sono stati pensati ad hoc per essere trasmessi in un programma specifico. Poco fa, durante una replica delle selezioni di X-Factor, ho notato una pubblicità che giocava sulla contrapposizione per me è un sì/per me è un no. Non ricordo di che prodotto si trattasse e nemmeno di che categoria merceologica ma, ripeto, questo forse è un problema tutto mio.

creatività acrobatica per budget acrobatici

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Su La7 è appena passato, all’ora di cena e prima di uno spot per un prodotto per le verruche, la pubblicità di Edilizia Acrobatica, ovvero responsabili marketing che si arrampicano sugli specchi e cadono sull’abc della comunicazione.

serve una mano?

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Un incipit acchiappaclic che si rispetti non dovrebbe inanellare parole come diarrea o emorroidi ma nemmeno perdite o prostata. Chi si occupa di SEO e SEM si metterebbe le mani nei capelli o almeno io me ne guarderei bene dal leggere un articolo che comincia così. Allora proviamo un approccio diverso: per gli spot televisivi, tolti quelli ideati per i settori in cui gira la grana ovvero telefoni, automobili e industria alimentare, si sta sempre più raschiando a creatività il fondo del barile. Pesa il fatto che la maggior parte di quello che interrompe i film sul più bello riguarda i problemi di salute degli anziani perché gli unici che non hanno Netflix, alla fine, sono rimasti solo loro e i palinsesti delle reti Mediaset sono creati a loro immagine e somiglianza. Allo stesso tempo anche il marketing universale si è accorto che, al momento dei consigli per gli acquisti, il dito sul telecomando è rapidissimo, quindi tanto vale realizzare pubblicità per la tv con approssimazione qualitativa. Ultimo fattore da tenere in considerazione prima di esprimere un giudizio sullo spot dell’Urogermin Prostata che vi sto per mostrare: comunicare prodotti che hanno a che fare con gli apparati escretori (anteriori e posteriori) è sempre complesso, e ve lo dice uno che per lavoro deve tessere le lodi di cose come le termocamere o i router. Dello spot dell’Urogermin Prostata mi ha colpito il bambino-statua che tiene in mano il suo cosino provando sollievo e piacere come è giusto che sia, tenete conto che dopo decenni di pratica posso confermarvi che l’esperienza è realmente appagante. Non c’è nulla di male e non si diventa ciechi. Come si legge nello spot “funziona! E si vede!”. Poi ci si rende conto che la cascata d’acqua usata come background per il putto onanista – che io che sono malizioso ho colto solo in un secondo momento – molto didascalicamente rimanda a ben altre evacuazioni così il cerchio si chiude. Visto che il buonismo è sulla bocca di tutti possiamo valutare complessivamente lo spot dell’Urogermin Prostata come simpatico ma, per chi è uso ai metasignificati televisivi, ci si arriva solo dopo un bel po’ di riflessione, ampiamente dopo i dieci secondi del video che è un tempo che in certe situazioni non è assolutamente ammesso. Nell’insieme comunque fa venir voglia di fare pipì, anche senza integratori.

se fossi ricco pagherei Noemi per cantarla così

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Citarsi addosso è una delle maggiori soddisfazioni per noi blogger di grido perché ci consente di convincere i lettori che, con le cose che scriviamo, facciamo sistema, articolo dopo articolo, e che siamo noi i veri autori ai tempi dei social perché, anche se non pubblichiamo libri di carta di centinaia di pagine con la copertina rigida e facciamo periodi nei nostri post lunghissimi prima di arrivare a un virgola come questo, mettiamo a disposizione dei lettori una storia che poi in fondo siamo noi stessi, le cose che diciamo, i dettagli che notiamo e che amplifichiamo o mettiamo alla berlina, fino a quando poi decidiamo di arrivare al punto e, il punto, lo mettiamo.

Questo per dire che ho la forte sensazione – ma potrei essere smentito – che il noto produttore di affettati (che saluto con affetto) Negroni abbia cambiato la voce interprete del suo stranoto jingle passando dalla sexy presunzione di Mario Biondi alla raucedine senza speranza di Noemi dopo aver letto il mio celebre intervento pubblicato tempo fa.

Cari amici della Negroni, mi chiedo però a questo punto se non abbiate il prosciutto sulle orecchie. Noemi è brava e bella e tutto quanto ma il contrasto con la vostra melodia è davvero insostenibile, anche a causa di quel ritmo alla “Clocks” dei Coldplay (toh, che combinazione, ne ho scritto proprio qui). Noemi inoltre ha snaturato la vostra canzoncina pubblicitaria rendendo inappropriatamente fluida la scansione delle sillabe che contraddistingueva la versione originale, quel vuol-di-re-qua-li-tà che piaceva tanto ai figli di Carosello che ora è mellifluo e, soprattutto, chiude con quel taaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa che proprio non si può sentire.

Quanto a te, cara Noemi, di certo non possiamo biasimarti. La pubblicità mastica tutto e impasta nella sua bocca boli (plurale di bolo, spero sia corretto) giganteschi che poi trasforma con la sua flora intestinale in prodotti commerciali che uno non ci crede che prima erano cultura (questo fuori di metafora). Pensate solo ai grandi cuochi stellati che fanno il bello e brutto tempo con le vite e le passioni degli aspiranti Masterchef e che poi fanno da endorser alle patatine fritte industriali, alle cucine, ai detersivi per lavastoviglie. Per non parlare di Gigi boia-chi-molla Buffon. Avete idea di quanti siano gli spot a cui presta la sua faccia?