cose da dirsi il primo di luglio

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Una promessa che mi faccio sempre a fine maggio è di impegnarmi a sfruttare al massimo le trenta giornate che giugno ci mette a disposizione e che sono quelle nel calendario con più valore aggiunto. La luce inizia presto e finisce tardi tanto che, oltre a essere così lunghe, sembrano essere anche larghe, c’è più spazio e si sta tutti più comodi senza quella fastidiosa sensazione di toccare gambe e braccia sudaticce altrui. Da qualche anno così ho imparato a coinvolgere anche la mia famiglia. Metto al corrente mia moglie e mia figlia delle mie intenzioni e consiglio loro di stare pronte a un mese molto denso. Ma poi ogni volta qualcosa va storto. A giugno piove più degli altri periodi dell’anno, ormai, poi c’è sempre quella strana congiuntura per cui il mio lavoro si impenna come non mai e tra una cosa e l’altra va tutto a rotoli e quando leggo che le giornate tornano ad accorciarsi penso che anche quest’anno non ce l’ho fatta.

Peccato perché giugno è davvero incantevole, ve lo consiglio se non lo avete mai vissuto, è un’esperienza da provare. Se non fosse che ormai ho prenotato in agosto mi farei volentieri ancora un mese di giugno prima di luglio, per vivere insieme a voi la spensieratezza che tutto può essere sospeso, che è ancora troppo presto per riprendere perché quello che è finito è finito da troppo poco tempo. Quest’anno poi giugno ha fatto il tutto esaurito un po’ come i Floating Piers di Christo. Diventa di moda e nessuno vuole rinunciare a esserne al centro. Ho trovato posto solo per il giugno del 2018, pensate un po’, ma non mi va di fare prenotazioni con anticipi di questo calibro. E se poi cambio idea e preferisco un onesto luglio che comunque anche se si suda un po’ ti consente di portarti solo qualche t-shirt, pantaloni corti e sandali?

Mia figlia, inutile dirlo, adora giugno perché finisce la scuola e per qualche settimana si può permettere il disimpegno totale dai suoi obblighi. Niente compiti, può leggere quello che vuole, sono finiti pure gli allenamenti e si può girare con gli short. Quest’anno dopo un paio di settimane era persino già finito il credito su Internet per gli scrittori e, considerando che la carta per romanzi non la vendono più, è facile capire in quanti siano rimasti a bocca asciutta. Tutte le ispirazioni indotte dalla natura lussureggiante, dai corpi scoperti, dalle cose brutte e quelle belle che un mese come giugno riserva sono rimaste nel cassetto e vedete, anche io sono già al lavoro affinché questi due o tre spunti non svaniscano condannati dalla carnalità di luglio e dalle pelli bruciate e profumate di doposole. Ho scattato comunque qualche foto al mese di giugno di quest’anno, se vi interessano le condivido con voi, possono tornarvi utili se siete alle prime armi con queste cose.

c'è mal di pancia e mal di pancia

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Quando siamo al lavoro le cose domestiche seguono il loro corso senza di noi, una bella metafora degli spazi che libereremo quando non ci saremo più che però sta per essere superata dalla diffusione dei sistemi di video-sorveglianza consumer collegati a Internet. Un sistema con webcam e pannello di controllo connesso alla rete è alla portata di tutti e consente risultati senza precedenti, almeno per chi ha, come me, la visione romantica dei propri ambienti vuoti nel silenzio delle ore mattutine dei giorni feriali, quando il sole entra dalle porte-finestre del balcone in un modo che è sempre sorprendente perché possiamo vederlo solo nel fine settimana ma si sa, nella maggior parte dei casi nel fine settimana grandina.

Non ricordo chi mi diceva che usa le webcam in casa, tra l’altro utilizzabili anche tramite smartcoso, per controllare quello che fanno i gatti e mi raccontava che i gatti, lasciati da soli, hanno comportamenti bizzarri. Non so, io li lascio che dormono e li ritrovo a sera che dormono e probabilmente me la danno a bere facendo finta di essere animali domestici tranquilli e poi, come si dice, quando il gatto non c’è i topi ballano ma riferito a esseri umani nel ruolo dei gatti e gatti nel ruolo dei topi.

Si pensava anche alle potenzialità di un sistema simile per vedere quello che combinano i figli all’asilo nido, anche se io farei un’installazione avanzata per vedere quello che fanno alle medie, nel tempo libero, e poi alle superiori, perché no? Non vedo niente di male non tanto per le operazioni di controllo quanto per goderci comunque il loro tempo finché si può, tanto sul goderci il nostro a cinquant’anni si può anche soprassedere. Pensate anche a chi ha occasione di vedere la natura nei giorni in cui è incontaminata. La campagna o la montagna o il lago il lunedì mattina, posti che ti capita di vivere solo in occasioni particolari anche poco felici.

Ma tutte queste cose qui mi danno emozioni che mi fanno venire il mal di pancia. È un bel mal di pancia e lo dico perché so che è una sensazione naturale, come la stretta ai testicoli che dà la vertigine sull’acqua o la salivazione quando affetti un salame stagionato. Le cose che fanno venire quel tipo di mal di pancia sono le mie preferite e forse è una forma di masochismo pensarle compulsivamente per procurarsi quel tipo di mal di pancia. Pensare di stare al riparo in luoghi di soggiorno in miniatura quando piove mi fa venire quel tipo di mal di pancia, ed è per questo che quando mi sorprende un acquazzone in macchina mi piacerebbe potermi fermare in un’area di sosta e stare fermo a godermi l’eccezionalità della cosa ma raramente è possibile. Provate a farlo in tangenziale a Milano e poi ne parliamo. Mettiamola così: quel tipo di mal di pancia è il miglior deterrente alla procrastinarsi delle cose in serie che è un sistema crudele che toglie ogni speranza, quella per cui oggi è giugno domani è già il prossimo natale e dopodomani è già la primavera di un anno tra vent’anni e chissà se quel tipo di mal di pancia da vecchi ti lascia ancora incolume come ora, quando farsi venire il mal di pancia in fondo è poco più di un gioco.

diamo i numeri?

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Un pensiero all’attuale proprietario del mio vecchio numero di cellulare che ho portato dal 1998 al 2013 lungo diverse compagnie telefoniche del calibro di Omnitel poi Vodafone quindi Coopvoce (giuro) e TIM. Per dirvi quanto fossi redditizio per tutte queste, nessuna, al momento dell’addio, mi ha mai contattato per convincermi a restare a botte di offerte come invece sento che fanno tutti. Anzi minacciare la recessione di un contratto sembra essere una delle fonti di reddito principali della gente oltre a un vero e proprio mestiere, perché cambiare compagnia implica una fatica che, davvero, non so come facciate. Ho amici che dicono si a tutti e poi riescono ad accumulare promozioni e smartcosi da centinaia di euro da un mese all’altro ma senza rimetterci una lira anzi. Veramente ho il massimo rispetto per il modo in cui vi prendete gioco delle multinazionali, io almeno non ce la farei.

Poi è accaduto che mi è stato concesso il telefono aziendale con un contratto flat, quindi non ho acquistato più ricariche per il mio vecchio numero ed è finita che – cosa che ignoravo del tutto – la mia prima gloriosa scheda telefonica, sulla quale sono passate conversazioni e sms che non vi dico, è stata spenta per inutilizzo. Quando c’erano solo i numeri fissi potevi verificare un eventuale aggiornamento di numero altrui sull’elenco o sulle pagina gialle, ricordate? Pensate al concetto della privacy ai tempi dei telefoni pubblici nei bar, con quelle mensole sovraccariche di volumi con i dati e gli indirizzi di tutti gli abitanti dell’Italia.

Oggi invece se cambi numero di cellulare è un casino perché non sei registrato da nessuna parte. La convenzione prevede di avvisare la propria rubrica. Io invece avevo solo aggiornato i contatti più stretti, tanto che a tre anni di distanza c’è ancora qualcuno che ha entrambi i numeri e mi chiama o mi scrive di là. Non so se sia ancora in vigore la prassi per cui i numeri vengono in seguito affibbiati ad altri. Di sicuro un tempo però era così.

Proprio il mio primo numero aveva avuto un precedente proprietario, uno che doveva andare in giro a spezzare cuori femminili perché più di una volta ho ricevuto messaggi piuttosto pesanti. “Sarà contenta la troia che ti scopi ora”. “Una sempre pronta a scopare come me non la troverai mai più”, questi sono i più hot che mi ricordo e vi giuro che io non c’entravo niente. Avevo addirittura prestato il mio telefono a mia mamma durante una sua degenza in ospedale, e quella donna ancora scottata dall’ex (e ex possessore del mio numero) si era fatta viva con un tempismo da manuale proprio in quel frangente, tanto che riuscii a convincere mia madre a fatica che tali porcherie non erano rivolte a me. Fino a quando decisi di chiamare la donna spiegandole l’equivoco e chiedendole la cortesia di interrompere le comunicazioni di quel registro. Se il mio vecchio numero è ancora attivo immagino invece gli sms noiosi che gli arriveranno, robe barbosissime di lavoro e qualche messaggio promozionale, anche questo un segno dei tempi e dell’età.

questa macchina non dà resto

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Mi spiace, Lisa, ma per il tuo matrimonio ti sei messa nelle mani sbagliate e ti assicuro che sei molto più bella nei giorni normali. Tua madre è uguale a te e, lo so che non dovrei dirlo, nella foto accanto alla torta sembra persino più giovane. Ma chi se ne importa, finita la cerimonia sarai tornata quella di sempre. Mia moglie ed io alla sera delle nostre nozze, per dire, eravamo sfiniti e ridevamo dell’errore di aver contato male i posti degli invitati. In realtà mancavano proprio i nostri due, essendo la prima volta per entrambi pensavamo che la presenza dei due protagonisti della giornata fosse data per scontato e quindi compresi nel prezzo e invece non era così. Ora, Lisa, sai come funziona: si mangiucchia qualcosa, si passa tra i tavoli a salutare e ringraziare persino in cerimonie sobrie come la nostra. Io avevo voluto a tutti i costi invitare Marco che senza chiederci nulla siamo rimasti l’uno nel cuore dell’altro per tutti questi anni. Qualche settimana prima avevo duplicato il CD dei Notwist a lui e Clizia e, in cambio, avevamo passato in rassegna per ore tutte quelle cartoline antiche che ritraggono posti che, oggi, non avrebbero nemmeno la dignità di essere pubblicati sul peggiore dei social network. L’ospedale. Una vista della passeggiata a mare con le ciminiere sullo sfondo. Le case poi abbandonate a forma di fungo. Lo stabilimento balneare con la chiatta colma di carbone che transita al largo. Il fiume cittadino, che poi è un torrente, con il quartiere popolare che vi si rispecchia. Il mercato comunale con l’appartamento dei custodi sopra l’ingresso e la biancheria stesa in prossimità dell’insegna, quello dove accompagnavo ogni mattina mia nonna a fare la spesa prima che cominciasse la scuola. Oggi guardo le foto che abbiamo fatto dopo la cerimonia in municipio e mi chiedo ancora il motivo per cui ci era venuta l’idea di invitare un paio di coppie che se non ricordo male, dopo quel 4 ottobre, non abbiamo mai più incontrato. La vita è così. Ci si trova all’incrocio e si ride insieme dell’essere lì in quel momento nello stesso posto, ma poi le direzioni che ognuno prende perché si fa tardi ce le dimentichiamo.

è il 2016 e non è ancora stato sconfitto il flauto dolce

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Le immancabili considerazioni scritte di fine anno scolastico di mia figlia come da tradizione coincidono con la rappresentazione teatrale di classe – vulgo “spettacolo di fine anno” o “saggio di fine anno” – perché l’insieme di mia figlia + compagni di classe + genitori dei compagni di classe + professori + location parrocchiale + pressapochismo organizzativo genera mostri emotivi da esorcizzare sui blog genitoriali. Alla fine della seconda media i figli sono grandi, le femmine sono ragazze e i maschi sono poco più che bambini. Sul palco dell’oratorio mettono in scena alcune novelle del Decamerone e recitano a memoria (bene!) ma senza microfono (male!) e un po’ l’acustica, un po’ l’emozione, un po’ la carenza di tecnica teatrale, un po’ l’abitudine a non esprimersi a parole, un po’ certe inflessioni dialettali di origine, insomma non si sente niente e si perde l’effetto scenico. Mia figlia fa la narratrice e legge “Calandrino e la pietra dell’invisibilità”, quindi di lei si capisce tutto e si capisce anche che è un’adolescente e anche piuttosto bella malgrado il vestito che le è stato imposto per la rappresentazione. D’altronde ai tempi del Boccaccio non esistevano i dark, quindi è scesa a un compromesso, fortuna che a scuola – a differenza di casa – è ragionevole. Ho finito la fase in cui facevo foto su foto per documentare la vita di mia figlia. Intanto in teatro è buio e quindi non vengono, e poi potrei fare un video ma perché. Mi perderei la cosa dal vivo e so già che poi a casa non la guarderei mai. Se mi metto a passare in rassegna le foto di quando era piccola mi spiace perdermi il presente, ma a osservare con cura il presente non ci si accorge dei cambiamenti e quindi ci si ritrova con un adulto in casa senza rendersene conto. Se ho tempo rileggo cose scritte qui sul nostro passato trascorso insieme, e mi chiedo come sia stato possibile aver avuto un bambino in una porzione ridotta di spazio fisico di quello oggi occupato da questa strana ragazza che sta per prendere il volo. Peccato che lo spettacolo di fine anno preveda anche alcuni canti e balli tipicamente medievali (nei balli però si intravede qualche passaggio di hip hop preso in prestito dalla finale di Amici) e poi tutti insieme sul palco in due file, in piedi quelli dietro e seduti quelli davanti, a suonare il flauto dolce. Il flauto dolce ce lo portiamo appresso dalla prima elementare, la tecnica con cui lo suonano mia figlia e suoi coetanei è a grandi linee la stessa, pensare di suonare intonati monodie all’unisono come quelle senza irritare gli ascoltatori è pura fantasia. È il 2016 e non è ancora stato sconfitto il flauto dolce, è il 2016 e quella che vedo sul palco con la sua classe è sempre mia figlia ma dalle sembianze da donna che sta assumendo capisco che c’è qualcosa che emotivamente in me non quadra.

alcune esperienze sorteggiate a caso durante un'operazione di back-up in ufficio

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Trattare male le cose, lavorare di merda, scialacquare denaro ma non in grandi investimenti ampiamente appaganti piuttosto in piccole spesucce sbagliate di articoli di scarsa qualità che si rompono subito. Vestirsi a cazzo, tagliarsi mentre ci si fa la barba, mangiare cibo confezionato e iper-condito che procura bruciore di stomaco. Indossare scarpe strette, scambiare una di spalle per Fiorella facendoci una brutta figura e arrossire davanti a una che di Fiorella non vale nemmeno la suola delle espadrillas che indossa, avere caldo proprio quando ci si è dimenticati di mettere il deodorante sotto le ascelle. Sbagliare strada quando non ci sono uscite, sbagliare uscita quando ce n’è più di una, imbroccare l’uscita giusta e arrivare un’ora in anticipo all’appuntamento. Strapparsi i jeans lungo tutta la cucitura tra la gambe con una specie di spaccata durante la ricreazione quando si è scelto di fare il tempo pieno e quindi ci sono ancora almeno cinque ore da passare in classe, ascoltare musica sgradevole a un volume eccessivo, scordarsi le cuffie e non poter ascoltare musica. Lasciare l’alimentatore del portatile a casa prima di un lungo viaggio, la tachicardia, usare lo spazzolino da denti di un’altra persona. Le zanzare, le vesciche, la cintura stretta, stare seduti gobbi. La vista che cala con l’età, il desiderio che cala con l’età, l’età, l’e, l.

mettere l'amore in ordine cronologico

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A quello dell’alta fedeltà a cui piaceva fare le liste io preferisco di gran lunga l’ordine cronologico, fedele al motto di “ubi maior” anche se il minor stranamente non cessat per nulla quando si tratta di figli e figlie. Ve l’ho detto che ieri la mia bambina per la prima volta è andata al cinema con un ragazzo? Credo di no perché a me piace riflettere in solitudine per questo genere di cose che hanno un lato dolce e uno amaro. Su quello amaro è inutile soffermarsi, potete immaginare di che si tratta. Quello dolce invece ci sarebbero ettolitri di inchiostro anche virtuale da riversare su pagine .php bianche. Vogliamo parlare anche solo del tumulto che si ha dentro a quell’età e in quella prima occasione? Quindi se vogliamo mettere in ordine cronologico tutti i nostri amori dobbiamo partire anche noi da quella volta lì. Il mio consiglio però è che se fate una lista poi dovreste confrontarla con quelle formulate dai referenti di ciascun campo, come per qualunque database relazionale che si rispetti, perché non è detto che quello che magari sembrava amore per noi per il partner o presunto tale sia la stessa. O siete tra quelli per i quali conta solo essere andati al sodo, quello che in gergo si dice anche timbrare il biglietto? No, dai, non abbiamo più sedici anni e basta con il considerare solo i dati reali per fini statistici. Abbiamo esperienze che per noi era amore anche se non è successo niente e anche se dall’altra parte abbiamo avuto solo un vago accenno di corrispondenza e questo ha più valore di qualsiasi carnalità. Non a caso la posizione numero 1 del mio ordine cronologico mi vede rincorrere la bella Antonella con il K-Way blu a undici anni o poco più in una città ventosissima, io che posso raggiungerla ma ho paura e così faccio finta di non tenerle il passo, e la bella Antonella che mangia la foglia, si ferma, io mi fermo a distanza, tira fuori dalla tasca una di quelle gomme da masticare profumatissime e me la lancia, io la prendo al volo e penso che il profumo della gomma da masticare sia lo stesso della sua pelle. Dovrei ora però controllare se per lei è stato lo stesso e quindi validare l’esperienza come amore vero. Ho pensato a mia figlia al cinema la prima volta sola con un ragazzo, ho pensato alla gomma da masticare che chissà cosa aveva dentro per profumare così, e ho provato una cosa che io chiamo la perfezione. Ma per completare al cento per cento questo stato di perfezione ho messo su il lato B di The Dark Side of the Moon a partire da “Us and them”, di questa mia abitudine sono sicuro di averne già parlato. Non che il lato A sia brutto, anzi, ma il lato B mi fa pensare che probabilmente alla fine dell’ultimo solco di quel disco non ci sia più niente da dire e che potrebbe anche finire tutto che tanto più intenso di così, più di mia figlia e del lato B di The Dark Side of the Moon a partire da “Us and them”, difficilmente ci sarà qualcosa di meglio.

la cura del sonno

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Se ci riuscite, dormire resta il migliore rimedio per lo stress, le brutte situazioni, i momenti in cui si vorrebbe essere altrove. Per non parlare della stanchezza fisica e della depressione, o di quelle giornate in cui nella testa c’è l’insopportabile frastuono delle varie sfaccettature della vostra personalità che non perdono occasione per dire la loro, di argomentare soluzioni e di mettervi di fronte alle vostre responsabilità. Farsi un pisolino è anche un modo efficace per ridurre le distanze di tempo. Se non state più nella pelle che sia finalmente l’ora in cui deve accadere qualcosa di bello, coricatevi, chiudete gli occhi e non pensateci più fino al risveglio. Meglio però puntare la sveglia, non si sa mai. Ho provato anche che addormentarsi è utile nella situazione opposta, quando cioè devo affrontare qualcosa che mi angoscia. Stare in piedi a farsi divorare dall’ansia è controproducente, anche se sembra poter allontanare il momento in cui sarà inevitabile. Dopo una dormita, lo sapete meglio di me, le cose assumono tutta un’altra dimensione e gli si può dare il giusto peso. Ho dormito interi pomeriggi quando tanto non potevo fare nulla per migliorare le cose, e mi svegliavo con la stessa realtà poco amichevole che mi aspettava imperturbabile sotto casa, ma con il corpo che sembrava uscito da una seduta di drenaggio di sostanze tossiche, una sorta di liposuzione che al posto del grasso mi aveva succhiato via non tanto la preoccupazione – il sonno ha potere solo su di noi, non sul resto del mondo – quanto piuttosto l’idea che gli ostacoli debbano per forza essere superati e non ci si possa invece convivere, non so se riuscite a seguirmi. Se dormo e riesco a stare meglio, perché dovrei faticare a risolvere le cose? Anche ora mi capita di arrivare a sera tardi e so che dovrei fare il punto su certe questioni di lavoro che stanno avendo la meglio su di me, consapevole del fatto che se riuscissi a chiudere questo o quel progetto al di fuori dall’orario regolamentare di ufficio potrei sicuramente affrontare il giorno seguente con un margine di efficienza operativa più ampio. Invece sapete cosa faccio? Vado a letto presto e, prima di addormentarmi, penso che si fottano tutti.

incontri casuali con l'autore

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Stamattina mi sono imbattuto in un gruppetto di persone intente in una discussione sul mio libro, la cosa mi ha fatto ovviamente piacere ma anche sorridere perché mi ha ricordato la celeberrima scena di “Io e Annie”, quella con Marshall McLuhan, avete presente? Ma proprio perché sono una persona corretta ci tengo a ridimensionare l’accaduto. Intanto perché il gruppetto erano tre e pure colleghi tra di loro, e il tono del dibattito non era certo quello che potrebbe suscitare il celebre sociologo canadese per di più interpellato da Woody Allen per dirimere una controversia dialettica. Su un libro di gente del mio calibro cosa si può dire? Ha una bella copertina? Chi lo conosce? In Italia ci sono più scrittori che lettori? Comunque vi farà piacere sapere che ho mantenuto la calma e tutto perché non sono certo nuovo a situazioni di questo genere. Nel 95, poco dopo la pubblicazione del primo CD del gruppo in cui suonavo, grazie a una serie di ingranaggi oliati per bene dalla lobby della cultura underground genovese, che ai tempi occupava alcune stanze dei bottoni e molte delle posizioni decisionali più importanti, ci avevano dedicato la copertina e un paio di paginoni su “Musica” di Repubblica. C’era una bella foto di noi messi a scalare in ordine d’importanza, e anche se i tastieristi sono il fanalino di coda nel rock comunque nell’angolo in alto a sinistra la mia faccia era riconoscibilissima malgrado gli occhialini da sole tondi alla John Lennon. Ai tempi la gente leggeva ancora i quotidiani, mica c’erano gli smartcosi e Internet come la conosciamo noi, quindi per farla breve quando mi sono seduto in treno – di giorno facevo il normale impiegato – mi sono trovato in mezzo a un paio di universitari immersi nella lettura dello speciale su di noi, con il quotidiano spalancato davanti al viso e con la mia foto in bella mostra. Se fossi stato di tutt’altra tempra li avrei interrotti nella lettura per dirgli “sono io, sono io quello lì in prima pagina”, ma a me è sempre piaciuto tenere un profilo basso e aspettare che gli altri si accorgano di tutto: le donne che mi piacciono, i colleghi che sono uno bravo, la gente in genere che sono onesto, serio e simpatico, il mercato musicale che suono bene, il pubblico dei lettori che copio con scarsi risultati gli scrittori americani che leggo. Avevo comunque un paio di copie di quel numero di Musica di Repubblica, e sono certo di averle smarrite entrambe.

che mano c'è dopo la seconda

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Tutto nasce dal fatto che pur non giocando a pallavolo Ivano si è fatto comprare un paio di ginocchiere Mikasa perché gli piace l’articolo. Così ho rilanciato con i trasferelli con lettere e numeri che mi spiace proprio usare perché poi non si possono più staccare e riciclare. Daria invece ha il cassettone sotto il letto pieno di taccuini Moleskine di tutte le fogge, con la pagina bianca, a righe e a quadretti e persino qualche agenda degli anni prima completamente immacolate, di quelle che devi calcolare quanti anni occorrono prima che torni di nuovo utile malgrado l’anno impresso sopra. Io posso partecipare anche con una yogurtiera, anzi due uguali precise. La prima comprata in un mercatino dell’usato, la seconda omaggio di qualcuno non so chi. Il bello è che nessuno qui ha mai fatto un bicchierino di yogurt ma intanto l’importante e avercene almeno due, non si sa mai. Poi conosco persone che è meglio non aprir loro mai il guardaroba perché ci vorrebbe solo il coraggio di prendergli tutti gli indumenti che non mettono mai e di nascosto vestirci sai quante famiglie di poveri. Mia mamma non ha mai usato l’accappatoio che le abbiamo regalato il primo Natale dopo che è nata nostra figlia; mia mamma non indossa accappatoi perché è abituata ai teli grandi e in più è una di quelle persone che non convincerai mai a fare a meno delle proprie abitudini. Le cose che non usiamo fanno molta tenerezza perché nessuno ci ha costretti a dotarcene e loro se ne sarebbero state volentieri nel mondo da cui provengono, il mondo in cui le cose stanno prima che entrino in nostro possesso che non è un negozio, un magazzino, Amazon o un buco nero in cui materia e antimateria si scontrano generando ginocchiere, trasferelli, taccuini Moleskine, yogurtiere eccetera. Acquisti di pancia, regali distratti, eredità incontrollate, persino ritrovamenti o voglia di spendere di fronte alle bancarelle dei rigattieri. Le cose che non abbiamo mai usato un giorno ci chiederanno conto del perché abbiamo dato loro, come ai cani che pensano che ogni visita al canile sia quella decisiva, l’illusione di essere beni indispensabili. Le cose che non abbiamo mai usato sono tantissime e riempiono una seconda vita parallela a quella ufficiale, un luogo in cui prima o poi dovremmo trovare il coraggio di farci vedere e adottare una exit strategy. Non chiedetemi come, non ci ho mai provato, sono ancora in piena fase di inventario.