non c'è nient'altro al mondo che odora così

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Capisco subito dal profumo eccessivo di deodorante per ambiente di primo mattino, uno di quelli in grado di trasformare un qualsiasi ufficio di poche pretese in una foresta tropicale, che è bastato assentarmi un pomeriggio per perdermi il colpo di stato, la rivoluzione epocale, l’instaurazione del regime e che, approfittando dell’assenza, il sistema ha fatto piazza pulita di metodi antichi e improduttivi, orpelli di storia individuale come il cagnolino da cruscotto che muove la testa quando la macchina sobbalza e che ora giace rotto e privo dell’occhio destro sulla mia scrivania e quattordici anni di biglietti da visita ammassati in un portapenne. Gente che sicuramente non lavora più nei posti indicati in calce al nome e cognome e chissà dove vive ora, magari su una spiaggia dei Caraibi a gestire un chiosco di shottini, uno dei neologismi per i quali l’umanità dovrebbe estinguersi entro fine 2016 (tanto alcuni dei suoi più rappresentativi esponenti ha già provveduto). C’è un ristorante dalle parti della sede Microsoft che ha le pareti decorate proprio da quei rettangolini di carta illustrati – che il popolo sfrutta più che altro come filtrini per spinelli – messi al riparo dagli schizzi di ragù dietro pannelli in plexiglass, frutto di centinaia di migliaia di pranzi di lavoro. A Milano non ci facciamo mancare proprio niente. Ma potete stare tranquilli perché in realtà non è successo nulla di tutto questo, sono solo gli effetti allucinogeni della dose da elefante di spray esotico che è stata immessa in anticipo sull’inizio delle attività lavorative a causa di una porzione di broccoli abbandonati da un anonimo collega il giorno prima, i quali (i broccoli) lasciati a sé non hanno perso tempo a manifestare il loro disappunto come solo loro (i broccoli) sanno fare. L’impatto su di me è stato così forte che mi ha disintegrato l’entusiasmo con cui stavo gongolando su un’idea per una pubblicità di auto. Gli spot te le fanno vedere lanciate su strade deserte, ma la vera sfida sarebbe costruire modelli che ti rendono piacevoli le code al semaforo quando ti perdi il verde per la terza o quarta volta, o un classico rientro pomeridiano lungo la tangenziale. Avevo pensato anche alla musica e mi sembrava che davvero potesse spaccare, d’altronde io non ascolto questo o quel genere ma solo bella musica e non ho problemi a passare da David Bowie a Fela Kuti con la massima disinvoltura. La creatività prevedeva invece una conversazione tra mia moglie e me dopo una cena a casa di una coppia di medici, lui che fa il chirurgo e assaggia la pasta dopo chissà quale parte del corpo ha ricucito, lei manager per una multinazionale del farmaco, e noi due che ci chiediamo se siamo così poco interessanti se nessuno, a tavola, ci chiede mai nulla di noi.

prenotatevi per una visita guidata a casa vostra

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Le donne in vetrina di Amsterdam sono una stranezza per noi mediterranei, e non solo per l’istituzionalizzazione del sesso a pagamento che rappresentano. Ad Amsterdam si vedono molte abitazioni con ampie porzioni di vetrate sulla strada che qui da noi non le hanno nemmeno i negozi nelle vie del centro. La privacy domestica varia con la cultura e le proprie radici ma c’è, come sempre, il solito fattore legato alla latitudine. Chi ha poco sole cerca di prenderselo tutto. Chi ne ha tanto a disposizione usa persino gli scuri.

Nel nostro piccolo, basta che un lombardo soggiorni in un appartamento in Liguria per scardinare le più comuni convenzioni sociali a partire dagli infissi. Persiane spalancate e chi si è visto si è visto, senza badare al vicino di sopra con le mutande stese ad asciugare sulla via o il dirimpettaio che ti guarda in casa per capire, dall’arredamento di cui ti circondi, quanto sei spendaccione. Che ci volete fare. Si tratta di un’usanza e più vai a sud e meno si sta allo scoperto. Che gli italiani diano degli scostumati agli abitanti del nord Europa non è un caso, d’altronde. E questa abitudine alla clausura delle popolazioni latine è un peccato perché impiccioni come noi ce ne sono pochi al mondo e quindi ecco il cerchio che si chiude come le tende per non mettere in piazza le nostre abitudini. Chissà se è nato prima il voyeur o l’esibizionista, questo è il dilemma.

Comunque io quando girello per le strade più eleganti qui a Milano, quelle con le unità monofamiliari in sequenza – ci sono interi quartieri così, tanto che sembra di essere in un film americano se non mancassero il barbecue in giardino, il giardino stesso, il dondolo sotto il porticato e il porticato stesso e pure la bandiera a stelle e strisce – non resisto a sbirciare dalle finestre al piano terra.

Se in estate sono aperte, però, fate attenzione. Ho indugiato troppo, una volta, ed è spuntato un cane enorme che si è messo con i zamponi sul davanzale e mi ha guardato ringhiando altro che in cagnesco. Con le stagioni fredde le cose sono molto più semplici, complice il buio che scende presto e le luci, di conseguenza, accese in pieno pomeriggio.

Domenica, dietro a una vetrata che dava su un minuscolo cortile privato, ho intravisto una donna anzianissima avvolta in una coperta dalla testa ai piedi, con un’espressione immobile che rifletteva le luci di un varietà tv da giorno festivo (una “domenica in” qualunque) su un viso accartocciato dalle rughe. Peccato non aver sentito l’audio della trasmissione che stava subendo. Seduta all’estremità di un profondo divano, in un salotto elegantissimo, sembrava uno di quei monaci ultracentenari orientali le cui foto si vedono tra le notizie più strambe nelle colonne acchiappa-clic dei quotidiani on-line. Avete presente? Clicca qui per vedere la reazione di un passante alla vista della donna più vecchia del mondo, seduta in una casa vuota in un quartiere residenziale di Milano.

a qualcuno interessa un mono-auricolare blu?

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Ci sono buone possibilità che la vita sia una cosa che ti danno in prestito e poi, al termine del giro, la restituisci all’organizzazione come le audioguide delle mostre o gli apparecchietti simili che hanno le comitive in visita per ascoltare le spiegazioni della guida. Ho partecipato a una visita al Cimitero Monumentale di Milano un paio di sabati fa, con un tempo perfettamente autunnale che, per un’esperienza del genere, era proprio la morte sua. E quella cosa che dicevo prima mi è venuta in mente proprio lì, tra un monumento funebre e una tomba più ordinaria. Ci sono le occasioni in cui – mi è successo alla mostra su Bowie, domenica scorsa – vieni fornito di dispositivi tecnologicamente all’avanguardia. Cuffie della madonna con i bassi amplificati o anche tablet super-velocissimi per seguire al meglio le cose che vedi esposte. Manco a dirlo, quando finisce tutto c’è quasi sempre una ragazza deliziosa a ridosso dell’uscita a cui consegnare i dispositivi ricevuti in dotazione per migliorare l’esperienza di visita. La ragazza è deliziosa ma se la prende un po’ se non stacchi prima la cuffia e lasci a lei l’incombenza.

Chissà però se qualcuno ci prova a mettersi tutto nello zaino e passare inosservato, anche se un museo non è certo il primo autogrill in cui entri, ti mangi un gelato facendo il percorso che ti fanno fare per farti venire voglia di acquistare tutte quelle cose che ci sono all’autogrill e che chissà se qualcuno avrà comprato mai nella sua vita, getti la carta del gelato nella spazzatura, vai sotto a fare la pipì e a lavarti le mani ed esci senza pagare dopo la gimkana tra salami, confezioni di Kinder da millemila barrette, best seller, superalcolici e persino oggettistica che ogni volta mi tenta, a partire dai cucchiai da cucina in legno a forma di basso e chitarra a venti euro, li avete visti?

Ma, tornando al discorso di prima, al cimitero di Milano la dotazione era diversa. All’ingresso mi è stata consegnata una cuffia mono-auricolare blu che, alla fine, la guida ci ha detto di gettare. Io pensavo che le dovessimo restituire, malgrado la semplicità dello strumento, e che ci fosse dietro una struttura dedicata alla sterilizzazione di quegli oggetti intimi come per le cuffie hi-fi di Bowie. Invece no, probabilmente costa di più farle pulire che lasciarle da smaltire o riciclare alla nettezza urbana, di certo nessuno le utilizza una seconda volta, siamo troppo abituati allo stereo per sopportare un downgrade a un mono-auricolare.

Questo per dire che probabilmente, se mi confermate la veridicità della metafora della vita che restituisci a fine giro, c’è qualcosa di poco valore che ti resta alla fine e che in qualche modo ti ha messo in contatto per tutto il tempo in cui sei rimasto in ballo con qualcuno che ti ha dato delle dritte e ti ha suggerito su cosa soffermarti e cosa no. Il Cimitero Monumentale è gigantesco e mica riesci a vederlo tutto e poi, obiettivamente, non tutti si possono permettere opere d’arte come certi vip che vi riposano. Quindi niente, se c’è qualcosa che resta alla fine fate come me. Ho ancora quel mono-auricolare nella sua confezione intonsa nella tasca del piumino 100 grammi che indosso proprio da quel sabato lì, perché poi, per affrontare la visita, ho utilizzato i miei, di auricolari, quelli dello smartphone, perché sono stereo e perché ho pensato che sarebbe stato meglio così e perché non fido poi tanto delle sterilizzazioni anche quando non sono previste perché alla fine, le cuffie, ti dicono di tenerle.

vicini vicini

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Sono in molti a considerarlo un lusso ma per me è una vera e propria trappola: si aprono le porte dell’ascensore e ti trovi direttamente dentro casa. L’idea appartiene di certo a qualche archistar eccentrica che voleva in qualche modo lasciare il segno. A parte che i gradi di separazione ambientale dalla strada, in questo modo, si riducono drasticamente e corri il rischio di scendere in mutande nella via o, peggio, di ritrovarti uno sconosciuto che ha sbagliato portone steso sul divano. Ho pronti giusto due esempi di un’esperienza traumatizzante di questo tipo. Mio nonno che rincasa ubriaco e manca di un piano il suo appartamento e anni dopo io che, completamente sobrio, schiaccio due anziché tre sulla pulsantiera e, giunto a destinazione, apro deciso la porta di casa della vicina di sotto di mia cognata, in un condominio in cui l’usanza di soggiornare senza chiudere a chiave è la norma. Ma poi volete mettere il fascino nel bene e nel male che hanno le scale?

A casa della mia famiglia il confort dell’ascensore è arrivato tardi, quando il nonno ubriaco era già morto di cirrosi e la nonna a portare su la spesa per cinque piani ci aveva già rinunciato da tempo. Le rampe noi ragazzi le scendevamo di volata a tre o quattro gradini per volta con balzo conclusivo che faceva tremare tutto, ma le occasioni in cui qualcuno usciva a sgridarci non me le ricordo proprio. Salirle era tutt’altra fatica ma non mi sono mai tirato indietro.

Sulle scale poi si facevano incontri pericolosi. Ragazzi già con il laccio emostatico e la siringa pronta, persino gente che faceva l’amore al buio, e in tempi in cui non si andava tanto per il sottile, ma io non ero ancora nato, gli adulti inseguivano le ragazzine e mia mamma, che me lo racconta sempre, se lo ricorda ancora oggi. C’è persino una certa solidarietà sulle scale, ci si incontra di rado ma sembra che quell’infrastruttura così rigorosa e scolastica come solo un geometra può pensarla costituisca una catena di gradini che congiunge democraticamente famiglie di ogni tipo e classe sociale, dal seminterrato all’attico, persone pronte a socchiudere la porta anche se il gesto è quello di aprirla, qualcuno ha bisogno, c’è un cane rimasto fuori, si sentono delle grida, è mancata a tutti la corrente, ho fatto dei biscotti e ho pensato di fargliene avere un po’.

quella sottile sensazione di appagamento che si prova osservando in silenzio ambienti vuoti

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Nelle foto piccole non vi riconosco mai, ma sarà un mio problema di vista. Se poi nello spazio dedicato alle foto profilo che già sono minuscole mettete le vostre foto ancora più piccole e magari nemmeno in primo piano e per giunta lasciate intorno della cornice, potete stare sicuri che nessuno vi trova e chi vi trova pensa a quanto siete imbranati con il computer, se non siete nemmeno buoni a dimensionare un’immagine a seconda di quanto vi viene chiesto o a tagliarla in modo che non ci sia spazio intorno. Comunque se non siete capaci non è la fine del mondo e potete chiedere aiuto a qualcuno. Io non so usare il trapano, per dire, così mi avvalgo della consulenza di un vicino di casa. Ho appena terminato un lavoro nel box per il quale ho usufruito della sua manualità. Pagando, naturalmente. Mi ha costruito un sistema di mensole e ora posso conservare cose che invece dovrei gettare all’ennesima potenza. Io gli passavo i fischer, l’avvitatore e i vari strumenti e lui di rimando faceva e al contempo mi raccontava i pettegolezzi sugli altri condomini. Ma se siete lupi o lupe solitarie vi consiglio quell’apparecchietto per cui guardi le cose da fare e le cose si fanno da sole. Ce ne sono di varie marche, su Amazon sono sbarcati persino gli immancabili produttori e distributori dell’estremo oriente a prezzi stracciati e, badate bene, non è detto che la qualità lasci a desiderare. La morale è che non bisogna fare gli sbruffoni – che tra l’altro al mio vicino aggiusta-tutto non gli vanno a genio – e che non c’è niente di male a chiedere dei favori, anche dovendoli retribuire. In cambio offro consulenza su cose inutili. Ma a parte qualche dritta sul situazionismo o sulla scrittura più adatta ai social network, argomenti di cui mi capita di discutere sempre più di rado, raramente vengo interpellato per qualcosa. Solitamente sono io quello che ascolta e lascia sfogare le personalità altrui, a me è sufficiente venire qui e godere delle mancanza di contraddittorio, oltreché di lettori.

dizionario delle cose sconosciute, lettera M

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Non riesco ancora a credere che esistano ragazze che al sabato baciano uno e la domenica ne baciano un altro. Sarà che Madeleine ha un nome esotico e dalle sue parti si usa così. Non è solo questo il fenomeno sconosciuto che fa breccia nelle esperienze dei maschi qui dalle nostre parti, ma bene o male dobbiamo imparare a conviverci e diventare adulti vuol dire anche questo. La lista da allora ad oggi è piena di full immersion nelle cose sottosopra. La seconda che mi viene in mente è che lasciare le chiavi di casa a una persona con cui poi, dopo qualche tempo, ci si separa ha effetti così opposti che non smetterò mai di meravigliarmi. Un giorno, lasci il desktop del pc con uno sfondo preparato ad hoc pieno di frasi carine per sorprenderla quando lei lo accenderà, sola in casa tua a finire la relazione mentre tu sei al lavoro. Un altro, lei si riporterà a casa persino le tende del bagno. Direste mai che si tratta della stessa persona? Le cose prendono un verso tutto al contrario come la storia della pulce e dell’equilibrista sulla corda, ma se non avete visto Stranger Things tutte queste citazioni non potete coglierle. Statevene pure allora dalla solita parte del mondo, quella che è piena di stampatori e, da quanto vedo in giro, sembra si tratti ancora della professione più diffusa in assoluto. Perché abbiamo ancora così tanta necessità di stampare? Io ne conosco almeno una dozzina, cinque dei quali sono pure buoni amici, uno è persino il mio vicino di casa, e uno che invece vive lontano da qui poi, con Madeleine, ci ha fatto pure un paio di figli. Lui, però, la prima volta l’ha baciata di lunedì.

che rabbia

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Serena mi viene incontro sfoggiando un vistoso paio di occhiali da sole e da quel particolare capisco che c’è qualcosa che non va. Quel cucciolo di non-so-che-razza che si è accollata in casa la trascina per accelerare l’incontro con me e saltarmi addosso con quell’entusiasmo fuori luogo e spesso incontenibile che hanno i cani quando sono piccoli. Io con i cani non mi trovo a mio agio, anzi proprio non li sopporto, ma Serena mi piace e stiamo insieme da poco. Se le confessassi il fastidio che mi provoca avere animali in prossimità taglierebbe ogni contatto senza tanti complimenti.

Il cane però si blocca improvvisamente distratto da una di quelle cose che vedono o sentono solo loro, forse è la pipì di qualche suo collega lì da qualche parte. Serena rilascia di qualche mandata il guinzaglio che è di quelli che si arrotolano come i cavi dell’aspirapolvere, mi si avvicina e allora noto le chiazze che le ricoprono il viso e le braccia nude. Si sfila i Ray Ban e non vi dico in che stato sono gli occhi. Mi racconta che la bestia che in questo momento sta scorrazzando ai nostri piedi le ha attaccato non so quale malattia. Non è grave, ma insomma. Potessi scegliere, cercherei di non farmi contagiare, se devo dirla tutta. Le prude dappertutto e vede persino annebbiato.

Cerco di ricordarmi se il suo nuovo cane mi ha azzannato anche per gioco ma mi sembra di no, e se avessi contratto lo stesso disturbo probabilmente mi si sarebbe già manifestato. La trasmissione delle malattie dagli animali è un processo che, pur naturale, mi mette a disagio. Non che farsi infettare di qualcosa da un essere umano non sia da meno, però mi dà l’idea che il nostro organismo sia più reattivo, in questi casi. Balle. Mi viene in mente infatti come ho dato di matto quando Giada mi aveva avvisato al telefono di un fungo che mi aveva passato potete immaginare in che modo e che, per guarire entrambi, avremmo dovuto curarci insieme. Era l’idea in sé che disapprovavo, io con Giada proprio non volevo imbastire nessuna storia e la necessità di condividere un aspetto così intimo rovinava tutti i miei piani di gestione superficiale della cosa.

Con Serena è diverso e, infatti, quando sento i risvolti di quello che le è successo mi prende la rabbia ma quella umana che è difficile da controllare, non quella canina che è tutto un altro paio di maniche. Il dermatologo a cui si è rivolta per avviare una terapia e guarire le ha chiesto di spogliarsi completamente. Voleva controllare la presenza di macchie anche a ridosso dei genitali. Lei per prima è rimasta perplessa da tale scrupolosità ma non se l’è sentita di chiedere spiegazioni su quell’approfondimento così imbarazzante. Ora, con suo papà che è medico, sta valutando se prendere provvedimenti e consultare un avvocato per sporgere denuncia. Il cucciolo che ha scelto al canile municipale non si rende conto dei danni che sta recando a lei, a me, a noi. Per creare un maggior contatto emotivo con Serena mi chino ad accarezzare quell’inutile passatempo semovente e lui, come prima cosa, mi restituisce con i denti sul dorso della mano tutta la mia diffidenza.

piano piano

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Non so quale sia il vostro problema con la pianura, con gli spazi dritti, con l’essere vulnerabile da ogni punto cardinale e non avere nessun riparo alle spalle o qualche distesa d’acqua davanti a sbarrarti la strada. Siamo in tempi di pace e non c’è nessuna tribù nomade da intercettare prima che la frittata sia fatta, e della prossimità dell’acqua comunque è sempre meglio farne a meno, attira gente in una dinamica turistica mordi e fuggi e non puoi mai prevedere le onde anomale o le precipitazioni che ne aumentano il livello. In pianura c’è persino quella specie di effetto della curvatura terrestre che ti fa sentire come se abitassi sul guscio di una tartaruga e pensi che davvero, questa cosa per cui ci siamo sviluppati su una palla appesa chissà come nell’universo ha il suo fascino. L’alba e il tramonto visti in pianura sono molto pittoreschi e il sole si manifesta con un diametro altrove inimmaginabile. In pianura devi solo essere più sveglio e imparare a orientarti il più velocemente possibile. Un filare di alberi lo puoi prendere indistintamente da una parte o dall’altra, così come un sentiero o anche un’autostrada, il problema è capire dove devi andare. Ma si tratta di un compromesso a cui è facile prestarsi in cambio della comodità di rinunciare a salite e discese, a dover scendere alla fermata successiva per poi fare il pezzo mancante a piedi vero il basso che è meno faticoso. Prendete una città in cui è tutto un saliscendi e provate a invecchiare là, a spingere passeggini doppi per gemelli, a raggiungere destinazioni in cima a strade in condizioni fisiche non ottimali. Sovrappeso. Quando fa molto caldo e non c’è un filo d’aria. Provate a traslocare e poi ne parliamo. Provate a fare la spesa e a usare lo zaino quello militare per trasportare prodotti pesanti, magari in bottiglie di vetro da litro, sulla schiena arrampicandovi su scalinate impervie. In pianura non c’è bisogno di tutto questo, non ci sono i monti, non c’è il mare. I corpi tondi rotolano solo spingendoli il giusto, le gambe corrono per inerzia, le biciclette si lasciano guidare, le persone si inseguono e non ci sono vantaggi o svantaggi, tutto dipende dalle capacità del singolo. Lungo i tragitti non si vede la fine e, a metà, ci si volta indietro e si è perduto anche il punto di partenza. Si può riflettere quindi su origine e destinazione, ed è per questo che non so davvero quale sia il vostro problema con la pianura, è tutto uguale e questa sorta di democrazia geografica rende la pianura forse più complessa da comprendere e accettare, un po’ come il socialismo reale, ma resta l’ambiente ideale per uno sviluppo omogeneo del genere umano.

le prime cose che mi vengono in mente se mi chiedete che cosa ci trovo di bello in questa stagione

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Tenere al riparo dal vento le pagine del libro dei compiti delle vacanze, all’ombra incerta delle frasche che lasciano filtrare il sole caldo nelle prime ore del pomeriggio. Le figure che restano impresse nella vista rientrando in luoghi al chiuso dopo ore trascorse alla luce chiara del giorno. I suoni delle onde del mare percepiti da sdraiati con le orecchie quasi a contatto con la sabbia. La strenua ricerca di sapori e cibi da consumarsi freschi, le insalate di pasta, il vino bianco mosso. L’alba e il tramonto e la difficoltà di distinguerli l’uno dall’altro. I viaggi brevi sulla cabriolet. La facilità con cui ci si sveste nelle situazioni in cui lo si richiede, l’assenza di vincoli dei tessuti che è un po’ la metafora della libertà che vige nei mesi dell’estate e certa promiscuità dovuta ai costumi da bagno. La faccia che brucia ancora anche se fuori è già settembre ma nessuno ci vuole credere. Le attese con quaranta gradi e il baccano delle navi mentre si aspetta l’imbarco, con i tedeschi sui California a lato che hanno sempre famiglie molto più giovani e numerose delle nostre. La birra. Le sere in montagna che sono già un preludio dell’autunno con le felpe e i calzettoni. I concerti nelle piazze delle città toscane e i gruppi americani che si stupiscono sempre che le vibrazioni di basso e batteria non facciano venire giù i campanili del trecento. Le zanzare. La città che si arrende al regime imposto dai pochi che restano a lavorare, i parcheggi che si trovano e le auto che si ritrovano a sera roventi, l’aria condizionata sui mezzi pubblici e le ragazze con la pashmina sulle spalle. Gli short, che è sempre un bel motivo per apprezzare l’estate. I recidivi delle calzature invernali anche a luglio perché i Dr. Martens da spiaggia non li hanno ancora inventati. I viaggi al nord a cercare il freddo e le cassette di Battiato. I nonni che accolgono i nipoti, i genitori che al venerdì sera li raggiungono per poi tornare direttamente in ufficio il lunedì mattina, tutti gli altri che ormai certe cose non esistono più. Trascorrere il ferragosto in casa, soli, che è bello anche così.

mi chiedo se Marcel Proust fosse costretto a portare giù la spazzatura o togliere con la spazzola i peli del gatto dal divano

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Mi chiedo se Marcel Proust fosse costretto a portare giù la spazzatura o togliere con la spazzola i peli del gatto dal divano. Noi scrittori dovremmo essere esentati da tutto ciò che ci distoglie dalla nostra essenza che è trovare la verità e interpretarla con il nostro stile inconfondibile al pubblico che con il suo entusiasmo ci consente di mangiare e mandare i nostri figli a scuola. È infatti grazie a gente come me e Marcel Proust che avete la fortuna di dare risposte ai grandi problemi del reale a partire dal tempo, dalla morte e dal fare cattleya. Meno ore mi fate perdere con l’operatività quotidiana, prima arrivo al mio fine ultimo, che è riflettere per concedervi sollievo esistenziale. Certo, Marcel a differenza mia non godeva di tutti i vantaggi che i social media offrono. Qualcuno comunque dovrebbe farlo notare a mia moglie. Un tempo noi intellettuali eravamo dispensati da queste incursioni nella quotidianità. Erano belli i tempi in cui la differenza di classe era molto più marcata di oggi, si faceva ricorso alla servitù e la borghesia pensava solo a fare quattrini e mica aveva tempo per lo spleen e altre speculazioni che tolgono tempo al profitto. Per Marcel Proust la domenica e il concetto stesso di giorno feriale e festivo oggi sarebbero cose più che superate. Quindi, per favore, cara, ti spiace darti da fare con quelle sarde al forno mentre aggiorno il mio blog? Grazie.