Nell’anno del signore 2012, in una raccolta di figurine che si chiama Starzone dedicata alla musica leggera, c’è posto anche per Raffaella Carrà. E non mi è chiaro se il numero coincide con l’età.
alti e bassi di fedeltà sonora
si prega di non spegnere i cellulari durante l’esibizione
StandardOra immagino che anche le reazioni ai primi modelli di campionatori o di sequencer siano state più dalla parte degli apocalittici che degli integrati, mi riferisco agli addetti ai lavori, non necessariamente ai puristi. Ma se date un’occhiata al video qui sotto, la chitarra con lo slot per l’iPhone non è proprio una chitarra ma è più una specie di passatempo, benché si tratti di un progetto finanziato con centomila dollari. E la descrizione che accompagna l’innovativo prodotto, gTar – la chitarra che chiunque può suonare regardless of experience – conferma la regola per la quale dare una chitarra in mano al primo che passa non è mai una buona idea, che sia un giocattolino come questa che una Telecaster. Al primo che passa meglio lasciargli l’iPhone, di certo avrà maggiore dimestichezza.
pretty vacant
StandardNei loro video, nelle loro foto, sulle pagine delle aziende a cui prestano la loro faccia come parte integrante del loro capitale intellettuale, nei profile picture in cui si mostrano in campo lungo, in primo piano, o solo per un particolare che fa anche di quei pochi pixel un dettaglio creativo e curato magari da un’app i cui effetti fanno parte del loro immaginario quotidiano, tanto che riescono a filtrare le esperienze come se fossero Polaroid viventi. Nei loro scritti che intasano i risultati dei motori di ricerca come volantini promozionali in cassette della posta di case disabitate e nel grottesco tentativo di riproporre live tutto questo giorno per giorno con gli amici, in famiglia, con sconosciuti in appartamenti in condivisione. Tutto questo entusiasmo a rimborso spese se va bene, ecco, io uomo di mezza età mi chiedo dove lo trovino.
giuliano hi-nrg mc
StandardChe poi in realtà il rap italiano non esiste, perché si tratta di un genere talmente specifico di un’etnia e così connotato da fattori al di fuori dei quali perde di sostanza. Voglio dire, scevro da essere composto ed eseguito da afroamericani, non in lingua inglese e fuori dal ghetto, e per ghetto intendo tutto quello che è oltre i confini delle stelle e strisce WASP, non ne rimane nulla se non parole in rima su musica e prive di melodia. Che sì, può essere rap per la proprietà transitiva, ma è come un film western di fantascienza che ha la Pantera Rosa come protagonista, non so se rendo l’idea. No, lo immaginavo. Qualcosa di vagamente comparabile con il rap, e questo a partire dai Sangue Misto fino a tutti i tamarri di oggi che si sono adeguati all’intamarrimento del rap originale. E quindi se possiamo dire che il rap italiano non esiste, allora non esiste neppure il rap di Giuliano Ferrara, e forse non esiste nemmeno Giuliano Ferrara in sé. Affare fatto.
vorrei ma non posso
StandardIl mio era un Moog Prodigy, lo vedete nelle foto qui sotto, e io lo trovavo davvero un synth eccezionale malgrado si trattasse di uno strumento monofonico (mettere strumenti monofonici in mano a un tastierista è come dare un pallone sgonfio a Pelè, la maggior parte di noi proprio non ha la mentalità monodica) e con nemmeno tre ottave di estensione. E lo avevo acquistato solo perché l’avevo trovato usato in un negozietto di provincia in un momento in cui i tastieristi non se li flava nessuno e quindi i synth analogici non dico che te li tiravano dietro ma quasi. In più il Prodigy già di per sé è il modello entry-level, da qui il titolo di questo post perché i Moog di nuova generazione hanno prezzi inaccessibili e quindi va bene celebrare il settantottesimo anniversario di Robert Moog anche con un Doodle, però sappiate che è una roba da ricchi. Il mio Prodigy, comunque, l’ho sfruttato ampiamente sia durante il periodo dell’acid jazz che cavalcando il ritorno del post punk, fino a quando l’ho lasciato in una sala prove ricavata in uno scantinato e potete immaginare l’umidità come me l’ha ridotto. Che già, usandolo dal vivo, ogni volta l’accordatura era una scommessa e dipendeva dalle condizioni del tempo. E così come tutti, stufo di ronzii e di disturbi in amplificazione, l’ho venduto in pieno boom del ritorno al vintage. Ho fatto però un vero affare, devo ammetterlo.
comunicazione personale
StandardC’è solo una cosa che mi piacerebbe risolvere, anche se è passato tanto tempo e non ha più importanza e chissà dove siamo tutti e due l’uno rispetto all’altra. Cioè io lo so dove sono e non posso immaginare dove sei tu, ma a volte quando sono qui piantato davanti con le cuffie bianche – quelle che ho acquistato su Amazon e me le hanno spedite del colore sbagliato ma non avevo voglia di farmele cambiare e sembro un po’ così con le cuffie bianco ottico calate sulla testa – e sento delle canzoni su youtube prima di addormentarmi. E da quando esiste il pop e il rock e tutta quella roba lì è facile che ascolti un pezzo e quel pezzo ti riporta alla mente qualcosa, e il vantaggio di avere la musica proprio sullo stesso pezzo di plastica su cui anche scrivi è che puoi mandare quel pensiero che ti è venuto immediatamente al destinatario, o magari non sai dove si trovi il destinatario e allora scrivi una cosa, la metti in una bottiglia virtuale e la getti qui dentro. In questo oceano che non sai dove inizia e dove finisce e quali civiltà ci si bagnano i piedi.
E così c’è questo mondo che ti crei tu, sto parlando a un tu immaginario e non al tu del “chissà dove siamo tutti e due l’uno rispetto all’altra”, dove vedi molto probabile che il messaggio sia raccolto da un pescatore sulla riva opposta e che guardacaso sia il vicino di casa del destinatario, così il pescatore porta il biglietto a destinazione e la cosa che ti piacerebbe risolvere si risolve. Ma questo passaggio che accade solo nelle commedie sentimentali ha le stesse concrete possibilità di avverarsi di vedersi pubblicato un libro senza nemmeno una lira spesa dall’autore. Un libro che comincia così: comunque quel nastro che si apriva con “Isolation” dei Joy Division che era solo lo step due della domanda propedeutica al tutto, che non è tanto “che cosa fai stasera” bensì “che tipo di musica ascolti”, quello era stato miracoloso perché poi è successo tutto quello che succede in una favoletta americana da cinema rosa anni 80. Solo che gli 80 erano già finiti, se non altro nello spirito, e non aveva importanza se non lo avevi mai sentito quel pezzo lì, l’importante è che improvvisamente ti avesse spalancato una porta su un panorama affascinante e inconsueto.
Poi si sa come vanno le cose, c’è stato un punto in cui non ci siamo impegnati nell’arrivare in cima al valico per poi lasciarci cadere giù dall’altra parte che era la cosa più facile. Uno dei due non ha voluto proseguire ed è tornato indietro malgrado fosse notte fonda da dove eravamo venuti, questa è tutta una metafora spero sia chiaro, perché significa che ognuno ha preso la sua strada perché oltre sarebbe stato troppo in tutti i sensi. Avete capito che io ero quello che voleva proseguire. Ma se io ti avessi seguito avremmo disceso comunque insieme? Non so, è una trama che non si risolverà mai e avrei dovuto saperlo prima di mettermi a scrivere questa storia. Comunque visto che non ci siamo nemmeno mai più sentiti ma io ho avuto un brutto presentimento quando ho ascoltato per sbaglio una conversazione in cui si diceva delle tue pessime condizioni di salute, questo anni dopo e pure troppi, volevo solo dirti che il fatto che tu pur piacendoti quella canzone ne criticassi la sezione ritmica fatiscente e leggera (sono parole tue) rispetto a quei strumentisti un po’ materialotti che facevano parte dei tuoi gruppi preferiti (sono parole mie), a me non era mai andata giù. Così ora ti do una seconda possibilità, almeno per questo. Ti faccio sentire qui una versione di “Isolation” suonata dai New Order, senti come l’hanno attualizzata, tenendo conto che quando dico attualizzata ti parlo di una performance dal vivo che ormai ha già comunque più di dieci anni. Spero non sia troppo tardi nemmeno stavolta.
ok commodore
StandardSigur Rós – Ég anda
StandardUn pezzo nuovo dei Sigur Ros con video annesso lo si posta a priori. Ora lo pubblico e lo vedo insieme a voi. Spegnete le luci, grazie.
sweet billy pilgrim – joyful reunion
Standardè tutta una questione di spessore
StandardE vogliamo parlare dell’importanza che riveste il rullante nella cultura occidentale e nella nostra vita? Sticazzi, penseranno i miei venticinque lettori, vuoi dire che plus1gmt ha intenzione di scrivere una delle sue dissertazioni addirittura sul rullante nel senso del rullante della batteria? Ma è così a corto di argomenti? No, non è certo quello il punto. E non sono mai a corto di argomenti. Però se la nostra vita si muove a ritmo di musica, quanto è vero che la musica deve essere palesemente ritmata. Quindi – anche se non è detto – che sia supportata da un buona base di batteria sotto! E, insieme alla cassa, il rullante è altro che fondamentale. Dietro a un grande bum c’è sempre un grande cha, non dimenticatelo mai.
Ora, non sono certo un batterista pur avendo uno sviluppato senso del ritmo, ma trovo che sia interessante il fatto che il suono di rullante sia soggetto a mode e correnti di pensiero generazionali, che ci sia una sorta di estetica nel timbro dello snare drum e che si trovi sempre uno standard che poi tutti gli altri batteristi seguono fino a quando c’è un cartello di produttori che decide che non va più bene. L’esempio più eclatante è quello del rullante che negli anni 90 utilizzava Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers, con quel suono particolarmente acuto che poi è stato adottato da numerosi altri gruppi dell’epoca ed è diventato quasi un must. La peculiarità di quel timbro era determinata dallo spessore dello strumento in questione: il rullante più è sottile e meno il suono è grave. Per farvi capire cosa intendo, provate a sentire la rullata che introduce Two Princes degli Spin Doctors, oppure la geniale Jerry was a race car driver dei Primus. Un rullante spesso come una scatoletta di tonno. E provate a immaginare cosa c’era prima e cosa c’è stato subito dopo. Più o meno l’opposto, ovvero rullantoni alti come fustini del Dixan che facevano certi tonfi come passi di elefante, che negli anni 70 e 80 – prima dell’avvento delle drum machine e della house music – erano all’ordine del giorno e che, manco a dirlo, sono tornati di moda. Quello che però nessuno è mai riuscito a imitare è il rullante di Ringo Starr nel ritornello di questo pezzo. Chissà di che marca era.