L’abitudine diminuisce la soglia di attenzione che poniamo verso i particolari che si ripetono, lo spirito di osservazione diventa ancora più latente perché le esperienze a cui siamo usi ci scivolano via sotto forma di routine, vero? Se rientro a casa e c’è la tv accesa su un canale musicale, per esempio, non ci faccio caso perché è una situazione piuttosto ricorrente. Mia figlia che a qualche minuto dal tg evita gli spot prima delle notizie con qualche canzonetta in voga. Che poi sono sempre le stesse, le hit list e le classifiche straniere non cambiano di molto nel giro di qualche giorno. Ma se fate attenzione a quello che i bambini sono costretti a guardare pur di ascoltare un brano di successo sono certo che inorridireste. Anzi, scommetto che avete già preso provvedimenti e rimosso Mtv dal vostro apparecchio televisivo. A me è successo di concentrarmi su quello che stava passando sullo schermo e di rimanere sbigottito nel vedere Cicciolina. Si, avete letto bene. Ho pensato in sussulto che diavolo ci facesse Ilona Staller, che oggi avrà anche una certa età, suppongo, in un video musicale di quella dance commerciale che oggi vive ovunque. In ogni interstizio della nostra vita, mentre addentiamo i panini da cinque euro al bar sotto l’ufficio, mentre selezioniamo i prodotti al quaranta per cento all’Esselunga, quando siamo in coda alla cassa di uno Zara qualunque e pensiamo a come possa essere crudele la vita se i commessi di un posto così, che già fare il commesso in un posto così è abbastanza disarmante, poi con quella selezione musicale come colonna sonora della propria crescita professionale. Eppure quando ritorno in me e sul luogo del misfatto, ovvero realizzo che c’è Cicciolina su Mtv all’ora di cena con mia figlia davanti, ho la forza di chiedermi che diamine stia succedendo. Non è un film porno ma a chi potrebbe venire in mente di ingaggiare una star dell’erotismo di trent’anni fa – nonché ex parlamentare – come protagonista di un video clip. Poi però mi rendo conto che la Cicciolina che canta e balla in quei minuti che mi separano da Enrico Mentana è irrealmente giovane, troppo per essere la stessa di capolavori cinematografici che non vi sto a nominare, mica li ho visti quei film lì, cosa credete. Così mi accingo a chiedere informazioni ma qualche istante prima di porre la domanda mi viene l’illuminazione. Ecco di chi si tratta, e cerco la conferma nella competenza di mia figlia sulla musica pop odierna. Si tratta di Lady Gaga, vero? Lady Gaga travestita da Ilona Staller, da una cantante provocatoria come lei non mi stupisce un tributo a un personaggio poco ortodosso come Cicciolina. Il pezzo va scemando e appare il nome dell’interprete e il titolo della canzone. Ho parlato troppo presto. Si tratta di una certa Kesha, ammetto la mia ignoranza in pop contemporaneo ma proprio non l’ho mai sentita e, come mi conferma chi è più competente in materia, è una cantante che copia Lady Gaga soprattutto nel look. Così metto in sequenza i rimandi dell’osceno. Kesha che si ispira a Lady Gaga che si ispira a Cicciolina, in una sequenza di link che non ci sarebbe nulla di male se ne fossi rimasto all’oscuro, perché certe cose è bene non saperle nemmeno.
alti e bassi di fedeltà sonora
ci vuole qualcuno che controlli l’azione del governo!!1! sveglia!!1!1!
StandardFaremo saltare il parlamento come un Pop Corn, nel senso del programma musicale di Canale 5. D’altronde la ca$ta parla di Decreto del Fare? E noi gli mettiamo un Guardiano del Faro.
a casa mia c’è una specie di festa per il nuovo arrivato
Immagineil mondo che si vede dentro gli occhi
StandardDal terzo anello del Palasport Dave Gahan sembra un soldatino Atlantic in un plastico di una battaglia tra bambini delle medie e l’audio non è dei migliori, malgrado la posizione centrale garantisca almeno l’effetto stereofonico. Il tour di Violator impone ascolti rigorosi perché i nuovi pezzi sono ricchi di suoni molto particolari. Siamo a cavallo tra gli ottanta e novanta e per il mio quartetto preferito è un momento difficile perché la musica sta mutando pelle e sembra che di elettronica, fuori dai dancefloor, non ci sia più bisogno. Per aver la libera uscita per il concerto la trafila è stata tortuosa quanto qualunque altra pratica burocratica da vidimare lungo una serie ben definita di passaggi tra gradi, in perfetto stile militare. Il sottotenente che si è rivolto al tenente che ha chiesto al capitano che ha chiesto al colonnello che ha visto i biglietti e non sapeva nemmeno chi fossero i Depeche Mode. Ma i biglietti costano quarantamila lire ed era fondamentale allegarli alla richiesta più che altro per mettere l’esercito di fronte al fatto compiuto, nessuno si assumerebbe la responsabilità di negare un impegno a valle di un spesa comunque di un certo peso. Così il colonnello, che è il più alto in grado ed è già troppo per una richiesta anomala ma piuttosto di basso impatto da un punto di vista della disciplina, non se l’è sentita di dire di no e ha dato l’ok al capitano che ha firmato il permesso al tenente che ha comunque ordinato al sottotenente di controllare l’effettivo orario di rientro delle reclute interessate. Una di queste tra l’altro è una copia di Dave Gahan, balla tale e quale a lui. Sarebbe stato da ingaggiarlo come cantante per una tribute band se le tribute band fossero già state inventate. E se soprattutto avesse una voce all’altezza e non quel timbro da gallina che non appena apre bocca ti cascano le braccia perché il resto è tutto sommato in linea con i canoni di quel genere di mascolinità. Conosce anche i segreti della seduzione di Dave Gahan, ma non si tratta di mosse da fare stipati sugli spalti di un concerto pop da sold out. Alla quarta o quinta giravolta in piedi con la scusa dell’applauso a non ricordo che pezzo gli arrivano due ceffoni anonimi da dietro, nel senso che anche voltandosi è difficile capire gli autori di quella coppia di sganassoni stereofonica come la melodia che si percepisce davanti, visto il buio e le luci stroboscopiche e la ressa che si dimena più o meno a tempo. Una specie di schiaffo del soldato, è proprio il caso di dirlo. Poi il concerto segue il suo corso con le hit, i pezzi meno adatti, i bis, fino alla fine quando il Palasport riversa il suo contenuto umano fuori. C’era una muro di poster alla fermata dell’autobus in prossimità della città militare, quella specie di urbe nell’urbe con le sue vie, i suoi negozi di abbellimenti da divisa, i suoi porchettari e le pizze con le patatine fritte sopra, roba che si mangia solo durante il servizio militare prima che diventi una cosa del passato. C’è proprio un muro di poster di quel concerto del tour di Violator, tutto nero con la rosa a due colori che abbiamo notato all’andata e speriamo di fermarci lì anche al ritorno, chissà dov’è il capolinea del servizio notturno. Il sosia di Dave Gahan riesce a staccarne uno ma sono tutti appiccicati con la colla degli attacchini così ne approfitto anche io senza pensare che quell’enorme manifesto arrotolato non starà mai, in verticale, nell’armadietto.
per farla breve
StandardMia moglie una volta mi ha confessato che detesta i brani musicali prolissi, e che addirittura da ragazzina leggeva di volta in volta la durata sulla copertina degli ellepi e quelli che superavano una lunghezza ragionevole li saltava senza tanti complimenti. Nonostante ciò stiamo ancora insieme. Anche perché si riferiva alle canzoni che si protraggono in code inutilmente ripetitive a oltranza, una posizione sulla quale non ho nulla da obiettare. Pezzi tipo questo.
comunque i daft punk hanno rotto il casco
StandardSarà anche bello il disco e sulla bocca di tutti, hanno contribuito a rilanciare il vinile e sono così retrogustativamente post-vintage da manuale che poi è fin troppo, voglio dire che se fai un pezzo su e per e con Giorgio Moroder non puoi chiuderlo con una coda di batteria progressive che nemmeno Phil Collins e Chester Thompson in Seconds Out, e come se non bastasse metti pure tutte quelle atmosfere da superotto porno con gli amici viziosi anni 70. Poi a qualcuno scappa una foto senza la maschera e tutti a ritwittarli. Giustamente, neh. Ma Giorgio Moroder era molto meno funky di come ce lo vogliono far passare loro, quindi queste poche righe sono giusto per ripristinare il primato delle drum machine.
paola, chiara e roberta
StandardUn’altra stella a suo modo pop lascia oggi il suo ruolo nell’immaginario degli italiani, ma per tornare nei ranghi dell’ordinarietà parlamentare. O forse si tratta di una trovata pubblicitaria della stessa portata di quella delle sorelline reginette della canzonetta pornosoft che sotto sotto preparano una reunion come quella dei Litfiba? Vuoi dire che l’ex capogruppo alla camera nasconde un ritorno per scalare la top ten della simpatia? Diamole una seconda opportunità, anzi no. Aspettiamo di conoscere quale altra sagoma prenderà il suo posto vacante di parte sociale. Divertimento assicurato.
amici come prima
StandardIngrati, tutti a vedere il boss a S. Siro proprio mentre si consuma il vero dramma pop: Paola e Chiara si sono sciolte. Ma non disperate. Tempo un decennio e seguiranno lo stesso destino di Max Pezzali e degli 883, idolatrate e coverizzate a distanza da una generazione pessima di gruppi e cantanti che le prenderà a esempio.
disoccupazione ai massimi dal 1977
StandardE 1977 sia.
i panda, come nome per una band, non è un granché
StandardLa leggenda diceva che si fosse rintanato in sala prove con l’obiettivo di imparare a suonare il basso e ne fosse uscito bassista. Era uno di quelli che sapeva strimpellare ogni strumento. Suonava il piano molto meglio di me, per esempio. Eseguiva a orecchio l’intro di piano di Firth of Fifth che è già un macello fare la parte con la destra – Tony Banks mica scherzava eh – potete immaginare accompagnare il brano con la mano sinistra e con i bassi corretti, con la scala in ottave e tutto il resto. Senza spartiti e senza nessun supporto elettronico, erano tempi di bobine e di valvole. Che invidia rispetto alla mia versione a cazzo. L’ho sentito fare una volta anche una serie di ragtime di Scott Joplin e per prendersi in giro si era messo un sigaro in bocca come i pianisti del far west, quelli che non dovevi sparargli addosso ma avrei potuto anche farlo. D’altronde per la musica bisogna essere portati, anche io ho chiesto un passaggio ma probabilmente sono stato abbandonato all’autogrill. Era una battuta, spero l’abbiate capita. In quel periodo io e l’amico batterista siamo andati a trovarlo proprio nello stesso studio un sabato pomeriggio. Con la scusa di un giubbotto dimenticato ci siamo proposti per una jam session. Mi piaceva quel posto perché era tutto ricoperto di moquette verde e aveva le pareti grigie e, a differenza della nostra cantina da musicisti poveri, non puzzava né di umidità e né di fumo. Ricordo che ci siamo divertiti con tutto quello che conoscevamo delle Orme e della PFM, lui si era stupito che due new wave comunque se la cavassero con roba così superata. Dopo qualche mese, come tutti quelli che avevano velleità di successo in campo musicale, aveva però lasciato la provincia addormentata e si è trasferito a Milano. Noi invece eravamo rimasti lì e dalla noia ce la prendevamo con tutto e tutti, erano gli anni di Tondelli e potete immaginare il perché e ciò che accadeva di conseguenza. La cosa più divertente c’era capitata proprio ancora in quella sala prove rivestita di moquette verde. Siamo capitati lì per caso, c’era una pila di ellepi freschi di stampa di un gruppo metal locale – noi il metal giustamente lo odiavamo – e mentre nessuno badava a noi ci siamo messi a firmare con le chiavi di casa sia il lato A che il lato B per poi rimettere i vinili violati nelle copertine. Nel frattempo la leggenda vivente, quello che aveva seguito un corso di basso autodidatta e in una settimana sapeva fare le parti dei Weather Report e si era trasferito a Milano, era stato ingaggiato da un gruppo dal nome oltremodo discutibile. Aveva accettato giusto per fare serate e potersi mantenere con la musica. Buttare via il tempo in piccoli vandalismi da idioti nichilisti come ostacolare la carriera di capelloni tamarri ricordo che al confronto ci era sembrato, tutto sommato, un passatempo più dignitoso.