cose che non cambiano mai

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È più facile che un cammello passi per la cruna di una ago che il chitarrista della vostra band si convinca a mettere in repertorio “Rebel rebel” di David Bowie. Indovinate il perché.

just pogo 1, da oggi nei migliori negozi di giocattoli

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Inutile che vi precipitiate al Mediaworld sottocasa per cercare quello che sarà il passatempo dei meno giovani da qui ai prossimi anni dell’era dei videogame musicali. Just Pogo, che è l’idea che mi farà diventare miliardario, non è stata ancora messa a punto ma, come si dice tra i più convincenti esponenti del marketing di prodotto, stiamo lavorando per voi. L’idea di una versione un po’ meno azzimata e imbellettata e, soprattutto, meno mainstream di un gioco per console televisiva mi è venuta ieri sera, mentre su mia richiesta – tediato dall’ennesimo poppettone patinato in quattro quarti da ballare nemmeno fossimo a una maratona di zumba – ho persuaso mia figlia e mia nipote a provare una mano di Just Dance (credo) 4 con 99 Luftbaloons che, tra tutte le hit accennate in fase di selezione tra le due, mi sembrava potesse essere quella più divertente da sperimentare. E se conoscete il pezzo, converrete con me che la parte veloce ti fa venire davvero voglia di buttarti a stage diving sulle ragazzine intente a sfoggiare le movenze imposte dal gioco, roba da Amici di Maria tutte sculettamenti e ammiccamenti, e iniziare a spintonarti come si deve, anche solo per guastare quella coreografia da ballo di gruppo al saggio dell’oratorio. Ho pensato così che potesse essere una bell’idea quella di produrre una versione cattiva del gioco con il meglio del pogo mondiale. Dai classici del punk internazionale come Dead Kennedys o Ramones agli stessi Clash fino ai pezzi da fine serata tra amici come i Pogues passando per gli spacco-tutto evergreen che ancora oggi, quando li passano per radio o tv, malgrado la schiena e la circolazione, mi viene voglia di metter su gli anfibi (se i piedi ci entrassero ancora) e di scatenarmi un po’ come dico io. Mi immagino già compagnie di adulti che si massacrano davanti ai loro schermi da millemila pollici sotto pezzi come Precious dei Pretenders o Next to you dei Police, ognuno con il proprio coso in mano – non so come si chiami quel cazzillo di plastica che serve sulla Wii per consentire al sistema di rilevare i movimenti – a cercare di fare più punti e vincere la gara a chi è più esagitato. Basta Kate Perry, basta Kesha, basta roba brasiliana da terzo mondo musicale. Da oggi, con Just Pogo, si torna a fare sul serio.

top ten 2013, musica per un anno a cinque stelle

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Non faccio più classifiche come un tempo quando si tratta di dischi dell’anno, senza contare che più divento vecchio e più ascolto davvero di tutto e mettere insieme carne con pesce – e dargli dei voti, soprattutto –  non ha proprio senso. Dovrei fare tutte le categorie per ogni genere, ma proprio non mi ci vedo. Di una cosa sono però certo: il 2013 è stato foriero di dischi interessanti molto più dei vettori temporali di novità che lo hanno preceduto (sono compiaciuto di questa perifrasi). Ecco quindi quello che, secondo me, vale la pena traghettare con noi sulle memory card di quello che ci aspetta nell’anno che verrà.

Intanto un veloce spoiler: se vi aspettate di trovare qui gli stessi album ai vertici dei listoni di gente e siti specializzati sull’indie e dintorni molto più titolati di me, vi sbagliate di grosso. Niente Arcade Fire, niente Vampire Weekend, e nemmeno Daft Punk. I primi due probabilmente li ho sottovalutati e ascoltati molto poco, quindi sono fuori gara. Dei pluripremiati mascherati e dei loro meme ne ho fin sopra quei pochi capelli che mi restano, quindi meglio lasciar perdere.

Due dischi i cui solchi ho consumato dalla loro uscita sono Trouble will find me dei The National e Satellites.02 di Satellites. L’album della band americana, anche se un po’ meno dirompente di High Violet, è in perfetta media con l’alto livello del resto della loro produzione. Anche il long playing del raffinato progetto di Johnny Vic è stato davvero una delle sorprese più piacevoli dell’anno. Il fatto che li abbia citati nello stesso paragrafo è solo l’espressione di una affinità elettiva che ravvedo tra loro. Non sono certo uno di quelli che sostiene che il secondo sia l’epigone dei primi. Basare il giudizio riguardo a Satellites solo sul timbro vocale alla Matt Berninger è fortemente riduttivo. Nella stessa categoria, sia come genere che dal punto di vista qualitativo, rientra Chop Chop degli irlandesi Bell X1, dove guarda caso lo zampino dei The National comunque in parte si sente. Che vi devo dire, vado pazzo per quelle atmosfere lì anche se in quest’ultimo caso il cantante è su tutt’altre estensioni vocali.

Ma ci sono altre sonorità che mi accendono la smania di acquistare vinile: voci femminili black ma poco r’n’b, pelle scura e folti e intricati dreadlocks sulla testa. Sono solo dettagli per un disco come Pushin’ Against A Stone della grintosissima blueswoman Valerie June, che a proposito di timbro balza al top delle mie cantanti preferite. Da questo suo ultimo lavoro – che me l’ha resa nota – sono andato a ritroso a scoprirne la precedente auto-produzione, davvero superlativa.

Novità anche sul fronte Tv On The Radio, che, come già scritto più volte, qualunque cosa pubblicata da loro tutti insieme o singolarmente o in qualche progetto parallelo spacca. Del gruppo di Brooklyn sono usciti solo un paio di singoli niente male come Million Miles e Mercy, quindi niente disco dell’anno ma se ne riparlerà a breve, dato che a quanto pare stanno registrando altri pezzi per un nuovo lavoro. Ci possiamo accontentare, per il 2013, dell’EP degli Higgins Waterproof Black Magic Band capitanati da Tunde Adebimpe, dal titolo The Blast, the Bloom. Come per i The National, per i TVOTR sono di parte. Cinque stelle anche per loro.

Una manciata di band da mettere tutte insieme per altri ascolti degni di nota in quest’anno, a partire dai The Hands, autori di un album piuttosto fresco dal titolo Synesthesia. Pop-rock alternativo di matrice britannica tanto quanto i The Foals che hanno confermato con Holy Fire il loro talento pregno di math-rock a tratti prog. Dalle stesse latitudini e dalle stesse sonorità gli Everything Everything hanno dato alla luce un buon secondo album dal laconico titolo Arc.

Gran bel disco anche Brightest Darkest Day dei Pyyramids, un duo di Los Angeles che comprende Tim Norwind degli Ok Go e la cantante Drea Smith. C’è un po’ di tutto, dark, elettronica e rock piuttosto duretto che incattivisce qualche svolta più poppettosa (ma vi giuro che non parlo così).

Il 2013 ha visto quindi il ritorno dei canadesi Suuns, autori di Images Du Futur, un disco che ha sancito la loro svolta su atmosfere più sperimentali rispetto al precedente e sempre più agli antipodi del rock. Un trionfo di post-punk invece in Forever degli svedesi Holograms, roba di matrice derivativa come piace a me ma che che è riuscita a reinventarsi con tutta l’acqua che è passata sotto i ponti dalla fine dei Joy Division. Di opposta matrice invece Ghostpoet e il suo album Some Say I So I Say Light, una specie di post-hip hop disordinato,sghimbescio e stralunato proveniente dall’Inghilterra.

Chiudiamo questa superficiale top ten – per le recensioni, come avete visto, rimando a gente che ne sa più di me – con due passaggi obbligati. M.I.A. che finalmente ha pubblicato il suo Matangi dopo alcune “traversine” (come dice un mio amico) e che è stato eletto all’unanimità (mia e basta, anzi M.I.A. e basta) come colonna sonora della fine del mondo. Se fossi Kathryn Bigelow e dovessi scegliere qualcuno da mettere sul palco nella notte di capodanno prima della rivolta globale termonucleare in un film, ci metterei il suo noise-electro-tutto che non ha eguali al mondo. Solo per questo, Matangi merita il primo posto. Ma il 2013 non è stato un anno come tutti gli altri. Non capita tutti i giorni, infatti, che esca un nuovo album di David Bowie. Figuriamoci se il giorno è quello dopo.

101 modi per non dire al vostro amico che la musica che suona è imbarazzante

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Avete amici musicisti? Conoscete compositori che alla domanda “che musica ascolti” ti rispondono “quella che faccio io”? Non passa giorno che vi vengano sottoposti direttamente o via socialcosi giudizi su pezzi e canzoni originali? Ecco qualche suggerimento su come essere diplomatici e mantenere i buoni rapporti con parenti, amici e semplici conoscenti nel caso il materiale che vi è stato sottoposto faccia oggettivamente cagare e sentiate la necessità di non arrivare al punto. Sempre che sia questo il vostro obiettivo.

  1. Non è il mio genere, comunque complimenti
  2. Siete riusciti a decontestualizzare le tematiche più seriose
  3. Non mi piace molto il cantante, per il resto mi sembra che i pezzi girino
  4. Il batterista è mostruoso, che tiro!
  5. Molto ansiogeno questo suono
  6. Se proprio proprio devo trovare un difetto, la chitarra qui mi sembra un po’ calante
  7. Niente male i fraseggi
  8. Non ascolto molta musica italiana, però sembrate professionali nell’esecuzione
  9. Fantastica l’apertura
  10. Che tecnica!
  11. Siete migliorati dall’ultima volta che vi ho sentito suonare
  12. Ma questa è la chitarra o il synth?
  13. Qui riempirei di elettronica
  14. La progressione in questo punto ci sta tutta
  15. Ok, l’ho scaricato e stasera me lo ascolto
  16. I testi li scrivi tu?
  17. Allarmante come piace a me
  18. Guarda non ho più il lettore CD, mi spiace
  19. Sai che cosa mi ricorda? Quel gruppo… che aveva fatto quel pezzo… (ad libitum)
  20. Che ritmo!
  21. La salita di un tono alla fine è degna del miglior Sanremo!
  22. Si sente che avete ascoltato Kid A a manetta
  23. I pezzi sono registrati benissimo, a che studio vi siete rivolti?
  24. Torna un attimo indietro
  25. Avete qualche contatto per promuoverlo?
  26. La traccia 3 mi ricorda più i Suicide che i Pere Ubu
  27. Hai la versione in mp3? Mettimeli su un ftp per scaricarli
  28. Secondo me l’ultima traccia è di più e correte il rischio di sembrare prolissi. Tenetela per il prossimo cd, no?
  29. Ipnotico quanto basta
  30. Peccato per il fruscio
  31. Alzerei un zic il volume del cantato, in alcuni punti non si comprendono le parole
  32. Una strofa in più ci stava tutta
  33. Un ritornello in più ci stava tutto
  34. Siete un po’ troppo puliti per i miei gusti
  35. Siete un po’ troppo ruvidi per i miei gusti
  36. Il batterista suona con il clic in cuffia anche dal vivo?
  37. Avrei lasciato un po’ più sotto la voce, a volte sembra un po’ a sé rispetto al resto
  38. Non starebbe male mixato dopo i Daft Punk
  39. Il piano acustico fa sempre la sua figura
  40. La linea di basso mi ricorda un po’ quei pezzi che si suonavano nelle jam session anni 70
  41. L’intro sembra uscita da The dark side of the moon
  42. Ma è il primo cd che fate? Non eravate anche su una compilation della Mescal?
  43. Si sente che avete usato strumenti vintage
  44. Questo l’avete fatto con un sequencer, però!
  45. Di questo pezzo già mi immagino il video.
  46. Sai che su iTunes non riesco ad ascoltarli? Cosa hai usato per comprimerli?
  47. Suonate da tanto insieme?
  48. Certo che con l’home recording si riesce a fare di tutto, oggi. Sai ai miei tempi che sbattimento?
  49. Dovreste però cantare in italiano
  50. Dovreste però cantare in inglese
  51. Dovreste però provare ad aggiungere una voce sui pezzi strumentali
  52. Quante copie avete prodotto?
  53. Non mi intendo molto di jazz ma mi sembrate bravi
  54. Il metal è agli antipodi dei miei gusti, però avete un retrogusto grunge che tutto sommato vi rende attualissimi
  55. Più che new wave direi post punk
  56. Più che post punk direi no wave
  57. Quando esce il disco?
  58. Non ho capito che cosa dice nel ritornello
  59. Il cantante è napoletano?
  60. Si sente che componete chitarra e voce e poi aggiungete gli arrangiamenti
  61. Si sente che componete coralmente e poi rifinite in studio
  62. Si sente che c’è una mano sola che scrive i brani
  63. Ma è già iniziato il pezzo?
  64. Ma si è bloccato il file o finisce così?
  65. La cassa in quattro è sempre una certezza
  66. Gibson o Fender?
  67. Per che etichetta incidete?
  68. Peccato che è solo un EP, avrei sentito volentieri altri pezzi
  69. Questa l’ho già sentita, la suonavate anche l’anno scorso?
  70. Il timbro del cantante è molto particolare o sono gli effetti sulla voce?
  71. Ma riuscite a riprodurre queste atmosfere dal vivo?
  72. C’è lo zampino di un produttore, vero?
  73. Ci vedrei uno stacco drum’n’bass
  74. Ci vedrei un solo di chitarra
  75. Si sente però che il Moog l’avete riprodotto con un virtual synth, ma per una demo va bene così
  76. Sembra molto più di una demo, davvero
  77. Mi fai venire voglia di rimettere su la band, cazzo
  78. Il flanger sul rullante l’avete preso dai Japan, confessa!
  79. Il distorsore sulla voce l’avete preso dai Ministry, confessa!
  80. Ma avete una sala prove vostra?
  81. Molto anni 90
  82. E vai di riff!
  83. Con il video rende ancora di più
  84. Fammi sentire solo la traccia audio, il video influenza l’ascolto
  85. Il bassista suona senza plettro, vero?
  86. Fossi in voi inserirei uno strumento a fiato
  87. Puoi lasciarmi il cd che me lo ascolto con calma?
  88. Avete fatto bene a sfumare alla fine
  89. Avete fatto bene a finire di netto
  90. Adoro il wah wah sul piano Fender
  91. Mancano le percussioni e poi ci sono tutti i preset del Sound Canvas 😉
  92. Non avrei messo il tappeto di archi qui, forse riempie un po’ troppo
  93. Avrei messo un tappeto di archi qui, mi sembra troppo scarno
  94. Ora che la risento non è male
  95. Questo piacerà sicuramente al mio collega che ascolta roba tipo i Carcass
  96. Perché non ne fate un edit più radiofonico?
  97. Questa me la ricordo
  98. Ti devo far conoscere Giugu, fa un genere simile e secondo me insieme potreste trovarvi bene.
  99. Ho colto la citazione dei My Bloody Valentine. Era voluta, vero?
  100. Sembra di essere a Manchester nel 78
  101. Continuate così!

l’insensibile

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Una volta le rivalità tra gruppi erano all’ordine del giorno, e non mi riferisco alle grandi dicotomie musicali come Beatles vs Stones, Duran vs Spandau o Blur vs Oasis, saprete meglio di me che non si tratta di dualismi ma di intelligente marketing spinto, un po’ come fanno adesso il Nuovo Centrodestra e Forza Italia. Su due scranni diversi ma pronti a ricompattarsi quando ci sono di mezzo i quattrini. I gruppi rivali sono un qualsiasi complesso di principianti (come quelli in cui suonavo io, per intenderci) contro la band in cui canta l’ex della fidanzata del cantante del primo gruppo, per dire. Rivalità su cose di questo tipo. New wavers con l’eyeliner e le calze a rete sotto i pantaloni neri stracciati e gli anfibi presi di mira da metallari con i jeans stretti infilati nelle American Eagle bianche. Gente che si sta invisa reciprocamente e in scenari dove la musica è in fondo un di cui.

Io per esempio da un componente del gruppo nemico di quello in cui militavo a sedici anni mi sono preso un pomodoro sulla mia elegante camicia grigia sfoggiata durante un concerto nella piazza principale della mia città gremita di gente, tra parentesi nessuno di quelli che condividevano con me il palco mi ha minimamente difeso, troppo intenti a ridere. Cosa che avrei fatto anch’io, sia ben chiaro. Ci sono invece casi di rivalità politica, e qui la cosa si fa un po’ più seria e anche pericolosetta. Quei pessimi gruppi di neofasci&nazirock che sarebbero neofasci&nazirock anche se non suonassero e se non suonassero sarebbe meglio per tutti, stanno giustamente sul cazzo a chiunque abbia un po’ di buon senso e ami la musica, non a caso se ne stanno alla larga dal pubblico della Banda Bassotti, per esempio. Insomma avete capito l’antifona. Zulu dei 99Posse ne sa qualcosa.

Ora è successo che ieri l’altro il buon Max Collini degli Offlaga Disco Pax che, da queste parti, sono the only italian band that matters, giusto per mettere le cose in chiaro, è stato aggredito in un locale di Bologna da un certo Dario Parisini, già chitarrista dei Disciplinatha. Nel senso che Dario Parisini, già chitarrista dei Disciplinatha, gli ha tirato un pugno in faccia.

Ora, immagino che pochi di voi conoscano i Disciplinatha. I Disciplinatha sono il gruppo che ha registrato una manciata di pezzi inclusi in “Maciste contro tutti” del Consorzio Suonatori Indipendenti. Avete capito, proprio quelle tre inutili tracce che, come me, saltate a piè pari durante l’ascolto di quella bellissima testimonianza di un progetto che stava per concludersi come  “Maciste contro tutti”  per sentire invece Ustmamo ed ex-CCCP. I Disciplinatha sono gli autori del concept “Abbiamo pazientato 40 anni. Ora basta!” citato proprio da Max Collini nel brano “Sensibile”, come esempio di musica neofascia&nazirock. I Disciplinatha sono il gruppo che mette, nei ringraziamenti, gente del calibro di Francesca Mambro. Così, non pago di suonare da cani, in piena pacificazione da larghe intese ma probabilmente solleticato dall’ennesimo rigurgito di post-fascismo forco-casapoundiano, Dario Parisini, già chitarrista dei Disciplinatha, ha dato un pugno in faccia a Max Collini e Max Collini schtung, piomba al suolo a peso morto.

Ma siamo rimasti di sasso tutti. Mai mi sarei aspettato una reazione così. Avrei capito di più se a prendersela con Max Collini fosse stato Luca Giovanardi, il cantante dei Julie’s Haircut nonché arrogante bottegaio indegno della roba che vendi qui dentro, alternativo dei miei coglioni che quando io ascoltavo i Dead Kennedys tu nemmeno ti facevi le pippe. Almeno loro, i Julies’s Haircut, hanno una dignità musicale (questa è un po’ tirata per i capelli, ma mi serve per fare il paragone). Ma i Disciplinatha? Ma chi se li è mai inculati sti Disciplinatha? Qui non si tratta nemmeno di gruppi rivali, ma di un sentimento antico quanto l’uomo, almeno da quando sono stati inventati gli amplificatori. Brutta bestia, l’invidia.

il primo ministro che pensa positivo

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All’ennesima ripetizione in loop del video di “One way or another” dei 1D, sul fronte della mono-maniacalità mia figlia d’altronde è tutta suo padre, realizzo che il cameo di David Cameron è tanto divertente quanto geniale e azzeccato sia per loro o chi ha avuto l’idea, sia per il primo ministro inglese stesso.
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D’altronde non è la prima volta in cui abbiamo avuto modo di apprezzare il suo senso dell’umorismo. La sua recente arguta difesa del selfie scattato con Obama e Helle Thorning-Schmidt alla commemorazione funebre di Mandela durante un dibattito in Parlamento ne è un esempio. Alla domanda se avesse avuto l’opportunità di discutere con capi di stato internazionali circa l’utilizzo di dispositivi di telefonia mobile, Cameron ha risposto più o meno che Nelson Mandela ha giocato un ruolo straordinario nel tentativo di unire le persone, così quando un membro della famiglia Kinnock – il deputato democratico inglese marito della premier danese – gli ha offerto un’opportunità in questo senso, non ha potuto rifiutarsi.


Ma già in passato, citando  una serie di titoli di canzoni degli Smiths, di cui è fan, Cameron ha dimostrato di essere brillante e autoironico.

La sua presenza nella clip della boyband del momento è un altro punto a suo favore almeno sul fronte della popolarità, riguardo a quello politico non mi pronuncio. E riflettevo che solo in UK e solo lui potrebbe fare una cosa simile. Anzi, a pensarci bene, la potrebbe fare solo lui o uno come Matteo Renzi.
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marvin gaye vs japan

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Se dovessi fare un esempio a qualcuno dell’effetto di una secchiata di acqua gelida su un falò per spegnere le fiamme gli invierei i link a queste due versioni della stessa canzone.



se siamo scialpi e infelici svegliamo questa città da una notte tragica

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Cattura

No perché l’abbiamo visto tutti, vero, ieri sera durante il programma di Crozza, il mega-refuso nell’articolo del Corriere di cui nemmeno lo show man si è accorto? O è stata solo un’illusione ottica dettata da sete di scoop, la stessa che ti fa vedere notizie dove non ce sono e ti fa inanellare figure di merda? Non è un problema, anche se ci sono grammar-nazi che fanno passare quello degli svarioni come una catastrofe biblica, cosa che farei anch’io se non fossi il primo a non accorgermi dei miei. Sapete la storia della pagliuzza e della trave. C’è la corrente di chi vorrebbe che tutto venisse straricontrollato e quella che non ci sono più gli accademici della crusca di una volta. Il titolista del Corriere, o l’addetto a Photoshop de La7 è così reo di un involontario calembour tra sciapo e scialbo. Ma non è quello il punto. Siamo davvero così apatici e malinconici, l’immagine che il Censis dà di noi è quello di un popolo alla Cigarettes and coffee e niente più. Siamo isole nell’oceano della solitudine, e arcipelaghi le città dove l’amore naufraga? Ci accarezza solo la musica?

Del resto solo noi italiani potremmo essere poeti e navigatori e allo stesso tempo gente senza fermento in una società in cui circola “troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale, disinteresse per le tematiche di governo del sistema, passiva accettazione della impressiva comunicazione di massa”. D’altronde, sempre come diceva proprio lui che è uno dei massimi esponenti della nostra cultura, non essendo né a est e né a ovest siamo i migliori e ciascuno di noi ha un posto al mondo. Questa è la nostra terra. Abbiamo perso un’occasione, perché quella canzone si che poteva diventare un inno generazionale, altro che “Penso positivo” di quel renziano di un Jovanotti. Così, in questo decorso verso l’abbassamento generalizzato dei ceti sociali, abbiamo comunque avuto la fortuna di trovare una nostra identità. Non più Ricchi o Poveri, non più Albano e Romina, ma finalmente un popolo di Scialpi, che anzi da un po’ ha cambiato nome e si fa chiamare Shalpy, lo dice persino la sua pagina su Wikipedia. E allora? E allora rocking e rolling, per resistere. Ci potete contare.

la santanchè cavalca a tempo

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Come dice il Corriere, piccola gaffe dell’esponente di Forza Italia dopo la condanna per la protesta anti-burqa. La fan numero uno di Berlusconi dice di essere stata trattata alla stregua di centri sociali, no-tav e “black box”. Ormai, però, dovrebbe avere imparato che la giustizia è uguale per tutti, no? Ma, a parte questo, le riconosciamo il merito di aver riscoperto proprio loro, i Black Box, quelli veri di “Ride on time”, con un piede negli anni 80 e il resto del corpo in quel coacervo di stili che era la dance dei primi 90. Un po’ trash, quindi perfettamente in linea con l’argomento.

vecchie glorie per nuovi introiti

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La reunion, di questi tempi, è una pratica a cui è difficile sottrarsi per una stella del passato musicale, un qualsiasi pilastro generazionale che ha avuto molto da dire e poi a un certo punto si è dedicato ad altro. Magari a una carriera solista, a pratiche zen, alla gestione di un agriturismo nel sud Italia, alla borsa. D’altronde in questa fase di magra poter raggranellare qualche extra facendo leva sui sentimenti più puri del popolo del rock è una tentazione molto allettante alla quale, conti alla mano, è impossibile rinunciare. Per chi si lamenta degli mp3, di spotify e della crisi generale dell’industria musicale l’unica risposta è quella di staccare la chitarra appesa al chiodo, re-indossare il chiodo da sfoggiare in abbinamento con la chitarra e rimettersi in gioco. Tant’è che in questo scorcio di millennio ci sono passati più o meno tutti quelli che pensavamo di avere già archiviato nelle enciclopedie musicali del 900, ancora su carta. In alcuni casi con risultati soddisfacenti, altri meno.

In generale è bene sapere che tornare sul palco a una certa età non è molto dissimile da rimettersi le scarpe con i tacchetti e pensare rientrare con un ruolo da titolare. Intanto per ragioni meramente fisiche. Suonare, da un certo punto di vista, è uno sport vero e proprio. Occorrono prestanza, resistenza, fiato, concentrazione, tutte qualità che se è un po’ che ti dedichi alla cura dei nipotini, per esempio, non puoi dare per scontato. Non a caso capita spesso di assistere a reunion parziali, con due o tre membri fondatori di un gruppo mescolati a ragazzini soprattutto dietro a quegli strumenti che necessitano di una certa scioltezza di movimento. Un mio caro amico che è un batterista serio, per dire ha suonato con Dalla, Piero Pelù e altri di quel calibro, ed è anche mio coetaneo, mi diceva di quanto sia importante l’allenamento fisico per evitare blocchi o dolori muscolari. Se ti svegli con un classico mal di schiena come quelli di cui soffriamo noi maschi e la sera hai un concerto davanti a decine di migliaia di persone non è certo una cosa bella. Nel caso delle reunion, si vedono così turnisti che magari c’entrano poco con l’ensemble ma giustificati dal fatto che il tastierista originale ha la sciatica e non può sostenere spettacoli impegnativi, il chitarrista ha problemi di cataratta e non vede i pedali degli effetti, il cantante è abbondantemente sovrappeso e ogni corsa sulla pedana in mezzo alla folla è a rischio di infarto.

Senza contare che a questi mix tra novelli e navigati corrisponde spesso una disparità tecnica tra chi è fresco di studi e chi dovrebbe godersi la pensione, unita a una differenza di approccio allo strumento considerando che il modo di suonare con il tempo è variato perché ha inglobato le esperienze del passato e gli stessi tentativi di esecuzione filologica risultano innaturali, in quanto soggetti a una ricerca che va a inficiare la freschezza dell’archetipo. Come del resto gli strumenti stessi sono differenti, anche se imitano quelli del passato il risultato è parzialmente difforme. C’è molta pulizia negli impianti di amplificazione, per esempio, fin troppa. Quasi irreale.

Ci sono stati anche casi di singoli elementi che hanno ricominciato a suonare da soli senza i compagni di un tempo, portando in giro un brand senza l’avallo del resto dei soci con conseguenti azioni legali senza fine per una spolverata di squallore sulla già abbondante base di pateticità. Ricordo un celebre gruppo italiano spaccato a metà in due spin-off entrambe intenzionate a portare avanti il progetto autonomamente. Altro che bipolarismo delle rock-star. Quest’estate, ancora, mi è capitato di vedere Johnny Marr cantare brani degli Smiths, un scelta che ho trovato discutibile.

Il pubblico comunque risponde con entusiasmo alle reunion. Portatori sani di canizie accompagnati da giovanissimi che vivono in un mito che non gli appartiene per posa, indottrinamento di terzi, volontà di distinguersi, perché si deve fare per forza o per stravaganza. Tutto a vantaggio dei reunionisti, che così prendono in considerazione l’idea di una seconda carriera, dai sessanta ai settanta a distruggere chitarre sul palco, fare le corna al pubblico, agitare la testa anche priva di capelli, parlare di anarchia o proclamarsi l’anticristo. Ecco, a volte li osservo e penso che se si fossero fermati prima sarebbe stato molto meglio. Il mito che sa di essere mito e porta la sua mitologia in tour con spirito autocelebrativo con l’unico obiettivo di consacrare il fatto di essere stato consacrato. Tutto ciò genera un corto circuito e ne stempera il valore, ma probabilmente consente una vecchiaia senza problemi.