Il sound check preliminare a un concerto con più gruppi condensa una serie di dissapori inaudita perché è raro raccogliere in un unico agone tante piccole rivalità fuori dall’ambiente sportivo e in un ambito che non è un concorso. Non c’è nessuno che può vincere o arrivare secondo o classificarsi all’ultimo posto perché è già tutto deciso. Ci sono gli headliner, i supporter, si sa già a priori chi inizia per primo e chi gli succede, e forse è per questo che certi attriti sono palpabili. Le ingiustizie arbitrarie non possono essere vendicate in nessun modo e si accetta la dura legge degli organizzatori e dei direttori di palco, che non è detto che sia corrispondente al giudizio popolare, un po’ come nella politica. Ma ai concerti con più gruppi bisogna prendere o lasciare, già ci sono poche occasioni per esibirsi e quindi potrebbe sembrare meglio che niente.
E mentre poi durante il live degli altri gruppi è bene starsene appartati dietro le quinte a scaricare la tensione, il sound check è un momento per fare squadra seduti di fronte al palco e studiare il nemico. Il suo suono, la tecnica, la strumentazione, qualche anticipazione sui pezzi anche se è una regola implicita quella di non eseguire i cavalli di battaglia ma di bruciarsi le retrovie del proprio repertorio per poi sbaragliare i giochi quando si farà sul serio. Ed è preso come un tradimento alla causa l’allontanarsi dagli altri membri della band mentre si osservano gli altri gruppi mentre provano, si tratta di un momento delicato per il morale collettivo e mai in questo caso l’unione è in grado di fare la forza.
La regola vuole poi che il sound check venga eseguito a partire dall’ultimo gruppo che si esibirà per concludersi con il primo a salire sul palco, in modo che i tecnici – ai quali almeno in teoria dovrebbe andare il plauso di tutti considerando la mole di lavoro in tali frangenti – possano lasciare mixer e varie impostazioni inalterate alla fine della prova del suono e partire con il primo gruppo già con tutto a posto.
I comportamenti poi sono abbastanza standard. I batteristi sotto il palco osservano i batteristi che provano piatti e tamburi e normalmente maggiore è la differenza tecnica in favore di quelli sotto il palco – il che significa che il batterista che sta facendo il sound check suona con un gruppo ritenuto più importante ma è uno strumentista oggettivamente più scarso – maggiore sarà il livore per i propri compagni. Il batterista più bravo ma in forza al gruppo meno capace penserà che la sua posizione inferiore sia a causa del resto della sua band. Ma poi, una volta iniziato il live, sarà evidente che a fare la differenza è l’insieme dei musicisti, anche con strumentisti meno in gamba. Sono le canzoni e l’insieme che contano. Se un gruppo suona più tardi degli altri, nel clou della serata, un motivo ci sarà.
I chitarristi sono sempre i più difficili da gestire perché richiedono di provare tutte le sfumature del loro suono: pulito, con effetti, poco distorto, molto distorto, solista, ritmico, in arpeggio, il wah wah, la seconda chitarra, l’acustica, l’accompagnamento mentre fanno la seconda voce. E quando non sono loro intenti nel sound check, osservano gli altri cercando di dissimulare l’effetto sorpresa dovuto al riconoscimento della superiorità.
I bassisti si giocano invece tutte le carte in poco tempo, provano l’intesa con il loro compagno di sezione ritmica dietro ai cassa e hi-hat, e a meno di richieste particolari hanno poche pretese. Nell’ascolto altrui sono quelli più nerd, si avvicinano per scrutare da sotto pedaliere e amplificatori e ne fanno spesso tesoro.
Più complessa la situazione per i tastieristi a cui nessuno è abituato. Ci sono quelli con più strumenti che occupano troppi ingressi nel mixer e vengono accusati dal tecnico del suono di non essersi attrezzati adeguatamente con un pre-mixer personale. C’è poi anche il problema del cablaggio a seconda degli spinotti per non parlare del posizionamento sul palco, se ci sono altri gruppi bisogna poi spostare tutto e non è come per gli altri strumenti che certe parti possono essere condivise. Ognuno ha i suoi synth e i suoi suoni. Nel complesso sono i più umili, riconoscono lo strapotere economico che consente un set più ricco e, conseguentemente, maggiore qualità. Fanno domande e si scambiano impressioni, sempre con il dovuto riconoscimento reverenziale all’ordine nel cartellone.
I cantanti invece sono i peggiori, da questo punto di vista. Si vergognano ad andare oltre il SA SA SA PROVA SA UAN CHECK UAN TWO CHECK CHECK e quelli al mixer impazziscono per capire l’intensità con cui sbraiteranno al microfono. Li riconosci anche perché hanno la fidanzata sotto il palco che tiene in mano una macchina fotografica puntata verso di loro. I cantanti arrivano comunque per ultimi, sono quelli meno propensi a confrontarsi con la concorrenza e raramente, durante la loro prova, danno il meglio. Il loro apporto è frutto dell’ispirazione, mica si devono allenare prima, loro.
Nel complesso, si tratta di comportamenti che valgono per tutte le band, dalla più scrausa alla più professionale, da quella esordiente alla più popolare, da quella più giovane a quella con maggiore esperienza. Il copione è sempre lo stesso, e la cosa divertente è che un buon ottanta per cento del tempo impiegato per il sound check, che nel caso di concerti con tanti gruppi porta via anche un pomeriggio intero, non serve a nulla. Niente. Il concerto inizia ed è tutto da rifare, perché nel mezzo c’è stata una cena con abbuffata, qualche birra di troppo, l’umidità, senza contare la scarsa considerazione dell’eterogeneità degli stili di ogni band, il non aver fatto i conti con la sala o l’area senza il pubblico che assorbe i bassi, la tendenza dei musicisti ad aumentarsi a cazzo il volume sul palco, un po’ di errore umano dovuto alle distrazioni a cui i mixeristi sono soggetti e il gioco è fatto. Se il concerto con più gruppi è una merda lo si vede anche solo dal sound check.