Se non vi commuovete nemmeno un po’ con la musica avete il cuore di silicio. Io che sono fatto di colesterolo e trigliceridi e proteine tutte intorno, oltre a tante altre cose, ho una serie di canzoni che tutte le volte che le sento mi viene da piangere. A dire la verità non è sempre andata così. Da sbarbati siamo tutti duri e puri, da vecchi diventiamo dei pappamolle sensibiloni che ogni due per tre siamo lì con il fazzoletto in mano ad asciugarci gli occhi. Questa è la mia playlist di quelle emozioni lì. Dieci pezzi che però non posso mica ascoltarli uno dopo l’altro, sennò la cosa diventa ingestibile. E mi fanno piangere in modi diversi perché vanno a toccare corde diverse.
1. Per esempio la parte strumentale di “The Cinema Show”, quella in 7/4 soprattutto quando c’è il tema di synth con sotto gli accordi di cori credo eseguiti con il Mellotron. Ho sentito per la prima volta questo pezzo in cuffia sul walkman di Alessandra, stavamo andando in gita non ricordo dove, lei era seduta dietro di me e da allora sto pezzo non mi mai più mollato. Con il tempo l’emozione da ascolto è diventata sempre più forte fino a quando – e non chiedetemi che cosa è successo perché sapete che sono un purista dei Genesis e senza Peter Gabriel per me non ci sono Genesis e viceversa – dicevo fino a quanto ho visto in video questa esibizione a suo modo spettacolare e sono scoppiato in lacrime. Forse è stata una specie di Sindrome di Stendhal (a 08:23, ma la Sindrome di Stendhal anche prima).
2. Ho pensato a questo post sentendo un pezzo completamente diverso che è “El pueblo unido jamás será vencido” che invece rappresenta la commozione nei confronti della storia, degli ideali, dei soprusi e della giustizia alla fine. Una canzone dell’infanzia, cantata con il pugno chiuso a ogni occasione pubblica o privata in cui c’è stato bisogno di ricordarsi di certe cose che ora non ci sono più. Spero faccia piangere un po’ anche voi.
3. Questa poi è la canzone della vita intera, quella che se mi dite di scegliere un pezzo da portarmi via per sempre io mi prendo questo e vi lascio tutti gli altri. È la canzone della giovinezza, dell’indipendenza, dei primi gusti maturati individualmente anziché perché di moda o per far parte di un gruppo. È la canzone dell’epica e degli eroi e anche della danza, perché ancora oggi se la mettono in qualche occasione mi asciugo gli occhi e mi getto nella mischia. Ma, per fortuna, non accade mai.
4. Non c’è invece un brano che mi faccia pensare all’infinito dello spazio e del tempo e alla piccolezza di noi essere umani, mandati a occupare peraltro con un contratto a termine un’area infinitesimale per un periodo ancora più inconsistente, più di questo. Di certo la copertina da cui il disco è tratto un po’ mi suggestiona, come il fatto che la voce di Clare Torry sia dir poco spaziale come tutto il resto della traccia. Se volete un pianto sui massimi sistemi, questa è la migliore colonna sonora, benché anche “Us and Them” ora che ci penso non è da meno. Allora facciamo tutto l’album e non se ne parla più, ma piangere per tutto quel tempo non ce la fa nessuno.
5. Questa la suonavo io preparando un esame di pianoforte che non ho mai dato. Si tratta del secondo tempo di una sonata di Mozart, la K332 in Fa maggiore, ed è l’inno delle cose mai portate a termine, a partire dallo studio del piano. Fazzoletti, grazie.
6. Più o meno in tema c’è il pezzo preferito da mio papà, che se n’è andato a giugno di due anni fa completamente divorato dall’Alzheimer. Malgrado una collezione di migliaia di dischi di musica classica, ascoltava spessissimo la Toccata della Sinfonia n. 5 di Widor, qui nell’esecuzione su un organo che sembra un’astronave, e sono certo che se mio papà lo vedesse farebbe di tutto per procurarselo in qualche modo. Il motivo della commozione potete immaginarlo.
7. I Radiohead sono i principali esponenti della musica depressa. Lucky forse è quello che da questo punto di vista gli è uscito meglio. Una bomba di angoscia davanti alla quale a stento ti trattieni durante l’ascolto fino al ritornello che è di una mestizia unica, suoni melodia e parole. Anche questo disco a pensarci bene meriterebbe pianti sia sul lato A che durante il lato B, sempre che lo possediate su vinile come me.
8. Ci sono anche testi in italiano che ti vanno a pizzicare quelle corde che hai dentro che ogni tanto è bello lasciare libere di vibrare mosse anche da canzoni come queste. A me commuove perché è stato uno dei primi pezzi che mi hanno fatto venire voglia di andare via, senza nemmeno sapere in fondo da dove scappare e dove cercare rifugio se non dentro la musica stessa. Forse un po’ ingenuo a differenza degli altri, ma solo perché ai tempi in cui è stato composto ci si metteva a riflettere con poco di tutto, bastava veramente appena un po’.
9. Al gioco di scegliere il pezzo di sottofondo dei titoli di coda alla conclusione di un film sulla propria vita io da sempre dico “The Eternal” dei Joy Division. Se non piangete con questo non so proprio cosa dirvi, almeno fatelo per farmi contento anzi no, che poi non piango più nemmeno io.
10. Dallo scorso dieci gennaio qualunque cosa di David Bowie mi fa inumidire gli occhi. Ce ne sono millemila di pezzi che ci ricordano l’amarezza dell’epoca che ci siamo lasciati alle spalle. Magari voi che avete ancora cent’anni a disposizione potete ricorrere a surrogati. Per noi David Bowie si è portato via la parte più considerevole delle nostre vite, ormai presente solo nei solchi dei suoi dischi. Quindi, se devo scegliere, perché non confessare che “Blackstar” mi induce ad appartarmi ogni volta, e a versare qualche lacrima ma senza farmi vedere da nessuno?