10 canzoni che fanno piangerone

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Se non vi commuovete nemmeno un po’ con la musica avete il cuore di silicio. Io che sono fatto di colesterolo e trigliceridi e proteine tutte intorno, oltre a tante altre cose, ho una serie di canzoni che tutte le volte che le sento mi viene da piangere. A dire la verità non è sempre andata così. Da sbarbati siamo tutti duri e puri, da vecchi diventiamo dei pappamolle sensibiloni che ogni due per tre siamo lì con il fazzoletto in mano ad asciugarci gli occhi. Questa è la mia playlist di quelle emozioni lì. Dieci pezzi che però non posso mica ascoltarli uno dopo l’altro, sennò la cosa diventa ingestibile. E mi fanno piangere in modi diversi perché vanno a toccare corde diverse.

1. Per esempio la parte strumentale di “The Cinema Show”, quella in 7/4 soprattutto quando c’è il tema di synth con sotto gli accordi di cori credo eseguiti con il Mellotron. Ho sentito per la prima volta questo pezzo in cuffia sul walkman di Alessandra, stavamo andando in gita non ricordo dove, lei era seduta dietro di me e da allora sto pezzo non mi mai più mollato. Con il tempo l’emozione da ascolto è diventata sempre più forte fino a quando – e non chiedetemi che cosa è successo perché sapete che sono un purista dei Genesis e senza Peter Gabriel per me non ci sono Genesis e viceversa – dicevo fino a quanto ho visto in video questa esibizione a suo modo spettacolare e sono scoppiato in lacrime. Forse è stata una specie di Sindrome di Stendhal (a 08:23, ma la Sindrome di Stendhal anche prima).

2. Ho pensato a questo post sentendo un pezzo completamente diverso che è “El pueblo unido jamás será vencido” che invece rappresenta la commozione nei confronti della storia, degli ideali, dei soprusi e della giustizia alla fine. Una canzone dell’infanzia, cantata con il pugno chiuso a ogni occasione pubblica o privata in cui c’è stato bisogno di ricordarsi di certe cose che ora non ci sono più. Spero faccia piangere un po’ anche voi.

3. Questa poi è la canzone della vita intera, quella che se mi dite di scegliere un pezzo da portarmi via per sempre io mi prendo questo e vi lascio tutti gli altri. È la canzone della giovinezza, dell’indipendenza, dei primi gusti maturati individualmente anziché perché di moda o per far parte di un gruppo. È la canzone dell’epica e degli eroi e anche della danza, perché ancora oggi se la mettono in qualche occasione mi asciugo gli occhi e mi getto nella mischia. Ma, per fortuna, non accade mai.

4. Non c’è invece un brano che mi faccia pensare all’infinito dello spazio e del tempo e alla piccolezza di noi essere umani, mandati a occupare peraltro con un contratto a termine un’area infinitesimale per un periodo ancora più inconsistente, più di questo. Di certo la copertina da cui il disco è tratto un po’ mi suggestiona, come il fatto che la voce di Clare Torry sia dir poco spaziale come tutto il resto della traccia. Se volete un pianto sui massimi sistemi, questa è la migliore colonna sonora, benché anche “Us and Them” ora che ci penso non è da meno. Allora facciamo tutto l’album e non se ne parla più, ma piangere per tutto quel tempo non ce la fa nessuno.

5. Questa la suonavo io preparando un esame di pianoforte che non ho mai dato. Si tratta del secondo tempo di una sonata di Mozart, la K332 in Fa maggiore, ed è l’inno delle cose mai portate a termine, a partire dallo studio del piano. Fazzoletti, grazie.

6. Più o meno in tema c’è il pezzo preferito da mio papà, che se n’è andato a giugno di due anni fa completamente divorato dall’Alzheimer. Malgrado una collezione di migliaia di dischi di musica classica, ascoltava spessissimo la Toccata della Sinfonia n. 5 di Widor, qui nell’esecuzione su un organo che sembra un’astronave, e sono certo che se mio papà lo vedesse farebbe di tutto per procurarselo in qualche modo. Il motivo della commozione potete immaginarlo.

7. I Radiohead sono i principali esponenti della musica depressa. Lucky forse è quello che da questo punto di vista gli è uscito meglio. Una bomba di angoscia davanti alla quale a stento ti trattieni durante l’ascolto fino al ritornello che è di una mestizia unica, suoni melodia e parole. Anche questo disco a pensarci bene meriterebbe pianti sia sul lato A che durante il lato B, sempre che lo possediate su vinile come me.

8. Ci sono anche testi in italiano che ti vanno a pizzicare quelle corde che hai dentro che ogni tanto è bello lasciare libere di vibrare mosse anche da canzoni come queste. A me commuove perché è stato uno dei primi pezzi che mi hanno fatto venire voglia di andare via, senza nemmeno sapere in fondo da dove scappare e dove cercare rifugio se non dentro la musica stessa. Forse un po’ ingenuo a differenza degli altri, ma solo perché ai tempi in cui è stato composto ci si metteva a riflettere con poco di tutto, bastava veramente appena un po’.

9. Al gioco di scegliere il pezzo di sottofondo dei titoli di coda alla conclusione di un film sulla propria vita io da sempre dico “The Eternal” dei Joy Division. Se non piangete con questo non so proprio cosa dirvi, almeno fatelo per farmi contento anzi no, che poi non piango più nemmeno io.

10. Dallo scorso dieci gennaio qualunque cosa di David Bowie mi fa inumidire gli occhi. Ce ne sono millemila di pezzi che ci ricordano l’amarezza dell’epoca che ci siamo lasciati alle spalle. Magari voi che avete ancora cent’anni a disposizione potete ricorrere a surrogati. Per noi David Bowie si è portato via la parte più considerevole delle nostre vite, ormai presente solo nei solchi dei suoi dischi. Quindi, se devo scegliere, perché non confessare che “Blackstar” mi induce ad appartarmi ogni volta, e a versare qualche lacrima ma senza farmi vedere da nessuno?

sono un dj, sono quello che suono

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Fare il dj in situazioni improvvisate che raccolgono gente eterogenea che si trova lì per caso è quasi più complesso che suonare la pianola automatica ai matrimoni. Sarà capitato anche a voi, vero, che l’amico dell’amico vi chieda di mettere i dischi alla festa dei quarant’anni dell’amica o tra una partita e l’altra di un torneo di volley giovanile o alla giornata di raccolta fondi per la scuola organizzata dal locale comitato genitori. Perché intanto solo il fatto che ve ne intendete di più di musica di tutto il resto degli organizzatori non significa essere in grado di tenere botta a far ballare o anche solo intrattenere coinvolgendo i presenti per un tempo così lungo.

Secondo: per mettere i dischi o i cd o gli mp3 con il computer ci vuole comunque dell’attrezzatura ad hoc che non sempre si ha sottomano e se c’è qualcuno che te la procura non è detto che poi la sai usare e se la sai usare non è detto che poi funzioni tutto a meraviglia.

Terzo: ognuno poi ha la sua sensibilità, quindi si cade nel dilemma se sia il caso di mettere roba che conoscono cani e porci e che quindi chi mette la musica sia orientato all’ascoltatore, e in questo caso se sei uno improvvisato non è detto che tu abbia a disposizione i pezzi che fanno divertire ora – le prime dieci posizioni della classifica di MTV – e magari non solo non te li sei procurati ma nemmeno sai quali possano essere perché non guardi MTV.

Oppure ti capita di passare per il dj sapientone perché metti cose che sai che possono funzionare ma poi alla fine tutte quelle citazioni colte, quelle chicche, quelle versione strampalate di pezzi famosi, quei singoli riempipista ma solo di locali no wave newyorkesi e quelle colonne sonore di film del Sundance alla fine non se le caga nessuno e ti ritrovi da solo con i soliti due sfigatoni davanti alla console che sono gli unici che hanno colto il tuo spirito hipster e che ti fanno richieste appaganti ma che valgono zero ai fini della tua popolarità contestuale.

Ora scartando il caso di muoversi come una volta con il borsone quadrato con i vinili dentro, scartando anche l’ipotesi degli scatoloni di cartone con i cd masterizzati che poi saltano e ci fai una figura da pezzente, il portatile o addirittura la chiavetta USB con tonnellate di roba ballabile resta la soluzione più attuale. Ma attenzione: anche se vi preparate come facevo io con la sequenza con i BPM a salire vi troverete in condizioni in cui il vostro essere dj di musica alternativa è tutt’altro che un valore riconosciuto. Intanto perché l’utilizzo di supporti di bassa qualità e il cui possesso nel 2016 risulta tutt’ora illegale dall’obsolescenza delle autorità preposte (leggi SIAE) causerà effetti indesiderati durante la riproduzione a partire dalla più banale differenza di volume tra i brani anni ottanta, faccio un esempio, e le cose recenti.

Quindi proprio sotto di voi ci saranno i bambini che aspettano la baby dance (in qualunque generazione ci sono i bambini a cui piace ballare, e vi posso assicurare che da trent’anni a questa parte i pezzi sono più o meno gli stessi) con genitori altrettanto desiderosi di fare quattro salti con i balli di gruppi per lattanti, la scaletta sarà considerata dai più vergognosa perché troppo indie per essere compresa, troppo rock per essere ballata, troppo di nicchia per trascinare la calca verso un incremento del consumo di alcol per cui davvero se siete i pezzi che mettete, come dice Bowie, siete dei falliti e nessuno saprà rispettarvi.

ognuno ha un festival di sanremo dentro di sé che non vede l'ora di raccontare al prossimo

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Anche quelli più sottotono come me non aspettano altro che capiti l’occasione per vantarsi del Sanremo che hanno dentro. Ma come, sei stato a Sanremo? già vi sento chiedere. Sì, diciamo che da buon ligure (come molti dei miei lettori, cioè voi) ci sono passato e mi ci sono fermato più volte. E se intendete al Festival della canzone italiana vi rispondo idem. La prima volta ho dato la caccia ai Depeche Mode ospiti con Stripped, tutti dicevano di aver visto il cantante completamente fatto o addirittura in overdose in un vicolo della città vecchia ma non è mai stato provato. La seconda ho fatto la posta agli Smiths in procinto di presentare un vistoso playback, erano i tempi di “The world won’t listen”. Invece dentro l’Ariston non ci ho mai messo piede, ma non è detto che accada, prima o poi.

In compenso ho fatto parte della line up di un celeberrimo “Controfestival” nel 95 o giù di lì, organizzato sul lungomare di Sanremo in concomitanza della versione mainstream della manifestazione. C’erano persino i 99posse con Luca Persico, meglio conosciuto come ‘O Zulù, che sceso dal furgone aveva subito messo mano a un cellulare di prima generazione, roba che ai tempi solo la gente di un certo livello poteva permetterselo. Durante il soundcheck – erano in tour con i Bisca, se non sbaglio – aveva fatto la sua prova microfono con una serie di gorgheggi da muezzin gridando “la finanziariaaaaa” perché probabilmente anche in quell’anno i problemi della politica italiana non erano molto diversi da quelli di oggi (ma nemmeno da quelli dell’altro ieri).

Io ero all’esordio con un gruppo che mi aveva appena assoldato raccogliendomi praticamente dalla strada, e malgrado ci fossero centinaia ma anche forse un migliaio di persone come pubblico, già al primo pezzo avevo riconosciuto le grida di incoraggiamento nei miei confronti lanciate dai miei più cari amici che erano venuti apposta a supportarmi e si erano piazzati sotto il palco, in primissima fila. Mi ero commosso, sapete? Tra le altre band avevano suonato gli A.F.A o Acid Folk Alleanza, i veri buongustai della musica di quel periodo se li ricordano eccome.

L’ultima esperienza con Sanremo invece riguarda la celebre corsa ciclistica che ha lì la meta dopo la partenza da Milano. No, non ho mai coperto una distanza così ampia in bici, impresa che lascio a mio cognato che in bici da Milano è pure andato a Lourdes. E il festival non c’entra perché la gara si tiene il 19 marzo. Quella volta, non appena l’ultimo degli atleti in gara aveva tagliato il traguardo – era la Milano/Sanremo del 1988 – io avevo dato il la a un personaggio che mi vergogno persino a presentarvi che, insieme a me sul palco di un celebre hotel rivierasco tutto addobbato con la tipica flora locale, aveva offerto a un pubblico di cariatidi tutto un repertorio di canzoni in dialetto, con il sottoscritto al pianoforte e altri tre/quattro musicisti ad accompagnarlo. Questo perché Sanremo è davvero Sanremo. Vi lascio con un poesia che mi è venuta spontanea mentre rileggevo questo post: ognuno ha un Festival di Sanremo dentro di sé che non vede l’ora di raccontare al prossimo, trafitto dal televoto. Ed è subito l’ultima sera. Quella della finale.

credersi un cantante di grido al karaoke, sempre che il karaoke lo si pratichi ancora

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Jason non sembra di queste parti, dev’essere per questo che lo fissano tutti. Ma di strano in realtà ha solo un nome discutibile, una pigmentazione leggermente olivastra e certi lineamenti che ricordano un cantante di successo, italianissimo come lui. Jason ha scritto sul suo blog che il suo lavoro lo annoia in un modo che non riesce nemmeno a raccontare e, come me e voi, spera nel colpaccio che gli cambi la vita. Jason aveva una zia, addirittura la sorella di sua nonna, che gli ha fatto da madrina alla nascita e che lo adorava. Quando è morta di vecchiaia, ormai sono passati quasi dieci anni, Jason ha sperato di raggranellare qualcosa con l’eredità ma la zia non ha fatto testamento e quindi gli averi – pochi, per giunta – si sono dispersi tra i numerosi parenti del marito defunto poco prima e quelli dalla sua parte ma di grado più stretto del suo. Ma Jason non si è perso d’animo e si è coricato per mesi e mesi con la speranza che la cara zia si facesse viva – per modo di dire – in sogno a dargli qualche dritta su un modo veloce e semplice per arricchirsi. Un metodo che, come potete immaginare, non ha portato alcun risultato. Ci ha provato poi con suo papà quando è morto, e ormai sono passati quasi due anni. Ma pare che suo papà, che era malato di Alzheimer, si sia dimenticato di Jason anche nell’aldilà qualunque esso sia. Jason pensa a suo padre spesso ma, di rimando, non ottiene nulla, nemmeno un blando segnale. Neppure un banale vaticinio come il vincitore di Sanremo con cui bullarsi con i colleghi, per dire.

Fino a quando è successo davvero e in un modo che nessuno, Jason per primo, avrebbe mai potuto immaginare. Una sera stava ascoltando un disco di Bowie – Bowie era appena morto, occorre ricordarlo – e dalla magia della puntina dello stereo che ha sfregato su un granello di non so che tipo di polvere è apparso lui. Il duca bianco ha abbassato il volume (Jason si ricorda benissimo la canzone che stava ascoltando, era “Love is lost” da “The Next Day”) e come un genio della lampada qualunque ha concesso a Jason una possibilità per cambiare il corso della sua vita. Ma lo sapete meglio di me: Bowie non è uno che conosce le lotterie italiane, non può certo darti in numeri o i risultati della prossima giornata di campionato. Bowie ha dettato a Jason le note e il testo di una canzone e gli ha detto che quella canzone pubblicata sarebbe diventata una hit, un disco da milioni di copie vendute, una miniera d’oro per l’autore. Jason si è segnato parole e musica, e appena chiusa l’ultima battuta sul pentagramma Bowie si è accomiatato augurando a Jason, in inglese naturalmente, buona fortuna. Good luck, credo si dica così.

Jason si è precipitato al piano per suonare la canzone che Bowie in persona, o almeno nello spirito, gli aveva donato, l’ha registrata alla prima esecuzione e poi l’ha riascoltata. Il pezzo però, così come scritto sotto dettatura dal fantasma di Bowie, era tutt’altro che inedito. Aveva la strofa di “Don’t stand so close to me” dei Police e il ritornello di un vecchio brano di una nullità del calibro di Paul Young dal titolo “Come back and stay”, ve lo ricordate? Potete immaginare com’è andata a finire. Jason mi ha detto che non crede sia stato realmente Bowie a giocargli quel brutto tiro. Ha la collezione completa dei suoi dischi e lo adora dai tempi della trilogia berlinese, d’altronde chi non. Mi ha detto che il mondo è pieno di cantanti che hanno cercato di imitarlo, ed convinto che uno di questi, una volta morto anche lui, abbia cercato di sfogare in qualche modo l’invidia per i fan che, a differenza di Bowie, non ha mai avuto. Jason e io così ci siamo messi all’opera per fare una specie di censimento su Internet di tutti quelli che si sono ispirati a Bowie per trovare il sosia burlone. Ne abbiamo trovati a centinaia, qualcuno anche già morto, ma mica abbiamo ancora finito.

d'altronde la musica è fatta a pezzi già di per sé

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Qualche settimana fa girava in rete la notizia della chiusura di MTV Italia. In realtà la faccenda è più complessa, o almeno io c’ho capito poco anche perché è una di quelle questioni che sugli articoli scritti in Internet alla terza riga già inizio a saltare capoversi e arrivo a fine pagina che ne so quanto prima, sempre che nel frattempo qualche link non mi abbia distratto inducendomi ad allontanarmi da lì. E se non ricordo male la notizia si è diffusa più o meno in concomitanza con la morte di David Bowie, come se alla scomparsa dell’imperatore della musica di tutti i tempi tutto l’impero si sgretolasse a partire da uno dei principali organi di informazione di regime.

Ho letto sui social e solite provocazioni in cui c’era chi esultava per la fine di un canale televisivo musicale la cui proposta è abbastanza di merda. Qualunque sia la vostra opinione, la fine di un anello della catena produttiva dell’industria musicale (sempre che poi chiuda oppure boh) è comunque da considerarsi una sconfitta della musica stessa. A me capitava spesso in momenti di zapping di soffermarmi invece su un altro canale in cui si vedevano spesso videoclip che era TRS Evergreen, una specie di MTV di una volta in versione Radio Zeta specializzato in musica anni 70/80/90, soprattutto hard rock. E ne parlo al passato perché anche sulla pagina Facebook di TRS Evergreen si annuncia la cessazione dei programmi a vantaggio di un fantomatico Canale 93 Motori.

D’altronde che cosa ce ne facciamo di una tv musicale ai tempi di Internet? Siamo ancora disposti a pazientare davanti alla tv nella speranza che trasmettano un video che ci piace, oppure con le nostre smart tv possiamo consumare tutta la musica che vogliamo in fretta e furia, oppure ancora passiamo il tempo davanti a MTV di oggi perché i nostri gusti sono perfettamente in linea con il turn-over dei successi commerciali di MTV? Non preoccupatevi, non sto per partire con uno dei soliti pippotti sulla tv di una volta e Videomusic e Claudio De Tommasi o Cingoli e la Maugeri. C’è stato un momento però in cui MTV Italia è stata davvero avanti ed è quando si era inventata YOS diventata poi FLUX quindi QOOB, la piattaforma multicanale in cui si contaminava davvero ogni genere e ogni impeto artistico. Questo prima che la musica si svalutasse del tutto, come dice questo articolo a cui prima o poi dedicherò uno special.

Resta il fatto che MTV come la intendiamo noi non esiste più da un pezzo. Al suo posto c’è un’emittente omonima ma che trasmette solo telefilm e programmi della subcultura statunitense, l’equivalente delle reti Mediaset italiane ma molto, molto peggio, con certe trovate che fanno accapponare la pelle. C’è un programma più o meno all’ora di cena che trasmette le risse che si trovano filmate e pubblicate su Youtube, per dire. Quindi non si tratta solo della fascia oraria in cui mostrare materiale di questo tipo, ma anche del contenuto in sé. Non dimentichiamo che MTV ha portato alla ribalta i soliti idioti e uno dei due idioti di quella coppia di idioti. Sono queste cose che poi mi fanno pensare che chi se ne frega se davvero chiude MTV Italia, ma poi mi dissocio da questa linea distruttiva. Oltre a essere una sconfitta della musica e una sconfitta della cultura in genere, dimostra che la nostra generazione ha perso se comunque ci siamo lasciati scappare con le nostre preferenze un canale televisivo sebbene discutibile ma comunque musicale per una copia da telespettatori deprivati usi a cose come Italia Uno.

vita, morte e miracoli di un gruppo indie rock

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Volevo scrivere due righe sul concerto dei Foals di un paio di sere fa a Milano, non una recensione perché a mia religione me lo vieta ma almeno trasmettere tutte le mie impressioni entusiastiche sull’accaduto. Poi, mentre cercavo informazioni sulla scaletta nel dettaglio, ho appreso che tre ragazzi di Treviso sono morti in un brutto incidente in autostrada mentre rientravano proprio da quella serata. Così ho cambiato idea perché originariamente volevo condividere qualche considerazione proprio sul pubblico, la cui età media era sensibilmente più bassa rispetto ai concerti dei gruppi che seguo, e dire che i Foals non sono certo un gruppo da MTV. Ero letteralmente circondato da persone che potevano essere a grandi linee figli miei, così come prima cosa mi è venuto in mente un amico che frequentavo una quindicina di anni fa, un cinquantenne che portava suo figlio ai concerti per non sentirsi nell’imbarazzo di sembrare un uomo di mezza età con una passione, quella del rock e dintorni, disdicevole per uno con i capelli bianchi. Per dire, ho mandato un selfie di mia moglie e me in mezzo a quella folla in attesa a mia figlia, via whatsapp, e lei ci ha confessato di essere rimasta perplessa. Secondo lei noi cinquantenni dovremmo andare solo ai concerti di musica classica.

Pensavo anche alla scarsa importanza che quei ragazzi che erano lì intorno a me danno al modo di vestirsi rispetto a noi degli anni 80 che non ci saremmo mai presentati a un appuntamento di quel tipo se non conciati come in un video dei Cure. Nella solita selezione musicale di riscaldamento pre-concerto, poi, quasi tutti hanno riconosciuto il disco dei Vietcong uscito l’anno scorso, il che mi ha fatto piacere perché credevo che invece tra i più giovani si ascoltasse solo musica di merda. Erano tutti molto preparati sui testi – e molto più di me – sia delle canzoni dei Foals che di quelle del gruppo spalla, gli inglesissimi Everything Everything. Gli unici due lati negativi, ma non è la prima volta che lo sostengo, sono stati in primis la mania per me inconcepibile di passare il tempo dell’esibizione live con lo smartcoso in alto a fare foto, registrare video o a fare altro che, oltre che essere una perdita di tempo considerata la qualità del materiale prodotto, rompe il cazzo a chi sta dietro.

Secondariamente mi spiace ammettere che le nuove generazioni sono sempre più alte, e a me che sono uno e ottantasei capita sempre più spesso di trovarmi ai concerti con davanti la nuca di uno o una che è almeno uno e ottantotto. Due di questi spilungoni erano al mio fianco. Un tizio e una tizia che hanno passato la prima metà del concerto a limonare duro, il resto a farsi i cazzi propri parlando ad alta voce e vi assicuro che anche se il volume al chiuso è elevato la gente che chiacchiera dà molto fastidio. Avevo un gruppo di ragazzi intorno a me altrettanto infastiditi e tutti insieme li abbiamo zittiti. Quando ho visto le foto dei tre giovanissimi di Treviso morti nell’incidente ho pensato che potevano essere alcuni di loro, schiacciati gli uni agli altri e con me in mezzo, gente che ha partecipato a un concerto dei Foals con il mio stesso amore per musica e poi per uno di quei fattori inspiegabili finiti così. Muore David Bowie, muoiono i ventenni negli incidenti, tutto sommato è un gran peccato.

ora vi spiego David Bowie

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Se vi dico che David Bowie è stato un grande artista so già che chiudete la pagina in un clic e tornate su Facebook o su qualche blogger musicale di quelli seri e preparati. Il motivo è che è una banalità, ma anche se so che lo pensate non vedo un altro modo più efficace per affrontare la questione, che è la seguente. David Bowie è stato un grande artista e ha usato sempre la musica più a portata di mano per esprimersi, questo significa che lungo una carriera di cinquant’anni o giù di lì di generi pronti all’uso ce ne sono stati diversi. Conoscete meglio di me, vero, la classificazione dei periodi artistici di Bowie. Cosa significa questo? Semplice. Se cercate coerenza musicale avete sbagliato artista e provate a citofonare U2 o REM o una delle band o cantanti che hanno un genere tutto loro a cui bene o male sono rimasti fedeli lungo una carriera pluridecennale. David Bowie è stato un grande artista che ha usufruito della musica come piattaforma espressiva. La musica per tradurre David Robert Jones agli esseri umani. E se mi insegnate che la musica è uno strumento si prende quello i cui simboli e la cui estetica è più facile che arrivino a destinazione, quello più di moda secondo ogni momento storico perché c’entra anche la moda e non dategli la solita accezione superficiale, fate uno sforzo.

Invece lo so che è difficile perché piacerebbe a tutti avere il proprio David Bowie personale e tutto d’un pezzo che dal primo all’ultimo disco ha sempre seguito una linea. Io per primo: a me piace particolarmente il periodo da “Low” a “Scary Monsters” e siccome trovo il sound di Bowie in quella fase irresistibile (ma anche lui stesso non è per niente male) mi sarebbe piaciuto che avesse continuato in quella direzione. Ma lo sapete come è andata. “Let’s dance” è stato probabilmente il suo album più venduto di tutti i tempi perché a quel punto ha deciso che il genere più a portata di mano per esprimersi era, appunto, la dance. Posso fare lo stesso tipo di analisi a ritroso, mentre a chi piace il suo periodo glam o quello degli esordi vi dirà le stesse cose che ho scritto io ma con altri punti di riferimento.

Da questo punto di vista, forse la fase in cui è stato più coerente musicalmente è stata la penultima, diciamo da “1.Outside” in poi esclusi gli ultimi due, “The next day” e “Black star”, ma questo secondo me deriva dal fatto che da metà anni 90 in poi non ci sono stati bruschi capovolgimenti di stile nella musica. Anzi, pensate a tutto il filone derivativo che contraddistingue il nostro presente dal duemila in poi e che si rifà al post punk – new wave che a sua volta è molto debitore a David Bowie, ne consegue che siamo daccapo e Bowie così ha reinterpretato se stesso del suo periodo d’oro quindi non ha avuto più bisogno di rifarsi ai generi e ai suoni del momento perché già lui era così.

Il resto di Bowie lo avete capito da soli. I detrattori non gli perdonano questa sua personalità troppo forte per sottomettersi a un unico filone, i generalisti conoscono tutte le sue hit, i gruppi alternativi lo riconoscono come principale ispiratore, gli impegnati come me fanno i distinguo, i cantautori dall’alto della loro gloria da stronzi fanno finta di non conoscerlo, quelli che cavalcano i trend topic post-mortem si arrangiano con quello che trovano. Ma ripeto: il suo essere stato così a cavallo di tutto, perché Bowie ha fatto di tutto il suo cavallo, è stato un modo di forgiare la musica e le sue categorie e metterle al servizio della sua arte. I più gretti risultano pasticcioni, voltagabbana e ruffiani. I raffinati come Bowie possono permettersi di esprimersi in qualunque modo gli sia più congeniale, tanto gli è congeniale tutto.

L’ultima considerazione: un modo per celebrare Bowie potrebbe essere quello di resistere alla tentazione di creare una tribute band di Bowie o snobbare i concerti delle tribute band di Bowie già esistenti. Non può esistere una tribute band di Bowie, sarebbe infatti una tribute band della musica stessa. Se vi sentite offesi perché suonate in una tribute band di David Bowie potete ribattere dicendo che bisognerebbe evitare anche di scrivere banalità come David Bowie è stato un grande artista, o come tutto questo minestrone qui sopra, così siamo pari. E comunque Bowie mi manca di brutto, non so a voi.

ho fatto questo editing di Virtual Insanity di Jamiroquai in tre quarti, sentite come rende meglio

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da due giorni è già il ventiduesimo secolo

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Come i vecchi tromboni la meno un po’ a tutti con ‘sta storia del secolo breve perché ho studiato Hobsbawm ed è su queste basi che vi dico che ieri l’altro è finito il secolo brevissimo, e fidatevi perché di archi temporali aperti e chiusi arbitrariamente alla faccia della divisione ufficiale del tempo me ne intendo alla stragrande. Non credo di esagerare affermando che con la morte di David Bowie finisca un periodo a sé che per me può tranquillamente erodere tutti i decenni che volete del novecento, almeno da quando esce Space Oddity fino alla pubblicazione di Blackstar. Il calcolo è presto fatto: dal ’69 all’11 gennaio 2016 sono quarantasette anni, corretto?

Ecco, il secolo brevissimo allora è quello di Bowie, della sua musica, dei suoi alti e bassi. Tutta la letteratura che leggete pubblicata in questi giorni ci accompagnerà nei prossimi cento anni, che poi magari ancora una volta non saranno cento ma che di certo sono iniziati nel migliore dei modi. Ci piace pensare infatti che David Bowie abbia pensato a tutto: primo, non far sapere in giro che era malato e che era destinato a morire presto. Secondo, scrivere, registrare e pubblicare un album che costituisse la vera essenza del suo modo di essere: una stella luminosa al contrario il cui nero risplenderà per sempre nelle sue parole. I testi delle ultime canzoni sono un richiamo a quella che sembra una morte pianificata in grande stile, con un servizio fotografico a poche ore dall’ultimo respiro.

I nati in questo ventiduesimo secolo possono esserne fieri: la vita di Bowie è una straordinaria opera d’arte in sé, e Blackstar sembra essere la chiave per interpretarla al meglio. Il secolo brevissimo, quello dei circa cinquant’anni di carriera, è una performance vivente fatta apposta per noi, un immenso e infinito teatro cinema disco pub ristorante all you can eat da percorrere in un senso o nell’altro. E se lo cose stanno così, se davvero Blackstar è stato studiato nei minimi particolari per dirci addio a suo modo, possiamo aspettarci davvero di tutto. Lazarus, il suo ultimo alter ego, potrebbe davvero alzarsi e riprendere a camminare.

è morto Bowie e io sono a Prato

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È morto David Bowie e io sono a Prato. Questa è la prima cosa a cui ho pensato quando sono stato messo al corrente della notizia. Ero davvero a Prato in una riunione di lavoro e, nella stanza, c’era pure puzza di piedi. Ecco le successive, se ve la sentite di elaborare insieme a me il lutto.

La seconda cosa a cui ho pensato è stata quel post di Fabio De Luca in cui ha pubblicato il mistone dei pezzi di Bowie remixati dai 2Manydjs, quando dice che “vederlo (il video del mistone) mi ha fatto pensare al giorno in cui David Bowie se ne andrà da questo mondo, e a quanto bisognerà evitare internet quel giorno”. Ecco, fatta eccezione per il fotogramma di Christiane F. di spalle che osserva nella metro di Berlino il poster del concerto con la sua iconica faccia frecciata di rosso di Aladdin Sane mi sono ripromesso di non leggere, scrivere e ascoltare nulla su Facebook. Anzi, se prima avevo la mezza intenzione di cancellarmi, ora sono a oltre tre quarti.

La terza cosa è che non l’ho mai visto dal vivo e che speravo in un tour di “Blackstar” anche perché, a differenza di quanto sostengono i telegiornali, non ho mai letto da nessuna parte né che fosse malato e tantomeno che avesse i giorni contati. Quando è venuto in Italia e io ero già in età da concerti il periodo della trilogia berlinese era già finito da un pezzo, erano gli anni 80 e Bowie suonava versioni delle sue canzoni piuttosto discutibili. Per farvi capire, ascoltate questo estratto della sua performance a Live Aid

e paragonatela con questa

quindi insomma, vederlo con quelle spalline non mi interessava granché. Poi è rinsavito, come tutti a una certa età, e si è rimesso a suonare i suoi pezzi come devono essere suonati, per esempio così:

La quarta cosa è “Blackstar”, il nuovo disco che ho pre-ordinato appena è stato disponibile su Amazon, quindi mi è stato spedito come a tutti giovedì scorso con consegna venerdì 8 nel giorno del compleanno di David Bowie. Il mio programma per il fine settimana scorso prevedeva infatti un ascolto continuo del nuovo disco di Bowie, tenete conto che mai e poi mai avrei immaginato che sarebbe mancato di lì a poco. E invece il corriere di Amazon non è arrivato in tempo e “Blackstar” mi è stato recapitato in ufficio ieri quasi nello stesso momento in cui venivo a sapere che Bowie non c’era più. Ma io non c’ero in ufficio ieri, ero a Prato e Bowie è morto mentre io ero a Prato.

La quinta cosa è il video di “Lazarus” tratto da “Blackstar”, che non sono riuscito a vedere quando è stato pubblicato qualche giorno fa perché mi ha fatto impressione pensare a Bowie vecchio e malato, e torno a ripetere che non sapevo nulla delle sue condizioni di salute.

La sesta riguarda invece tutte le canzoni di Bowie che ho suonato nella mia vita passata da musicista, su tutte “Ashes to Ashes” con quel gruppo di cover new wave che avevo intorno al 2000, e tutte le sue canzoni che invece non ho mai imparato a partire dalla parte di piano di “Life on Mars”. Peccato davvero.

Il settimo pensiero è andato ad Aurora che è un’amica che era sputata David Bowie. C’è in giro una gif animata che mette in sequenza tutte le foto più celebri di Bowie con una sorta di effetto di morphing (mi spiace non linkarla ma non la trovo in questo momento EDIT: l’ho trovata, è qui) e in più di un passaggio, tra un trucco e l’altro, sembra di vedere Aurora quando ne eravamo tutti innamorati perché sembrava proprio Bowie.

L’ottava e ultima cosa riguarda ancora “Heroes” e quella scena di “Christiane F.” che ha proprio quel brano in sottofondo che ogni volta in cui la vedo mi fa venire voglia di correre strafatto come loro e come loro spaccare tutto. Ma non posso farlo per motivi anagrafici, quindi faccio finta che a Berlino, nell’81, ci sono stato pure io.

A dire la verità ne avrei ancora una di cosa, ma che sono distrutto dalla notizia della morte di David Bowie è inutile che ve lo stia a dire.