daniele silvestri: alibi e paracadutismo

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Qualche giorno fa abbiamo scritto dei jingle pubblicitari che non li fa più nessuno ed è un peccato. Restano infatti talmente impressi nella nostra memoria che poi è facile trovarne echi in altre canzoni. Per esempio, avete presente la musichetta che accompagnava lo spot di Nuvenia Pocket con le ragazze in pieno ciclo che si gettavano con il paracadute giù dall’aeroplano?

Ecco, ora andate a circa 3.45 del video del recente singolo di Daniele Silvestri “Quali alibi” e ditemi, il fraseggio di chitarra, che cosa vi ricorda.

questo fa per me

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Ci sono persone a cui non interessa il calcio e di conseguenza non seguono il campionato europeo, ma ci sono anche persone a cui non interessa se ad altre persone non interessa il calcio e di conseguenza non seguono il campionato europeo, per non parlare di coloro che se ne fottono se ci sono anche persone a cui non interessa se ad altre persone non interessa il calcio e di conseguenza non seguono il campionato europeo e quindi, di conseguenza, continuano a non seguire sia il campionato europeo che le persone a cui non interessa se ci sono persone a cui non interessa il campionato europeo e pure le persone a cui non interessa se ci sono persone a cui non interessa il fatto che ci si siano persone che se ne fottono degli Europei. Ecco, io ero così, ma oggi ho scoperto che un po’ mi spiace per il Belgio anche se c’è stato un momento in cui la mia passione per il Belgio è stata messa a dura prova quando qualcuno ha messo in giro la notizia che questa non è la vera voce di Plastic Bertrand. Non scherziamo, per favore.

come si calcola il PUE (Power Usage Effectiveness) di una canzone

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Ogni volta in cui qualcuno scrive una canzone si consuma dell’energia da qualche parte perché è così che funziona, niente si crea dal nulla. Anche la musica quindi ha una sua componente di sostenibilità che non va individuata solamente nell’elettricità consumata per far funzionare ampli, mixer, casse e strumenti elettronici. Ci sono infatti composizioni più o meno energivore. Quelle che nascono dentro l’estro dell’autore necessitano solo dell’energia necessaria a mettere in moto tutto il processo creativo. Come certi motori delle auto elettriche, l’energia si auto-genera mentre la canzone prende forma e viene subito impiegata per le fasi successive. La canzone si completa quindi così come nasce e siete veramente green se non subisce lavorazioni intermedie in grado di snaturare la materia prima. Non sono pochi infatti i casi in cui, da soli o con altri, ci si prodiga per far diventare la canzone un’entità diversa dal modo in cui è nata. Possiamo tranquillamente parlare di “genere” come succede per gli esseri viventi: maschio o femmina o transgender e tutte le vie di mezzo che ci sono. Anche per la musica succedono cose simili. Non avete idea, per esempio, di quanto può consumare una composizione composta secondo una procedura cosiddetta “a tavolino”. Avete presente quando ci si mette d’impegno per realizzare un prodotto in un modo o in un altro? Facciamo un pezzo commerciale, un pezzo ballabile, un tormentone, una canzone d’amore, un pezzo per Sanremo, una musica sperimentale, un ritornello facile, il potenziale jingle per lo spot di una compagnia telefonica. In ognuno di questi casi sembra che sparisca una porzione di foresta amazzonica grande quanto la superficie degli Abbey Road Studios. Se volete essere utili al pianeta, partorite i vostri pezzi come nascono senza intervenire con artifizi anche se non siete nessuno e, magari, il potenziale jingle per lo spot di una compagnia telefonica può tornarvi utile almeno dal punto di vista del tornaconto. Pensate piuttosto a una canzone come questa qui sotto che è non è da ballare, da urlare o da associare a BMW che corrono silenziose lungo sentieri a strapiombo su fiordi immacolati. Certo, né voi tantomeno io siamo i Blur, ma sono pronto a scommettere che a qualcuno in quel quartetto gli è venuta talmente di getto che, anzi, un po’ di energia poi è stata poi riciclata e impiegata anche per stampare il booklet del CD.

a chi non piacciono i caratteri sui genesis

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Non ho mai capito il motivo per cui le donne ci odiano quando ascoltiamo progressive. Rientrano a casa proprio a circa 6.58 di “The return of the Giant Hogweed”, quando sta per partire il crescendo di uno dei finali più epici della storia della musica e nemmeno ti avessero colto in flagrante con la vicina chiedono subito cos’è sta roba. Questo significa che non solo svanisce tutta la carica emotiva che ha fatto salire l’ascolto fino lì ma anche che puoi fare ciao ciao con la manina al lato B di Nursery Crime e a quel punto o viri su qualcosa di prodotto dopo il 1980 oppure meglio spegnere lo stereo e chi si è visto si è visto. A me, per dire, non c’è un momento più adatto di un caldo pomeriggio di fine primavera trascorso in casa in cui mi concerei persino come il Cappellaio Matto dell’etichetta della Charisma Records che ruota sul piatto a 33 giri eppure, sapete meglio di me, questo genere di attitudini non sono tollerate nelle coppie moderne. Saranno i flauti e gli strumenti non convenzionali. Sarà l’organo che ricorda i momenti di preghiera collettiva nelle cattedrali gotiche. Saranno i moog con l’effetto portamento che consente di passare da una nota all’altra glissando sui toni intermedi. Saranno i repentini cambiamenti di tempo e la varietà melodico/armonica che destabilizza chi è poco avvezzo all’irregolarità e all’asimmetria. O sarà forse la voce di Peter Gabriel l’ascolto della quale ormai avulso dai legnetti africani o dai sassi sonori dell’Amazzonia non riconosce più nessuno quando ancora si trovava al massimo della sua carriera artistica? Il progressive non si concilia con l’amore moderno, e se non volete essere destinatari di un’istanza di divorzio lasciate perdere i Genesis e gli altri vostri passatempi preferiti, come fare i controcanti alle voci o identificare le somiglianze tra canzoni cantando il ritornello dell’una sugli accordi dell’altra. Le donne tollerano di più addirittura le serate al bar a giocare a biliardo o le partite di calcetto. Che poi, voglio dire, Gabriel da giovane era un figo da paura, no?

dove vanno gli acquisti online sbagliati quando muoiono

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Finalmente è arrivata anche per me la prima delusione dell’e-commerce, e solo il fatto che sia arrivata nel 2016 è comunque già un bel traguardo. Non è che non ci sia mai andato vicino. Ci sono i siti fidati che magari ci provano a rifilarti la sola ma poi, considerando che la loro sopravvivenza si basa sulla customer experience, si fanno in quattro per fare ammenda. Tempo fa, per dire, ho acquistato una scopa a vapore su Amazon. Il prodotto mi è arrivato probabilmente già utilizzato e non completamente funzionante, anzi probabilmente qualcuno prima di me lo aveva acquistato, provato, aveva scoperto il difetto e lo aveva già restituito. Ho fatto così anch’io, Amazon mi ha rimborsato i soldi e amici come prima, tanto che nel giro di due giorni avevo già scelto e pagato un altro modello ancora su Amazon.

Ci sono invece i siti che boh, nel senso che quando sei lì a inserire il numero di carta di credito o a schiacciare il pulsante che ti porta a PayPal ti senti il brivido dell’imprevisto lungo la spina dorsale. L’e-commerce e l’acquisto di cose dagli sconosciuti non dovrebbe farci più paura, e infatti non lo temo e il mio conto corrente lo sa bene. Per esempio i dischi in vinile nuovi e usati li compro tutti con questo sistema, a parte qualche acquisto occasionale alle bancarelle ma, come sapete, ora che sono tornati di moda raramente si fanno affari. Compro dischi non certo per rivenderli e farci dei soldi e nemmeno perché sono un collezionista compulsivo. Mi piace non farmi mancare nulla di quello a cui da ragazzo ho dovuto rinunciare. Da appassionato di musica dovevo fare i conti con la paghetta con cui non potevo certo permettermi di comprare tutti i dischi che avrei voluto. Oggi, considerando che – come si dice – non ho vizi particolari e ho un tenore di consumi piuttosto basso, compro più o meno un disco al mese, budget venti euro circa, il costo di un abbonamento televisivo o di un contratto medio telefonico.

Il regalo più bello che l’Internet ha fatto a quelli come me è una piattaforma dedicata alla compravendita di musica usata, che è Discogs. A differenza dei colossi del commercio elettronico, qui siamo nella zona grigia dei privati o dei negozi per i quali occorre fidarsi solo dalle recensioni degli utenti. Dopo svariati acquisti di dischi andati a buon fine, proprio su Discogs mi sono preso la prima fregatura. Ho comprato una copia di “Forces of victory” di Linton Kwesi Johnson priva di copertina originale, sostituita con una copertina anonima tutta bianca. Il problema è che il venditore che si chiama RIZZOMSRECORDS non lo ha, secondo me, specificato con la giusta correttezza. La descrizione della copertina non corrispondeva in effetti alla realtà. Ha indicato “generic” a proposito della “sleeve condition”, come se “generic” fosse un attributo della condizione della copertina (che non significa nulla) e non il fatto che si trattasse di una copertina, appunto, “generica”, in sostituzione di quella originale. Che è un po’ come se ti devi descrivere in chat a una ragazza e le dici che hai dei capelli anomali e invece sei calvo.

Quindi niente: se volete vendere dischi su Discogs, il mio consiglio è quello di dare informazioni complete agli acquirenti, per evitare che poi acquirenti come me restino delusi e che scrivano cose negative sul conto dei venditori a scapito della loro reputazione online, che nell’e-commerce è fondamentale. Quanto a me, cercherò una copertina vuota di “Forces of victory” di Linton Kwesi Johnson e sarò costretto a sforare la mia paghetta mensile dedicata agli acquisti musicali.

mettere l'amore in ordine cronologico

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A quello dell’alta fedeltà a cui piaceva fare le liste io preferisco di gran lunga l’ordine cronologico, fedele al motto di “ubi maior” anche se il minor stranamente non cessat per nulla quando si tratta di figli e figlie. Ve l’ho detto che ieri la mia bambina per la prima volta è andata al cinema con un ragazzo? Credo di no perché a me piace riflettere in solitudine per questo genere di cose che hanno un lato dolce e uno amaro. Su quello amaro è inutile soffermarsi, potete immaginare di che si tratta. Quello dolce invece ci sarebbero ettolitri di inchiostro anche virtuale da riversare su pagine .php bianche. Vogliamo parlare anche solo del tumulto che si ha dentro a quell’età e in quella prima occasione? Quindi se vogliamo mettere in ordine cronologico tutti i nostri amori dobbiamo partire anche noi da quella volta lì. Il mio consiglio però è che se fate una lista poi dovreste confrontarla con quelle formulate dai referenti di ciascun campo, come per qualunque database relazionale che si rispetti, perché non è detto che quello che magari sembrava amore per noi per il partner o presunto tale sia la stessa. O siete tra quelli per i quali conta solo essere andati al sodo, quello che in gergo si dice anche timbrare il biglietto? No, dai, non abbiamo più sedici anni e basta con il considerare solo i dati reali per fini statistici. Abbiamo esperienze che per noi era amore anche se non è successo niente e anche se dall’altra parte abbiamo avuto solo un vago accenno di corrispondenza e questo ha più valore di qualsiasi carnalità. Non a caso la posizione numero 1 del mio ordine cronologico mi vede rincorrere la bella Antonella con il K-Way blu a undici anni o poco più in una città ventosissima, io che posso raggiungerla ma ho paura e così faccio finta di non tenerle il passo, e la bella Antonella che mangia la foglia, si ferma, io mi fermo a distanza, tira fuori dalla tasca una di quelle gomme da masticare profumatissime e me la lancia, io la prendo al volo e penso che il profumo della gomma da masticare sia lo stesso della sua pelle. Dovrei ora però controllare se per lei è stato lo stesso e quindi validare l’esperienza come amore vero. Ho pensato a mia figlia al cinema la prima volta sola con un ragazzo, ho pensato alla gomma da masticare che chissà cosa aveva dentro per profumare così, e ho provato una cosa che io chiamo la perfezione. Ma per completare al cento per cento questo stato di perfezione ho messo su il lato B di The Dark Side of the Moon a partire da “Us and them”, di questa mia abitudine sono sicuro di averne già parlato. Non che il lato A sia brutto, anzi, ma il lato B mi fa pensare che probabilmente alla fine dell’ultimo solco di quel disco non ci sia più niente da dire e che potrebbe anche finire tutto che tanto più intenso di così, più di mia figlia e del lato B di The Dark Side of the Moon a partire da “Us and them”, difficilmente ci sarà qualcosa di meglio.

cose che, nel migliore dei casi, non portano da nessuna parte

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Ogni tanto vado su LinkedIn e posto qualche articolo che trovo in giro. Un’intervista a Don DeLillo sul suo nuovo romanzo “Zero K” che non si sa ancora quando uscirà in Italia, il link a una geniale rivista inventata dedicata ai papà, un post che ho trovato in giro su Shane Meadows, il regista di “This is England”. In poche parole, cose che non c’entrano nulla né con il lavoro che faccio e completamente inadeguate per il social network più noioso della storia. Mi sto dedicando sempre più alla mia nuova attività di situazionista linkediniano, dedicata ad attività controproducenti, provocatorie e assolutamente a cazzo con l’obiettivo di sminuire ulteriormente la considerazione che hanno di me i miei collegamenti professionali. Non chiedetemi perché non mi cancelli da lì, perché non so rispondervi. Ma se volete avere un’ulteriore prova di quanto riesco a essere cialtrone, mi sono pure inventato su Facebook una pagina in cui elargisco suggerimenti di musica non convenzionale a chi pratica la corsa, come se fossi uno che di corsa se ne intende e non un improvvisato podista della domenica senza alcun obiettivo o velleità agonistica. Se vi interessa, la pagina si chiama “Road to Nowhere” e la trovate qui. Indovinate a chi mi sono ispirato.

p.s. Invece la pagina di questo blog è qui. Vi aspetto.

bilancio di fine stagione

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Alle 14.00 di vent’anni fa, ieri salivo sul palco del Concerto del Primo Maggio a Roma. Non sto a raccontare l’emozione di stare davanti a decine di migliaia di persone che battono le mani a tempo mentre suoni perché è facile da immaginarsi. In realtà nella band in cui militavo e che mi ha permesso di raggiungere il punto più elevato della mia breve carriera musicale da uno che voleva fare il musicista professionista, in quella band purtroppo ero poco più che un turnista. Si trattava di un gruppo costruito pressoché a tavolino nato sulle ceneri della formazione che aveva pubblicato il primo cd, in cui ero stato reclutato per la chiusura della registrazione del secondo. C’era una promettente produzione con un tizio inglese che aveva collaborato già con alcuni nomi di grido, una major che avrebbe fatto uscire il cd, una rete di contatti giusti invidiabile, lo studio di registrazione con il tecnico del suono più di moda al momento, persino un agenzia seria per i concerti. C’erano state persino interviste, articoli e prime pagine sui giornali. Servizi fotografici e agganci per far parte di festival e appuntamenti con altre band ben più famose di noi. Persino passaggi televisivi e un live alla radio del più famoso volpone della musica commerciale italiana. Nonostante tutto questo, i risultati di quell’esperienza sono stati inqualificabili. Dopo qualche mese da quel primo maggio avevo percepito la parabola discendente e mi ero defilato grazie a un impiego normale, che a differenza della musica mi avrebbe garantito uno stipendio regolare.

Il punto però è quella partecipazione al concerto in piazza San Giovanni, con Sting nei camerini che non si lasciava avvicinare nemmeno dagli addetti ai lavori, Veltroni in visita ufficiale, Marina Rei scalza e Mara degli Ustmamò bellissima. Suonare come un turnista o poco più in un’occasione come quella è uno spreco emotivo che non vi sto a dire. Una frustrazione che non ha eguali, come fare l’amore a comando, come mangiare qualcosa di scadente solo per riempire lo stomaco, come bere una birra calda quando si muore di sete. Eseguire canzoni alla cui composizione non si ha contribuito in un concerto di quella portata non meriterebbe nemmeno di essere ricordato. Certo, mi piace raccontarlo come vanto perché non siamo in tanti che possiamo prenderci un tale merito. Ma ora, allo scadere dei vent’anni da quell’esibizione, anzi vent’anni e un giorno, sono pronto a dequalificare l’esperienza, a darle il suo giusto peso, a metterla in archivio con il suo giusto valore. La musica andrebbe suonata solo quando viene da dentro, quando è una cosa intima, quando una canzone l’hai vista crescere come un figlio, quando ci sono pezzi di te sullo spartito o nelle parole. Tutto il resto, e mi perdonino i mestieranti, ne è solo una volgare imitazione.

le dieci migliori barzellette sui musicisti

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Se trovate un musicista simpatico, a parte me, avete trovato un tesoro. E con simpatico intendo uno con cui si possa trascorrere del tempo in modo piacevole e si possa conversare amabilmente di cose che non siano afferenti alla sua passione che magari non è la vostra. Il senso dell’umorismo dei musicisti è un canale a circuito chiuso perché va a creare paradossi o a scardinare dinamiche tipiche dell’universo (assai ristretto) del musicista, con riferimenti e un linguaggio tecnico talvolta impossibile da cogliere dai non addetti ai lavori.

A me per esempio fa sempre sorridere amaramente quella vecchia battuta sul chitarrista che muore e che va – inutile dirlo – all’inferno. Ma l’inferno dei chitarristi apparentemente è invece un paradiso: un’enorme sala prove popolata da milioni di altri chitarristi e con la possibilità di scegliersi la strumentazione preferita. Fender, Gibson, amplificatori e pedaliere di effetti di ogni tipo e marca a disposizione e senza limiti. Il chitarrista viene invitato ad allestire il suo set e a prendere posizione per l’inizio delle prove di quell’eterno spettacolo che si va a preparare tutti insieme. Milioni di chitarristi accompagnati da altrettanti bassisti, batteristi, tastieristi. Sul podio c’è una specie di demonio che svolge il ruolo di dirigere quella distesa di strumentisti e che annuncia il pezzo che andranno a eseguire. “Un blues in Mi”, dice. Batte quattro e tutti iniziano. Sapete la struttura del blues, vero? Alla quarta battuta in Mi, il chitarrista si appresta a cambiare in La ma niente, tutti restano sorprendentemente in Mi. Passano altre due battute e niente. Il giro standard di dodici battute si compie tutto in Mi e il blues, che poi blues non è se non per il caratteristico ritmo, prosegue sullo stesso accordo. Così il chitarrista, malgrado il volume infernale di quel baccano, a cui comunque è abituato per la sua attività di quando era in vita, si rivolge al musicista al suo fianco. “Scusa, ma quando cambia?”, gli chiede. E l’altro gli risponde: “Mai!”. Ecco, barzelletta finita. E mi è venuta in mente questa barzelletta perché ieri ascoltavo Lifegate Radio che è una stazione tutto sommato accettabile fino a quando non mettono un pezzo blues che anche se qui nell’aldiqua rispetta la successione di accordi tipica del blues, a me il blues, come avrete capito, mi annoia come pochi altri generi musicali.

Ma se siete musicisti e volete far ridere i vostri colleghi nella band in cui suonate, provate con questa gag: cantate la scala di Do maggiore a salire. Do Re Mi Fa Sol La Si Do. E poi a scendere, cantando le note della scala discendente ma pronunciando ancora le note di quella ascendente. Do Re Mi Fa Sol La Si Do. A parte che è difficilissimo, quasi peggio di aspirare ed espirare contemporaneamente, ma il divertimento è assicurato. Se non l’avete capita perché non suonate, vi lascio con questa freddura che funziona anche come tweet: il mi settima è l’accordo che va per la maggiore. Ah Ah Ah.

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perché a volte si dice "salire di tono"

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Quello che differenzia la musica dalle altre espressioni artistiche è il fatto che si può salire di un tono per aumentare il pathos a proprio piacimento, un escamotage sfruttatissimo a Sanremo da tutti coloro che non se la sentono di abbandonare i cliché della canzonetta italiana e che non hanno altre armi a proprio vantaggio per vincere se non appunto quelle degli artifici applicati alle tecniche della costruzione a tavolino della musica, quando da un punto di vista creativo le singole capacità non sono sufficienti. Come quando un allenatore chiama il time out per stemperare l’entusiasmo degli avversari. Tutta psicologia, tattica, strategia. Le battaglie si vincono anche così. Anche nella narrativa ci sono tecniche per piacere di più al lettore, le scuole di scrittura creative americane hanno inventato loro l’industrializzazione degli scrittori e non lo dico con un’accezione negativa in quanto sono io il primo a leggerli tutti. Anche il cinema è così, c’è tutto un modo per strutturare la narrazione in modo che se a un certo minutaggio fai succedere qualcosa puoi star certo che funziona di più. Ora non ricordo chi ha teorizzato tutte queste cose, ma sono certo che Google lo può fare per voi. Ma tornando al focus di questo post, quando si dice salire di tono applicato a una conversazione, per esempio, una discussione o un confronto, l’espressione probabilmente dev’essere senz’altro presa a prestito dall’omonima tecnica di arrangiamento musicale. Questo significa che Sanremo è preso a modello? Ma che domande mi fate. Certo è che si tratta di un fenomeno proprio delle arti dinamiche, mentre risulta difficile con quelle statiche e plastiche. Non puoi passare da re maggiore a mi maggiore, per fare un esempio, quando dipingi un quadro. Fare una foto in fa diesis che poi modula in sol diesis. Ma sono sicuro che se siete gente che si esprime con il massimo agio con queste cose, un sistema per vincere il vostro Sanremo personale sugli altri lo conoscete.